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Sagarana IL GIOCO


Raffaele Taddeo


IL GIOCO



 

Cf3-g5; Ad2-h6 scacco matto.
Ancora una volta il computer aveva vinto la partita. Leonida spense il PC e si alzò dalla sedia. Era ormai demoralizzato, non riusciva da tempo, molto tempo a vincere una partita con quella macchina elettronica. Le aveva tentate tutte. Sempre lo stesso risultato. Una volta era la regina, un’altra l’Alfiere. A volte i cavalli. Anche a tentare di eliminare dal gioco subito la regina non c’era verso che si riuscisse a porlo in difficoltà.
Era ormai l’una di notte. Sua moglie dormiva e così pure i suoi figli. Andò a letto. Improvvisamente gli era venuto sonno. La stanchezza mentale era diventata d’un tratto enorme.
Senza far rumore si infilò sotto le coperte cercando di dormire. Ma come spesso accade in simili frangenti non riusciva per nulla ad addormentarsi. 
Rivedeva le partite giocate quella sera. Gli attacchi sferrati e non solo le parate del PC. ma le successive risposte che erano altrettanti attacchi spesso vincenti.
Finalmente il sonno lo vinse e potè dormire anche con una certa tranquillità nonostante la tensione accumulata durante tutte le ore passate davanti al computer.
Il mattino successivo si alzò tardi; era la stagione estiva e ormai era in vacanza. Sarebbe partito per il posto di villeggiatura di lì a qualche giorno. Preferiva dopo un anno di lavoro, non partire subito ma assaporare il tepore della casa per qualche giorno prima di immergersi nelle folle estive.
Quando si svegliò aveva ancora il ricordo bruciante della sconfitta e della mossa che gli aveva inferto lo scacco matto.
Sua moglie aveva incominciato a preparare i vestiti da portare via, li aveva tirati fuori dall’armadio e stava verificando se bisognasse procedere a lavature oppure se era possibile porli nelle valigie solo con un rinfresco di aria.
I figli, nonostante l’ora tarda erano ancora a letto.
Si avvicinò al computer, lo accese e richiamò da directory degli scacchi.
La scacchiera apparve sullo schermo, invitante, luminosa, brillante.
Questa volta voleva fare molta attenzione, avrebbe calcolato bene tutte le mosse perché aveva notato che il tutto sta nel non lasciarsi distrarre e considerare il perché delle mosse dell’avversario, cioè di quella macchina. Il fatto è che molte volte il perché delle mosse dell’altro sono veramente incomprensibili.
Conduce un gioco con una previsione di mosse molto elevata.
Eppure bisognava trovare la strada.
Le prime tre mosse furono eseguite con estrema cautela anche se a memoria sapeva il tipo di risposta. Le partite incominciavano a decidersi solo a partire dalla quinta o sesta mossa.
Alla quarta si accorse che ormai aveva sbagliato.
Chiese di ricominciare daccapo. Respirò profondamente per concentrarsi e via. Un errore ancora alla quinta mossa. Spense il PC., avrebbe riacceso quando si fosse calmato.
Andò in cucina, si preparò un caffè e poi cercò di leggere un libro. Impossibile il richiamo della tastiera era molto forte.
Non sapeva resistere. Lasciò il libro e riaccese l’apparecchio elettronico.
Davanti allo schermo gli si presentò la scacchiera.
Fece la prima mossa. Tentò con l’apertura inglese e incominciò a concentrarsi a fondo calcolando tutte le mosse. Una delle strategie che potessero essere vincenti erano quelle di eliminarsi a vicenda subito il maggior numero di pezzi così da impedire all’avversario ogni strategia di attacco. A volte funzionava e dalle relativamente lunghe pause con cui il computer rispondeva alle mosse sembrava che fosse stato messo in difficoltà.
Incominciò quindi a preoccuparsi di difendere ogni singolo pezzo e fare continui scambi. Sembrava che tutto procedesse per il meglio ma ad un certo punto si accorse che in uno scambio frenetico aveva perso un pezzo in più del previsto.
Era ormai in inferiorità numerica e quindi le sue possibilità di vittoria erano ormai cadute a zero.
Sempre la solita cosa. Quando sembra che tieni in mano la partita ti accorgi che l’hai persa o che commetti una disattenzione imperdonabile.
Fece il comando per ricominciare una ennesima partita, ma questa volta la scacchiera non riusciva ad invitarlo più di tanto. Era immobile sullo schermo, i pezzi si stagliavano a colori vivaci.
