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Sagarana LE PIAGHE DI MOSÉ


Ridvan Dibra


LE PIAGHE DI MOSÉ



 

Tutti si sono dimenticati di Sefora, la moglie del Profeta.

 
 

I cieli si stanno sfogliando come pagine di un libro,
Mio Signore.

Ingiallite dal tempo
Ma io dico soprattutto dallo sfogliarsi giornaliero
Qualcuna è piegata, qualcuna è strappata
Dai fulmini e dalla nostra impazienza.

Noi di nuovo ciechi come all'inizio,
Mio Signore.

Neanche una pagina abbiamo saputo leggere
Neanche una riga, neanche una lettera
Semplicemente perchè abbiamo cercato in alto e lontano
Quando l'alfabeto si poteva imparare vicino ed ovunque.

Noi di nuovo sordi come all'inizio,
Mio signore.

Non abbiamo saputo ascoltare la tua voce
Distratti da mille ed una voci false
Quando sarebbe stato così facile e semplice
Abbassare la testa ed ascoltare il nostro respiro.

Noi di nuovo affamati come all'inizio,
Mio Signore.

Semplicemente perchè abbiamo desiderato il pergolato del vicino
E mai abbiamo benedetto la nostra erba selvaggia,
Neanche la Terra che non avremmo dovuto mordere
In fretta come una mela acerba.

Noi di nuovo soli come all'inizio,
Mio Signore.

Sparsi ovunque come granelli di sabbia
Soffiati dal vento delle nostre stesse guancie
O come orfani pentiti
Perchè avevano alzato la mano ed ucciso i genitori.

Noi di nuovo nella polvere come all'inizio,
Mio Signore.

Nelle nostre labbra