Leonida vagava con la mente, non si decideva a fare la prima mossa. Gli sembrava di andare incontro ad una continua sconfitta.
Era sempre stato uno sconfitto. Le difficoltà avute a scuola quando era fanciullo. Eppure studiava, studiava non poco. Forse non aveva metodo, ma ancora bambino di 10, 11 ,12 anni passava giornate sui libri senza che fosse ripagato da successo scolastico. Era riuscito, poi in seguito a riorganizzarsi anche mentalmente e a produrre con maggiore efficacia tanto da laurearsi e insegnare in una scuola media superiore, ma in rapporto a quello che si era prefissato quando era bambino o adolescente, si può dire che era uno sconfitto. Aveva dovuto ripiegare su facoltà universitaria più accomodante con la necessità di lavorare e aveva dovuto scartare facoltà che l’avrebbero forse ricompensato un po’ di più. Questo fatto non gli aveva permesso di guadagnare molto e quindi sentiva che la sua vita era stata percorsa da una costante, continua povertà di fondo.
Gli era sembrato quasi sempre di essere sulla breccia, di essere in gioco, ma di tanto in tanto aveva dovuto arrendersi ai fatti ed essere ridimensionato in una vita fatta se non di stenti, di normalità.
Aveva anche sognato di scrivere libri; li iniziava, ma non arrivava mai fino in fondo.
Sembrava che nel mezzo di un’opera una qualche disattenzione, qualche imprevisto, affaticasse la creazione così che anche in questo campo si sentiva un vinto. Ricominciava di tanto in tanto, rifacendosi promesse di costanza e poi immancabilmente si arrendeva in qualche passaggio difficile, in qualche risoluzione di una storia che non dovesse risultare banale.
Non si poteva dire un infelice, uno sfigato come si suol dire perché lavorava, aveva moglie, figli; la vita matrimoniale era normale con slanci affettivi e con inevitabili e benefiche litigate. Eppure non era neanche un vincente. Era solo uno che sapeva stare in gioco. E questo, lo sapeva benissimo, era già una grande fortuna perché nel mondo ci sono centinaia di milioni di persone che sono in gioco, ma ci sono miliardi di persone che sono fuori gioco sia perché non sanno giocare sia perché alla prima sconfitta si sono tagliati fuori, ma anche perché nessuno deliberatamente ha mai insegnato loro il gioco.
Vincere era di pochi, ed a questo egli aspirava.
Ma vincere che cosa? Non sempre il successo, la ricchezza, danno la misura della vittoria. Essa è qualcosa di impalpabile che uno avverte, capisce che ha raggiunto perché sta dominando la realtà, la sta sottomettendo ai suoi scopi, alle sue finalità, alle sue aspettative, alle sue speranze, alle sue ipotesi di realizzazione di vita. Si vince quando lo scarto fra la costruzione delle aspettative e la realizzazione di esse è ridotta al minimo.
L’aspettativa è però qualcosa di spirituale spesso totalmente privo di avvenimenti materiali.
Leonida venne chiamato dalla moglie, spense il PC e si ripromise di ritornare a mente più lucida e serena.
Era necessario sistemare il terrazzo, l’impianto di irrigazione. Lavorò tutto il giorno indefessamente, di tanto in tanto pensava a qualche mossa, incominciava una partita mentalmente e si figurava tutte le risposte; spesso dopo qualche decina di mosse non ricordava più la posizione dei pezzi, né capiva come portare avanti la partita. Non è possibile giocare una partita di scacchi con la mente. L’oggetto materiale o raffigurato è importantissimo per poter giocare.
Dopo cena lesse un po’ per distendere i nervi, ma il richiamo del PC e della scacchiera era enorme.
Sua moglie andò a letto e lui attese quasi un’aura di silenzio notturno per rimettersi davanti al computer per rincominciare una sfida.
Di lì a due giorni sarebbe partito e voleva coronare l’anno di fatica prima di rilassarsi con le ferie con una vittoria a scacchi contro il PC.
Poteva guardare fuori il buio intenso. Non c’era luna, le strade erano illuminate debolmente.
Aprì la finestra per far penetrare un po’ di aria notturna anche se era molto calda. Si affacciò. Nessuno passava per la strada.
Qualche macchina ancora sfrecciava e il rumore era più assordante proprio perché rompeva il silenzio intorno.
Accese il calcolatore.
Digitò i comandi per il gioco degli scacchi.
Aspirò profondamente; iniziò la partita.
Aprì con la difesa inglese. Il computer rispose con la difesa siciliana.
Mosse il cavallo. Anche il computer mosse il cavallo.
Anche l’altro cavallo fu proiettato in avanti. Leonida stava molto attento a non fare delle imprudenze. Aveva scoperto che una delle tattiche che lo portava almeno ad una situazione di pareggio era quella di scambiare uno a uno tutti i pezzi senza averne alla fine nessuno in meno rispetto al computer.
Anche il calcolatore rispose con l’avanzamento dell’altro cavallo. Bisognava muovere le pedine con chiarezza, ma senza aprir eccessivi varchi.
I primi scambi permisero a Leonida di mantenere intatta la posizione di equilibrio rispetto al numero di pezzi.
Decise di darsi un attimo di riposo. Abbandonò la scacchiera e andò verso la finestra aperta. Aspirò l’aria che ormai, essendo l’ora tarda, incominciava anche a rinfrescarsi.
In lontananza vide un gatto che rovistava in un sacco di immondizie, scarto dell’abbondanza e della ricchezza. Anch’egli giocava la sua partita per sopravvivere.
In lontananza vide la macchina di sua figlia. Bisognava lavarla e lui ormai si rifiutava di fare delle operazioni che doveva fare lei perché era lei che usava la macchina. Quella figlia avrebbe dovuto aver già finito l’università ed invece le mancavano ancora parecchi esami. Avesse almeno scelto una facoltà scientifica con esami difficili, sarebbe stata più scusabile; aveva preferito iscriversi alla facoltà di filosofia pur sapendo bene che difficilmente essa sarebbe stata spendibile per un’attività lavorativa.
Un uomo avverte la prima e più cocente sconfitta allorché non vede realizzare la proiezione di sé nei propri figli. Aveva due figli e in nessuno vedeva quell’ansia alla cultura che era stata la caratteristica fondamentale della sua vita giovanile.
Leonida aveva sognato di diventare uomo di scienza; le vicende della vita, la sua estrazione sociale, la necessità del lavoro gli avevano impedito di canalizzare le sue forze creatrici in quella direzione. Non era diventato scienziato di nulla, mentre avrebbe voluto legare il suo nome a qualche invenzione degna di rendere l’umanità più civile. Avrebbe desiderato che almeno una delle sue figlie realizzasse il suo sogno ed invece sembrava che neppure una cultura di un certo spessore importasse loro. 
Quando sentiva che ascoltavano certa musica e solo quel tipo di musica si chiedeva come mai non era riuscito a trasferire a loro il gusto musicale, non rigido e fisso ad un solo modello, ma tuttavia capace di arricchire la personalità.
Era possibile che una persona colta non avesse mai sentito un Beethoven, un Mahler, uno Stravinskij. Gli sembrava impossibile che una persona potesse in qualche modo vantare cultura senza un minimo di percorso storico di ogni tipo di arte e in genere produzione dell’umanità.
In cielo un aereo stava lampeggiando la sua posizione. Sembrava stesse fermo e non si muovesse. Leonida rimaneva sempre come rapito nel vedere gli aerei. Gli sembrava di regredire ad un momento di estasi infantile quando ogni cosa più grande della propria comprensione sembra di sogno da favola.
L’aereo ripropone all’uomo il suo eterno sogno di innalzarsi al di sopra per dominare tutta la realtà.
Riguardò in strada forse per riportarsi ad un senso di concretezza. Un cane passava e correva velocemente fermandosi di tanto in tanto ad annusare le ruote delle macchine ricettacolo preferito dell’urinare di tanti altri cani.
Riprese la partita, rinfrancato e tuttavia timoroso di poter commettere errori di distrazione. Un’altra mossa; il computer mise più tempo del solito a fare la sua mossa. Ancora un’altra e propose lo scambio regina-regina.
Quando si fa una mossa del genere, da una parte ci si libera di un timore. Dall’altra si ha paura di non poter più portare attacchi consistenti.
Contò i pezzi: erano rimasti 7 pedine ciascuno, un cavallo ciascuno e due torri.
Leonida offrì ancora lo scambio di torre ed il computer accettò. Ora la partita diventava interessante. Tutto dipendeva dal come si portavano avanti i pedoni.
Anche la torre meritava una attenzione particolare. Decise che forse era opportuno fare lo scambio dell’altra torre. Alla prima occasione nel difendere il Re fece lo scambio. Intanto portava avanti i pedoni. Il computer incominciò a muovere il Re. Anche Leonida lo imitò perché si accorse che era necessario per la difesa delle pedine.
Bisognava fare molta attenzione al cavallo perché muovendosi su percorsi a L e in tutte le direzioni difficilmente è possibile prevedere tutte le mosse successive oltre le prime otto possibilità.
Forse era opportuno fare anche lo scambio del cavallo. Il computer era certamente in vantaggio con questo pezzo perché aveva molta più possibilità dell’uomo nel calcolare tutte le possibilità.
La situazione era favorevole per lo scambio. Mosse e offrì il cavallo difeso dal Re. Avrebbe potuto fuggir via.
Diventava molto pericoloso. Il computer ci mise qualche secondo in più prima di rispondere accettando lo scambio.
Leonida fece un rapido esame della posizione delle pedine.
Era opportuno muoverle in coppia e non lasciarsi prendere dal panico. I suoi fanti erano a metà scacchiera e forse con un po’ di attenzione sarebbe arrivato prima dei fanti del computer in fondo per il cambio sostituzione.
Mosse il fante più a destra.
La scacchiera propose lo scambio di un pedone. Ma in questo modo si portava parecchio più avanti.
Rifece un po’ di calcoli. Non tutto era ancora perso. Anzi a lui sembrava che fossero perfettamente in parità. 
Si alzò dalla scacchiera. Andò ancora alla finestra.
Un leggero chiarore era possibile vedere all’orizzonte.
Guardò l’orologio e si accorse che erano le 4 e 15.
Quest’ultima partita era durata circa 2 ore. C’erano più macchine in giro.
Sfrecciavano veloci, incuranti del pericolo.
Sentì improvvisamente la necessità di attendere, di prendere tempo prima di finire quella partita, condotta quasi allo spasimo.
Ormai era più chiaro.
Il colore del cielo era appena cinerino. Di lì a poco sarebbe stato celeste e poi più azzurro da una parte e dell’altra appena rosato.
Non c’era nebbia. Un leggero vento stava liberando tutta l’atmosfera rendendo l’aria tersa.
In strada vide due giovani, un ragazzo e una ragazza, che mano nella mano attraversavano la strada e si portavano in una strada secondaria.
Erano felici dal come sorridevano.
Si fermarono addossati alla facciata laterale di un edificio.
Lei alzava il viso quasi in cerca di un bacio.
Avevano vestiti leggeri. Lui pantaloni chiari di cotone; lei una gonna che arrivava alle ginocchia, ma larga e pieghettata.
La baciò una prima volta con passione. Poi si staccarono lievemente, quasi a riprendere fiato. La ribaciò e con la mano le alzò la gonna cercando le cosce che dall’alto sembravano sode e ben tornite. Lei non si difese.
Leonida si vergognò quasi a continuare a guardare quei giovani pieni di vita.
Ripensò un attimo a sua moglie e ai momenti d’amore che non erano sostanzialmente diversi dalla passione che vedeva in quei due.
Ora il cielo era tutto chiaro. Fra qualche momento il sole avrebbe fatto la sua comparsa, grande, ma già inaccessibile agli occhi perché non c’era umidità.
Un altro giorno si avvicinava e la lotta per la vita ricominciava. Ancora un giorno in cui illusioni, speranze, ideali, venivano messi alla prova.   
Ciò che fa amare la vita è l’incertezza di questa lotta, la coscienza che in ogni momento si è messi alla prova nella propria coerenza e la possibilità di poter essere sempre capace di uscirne vincitori.
Un bip del computer sembrò quasi risvegliarlo da quel sogno.
Con gli occhi guardò la scacchiera. Doveva finire la partita.
E se non l’avesse terminata, lasciando in sospeso la possibilità della vittoria oppure della sconfitta.
Con un gesto deciso spense il computer e si sentì totalmente liberato.




Raffaele Taddeo
Raffaele Taddeo, pugliese di nascita, ha per anni insegnato in Scuole medie superiori. Nel 1991 costituisce con amici il Centro Culturale Multietnico La Tenda, che dal 1994 incomincia ad interessarsi della Letteratura della migrazione, denominata Letteratura Nascente. Studi e pubblicazioni su questo argomento si susseguono. Significativi: "Letteratura Nascente – Letteratura della migrazione italiana – autori e poetiche"; "La ferita di Odisseo – il "ritorno" nella letteratura della migrazione italiana". Fa parte del comitato editoriale della rivista on-line el-ghibli.




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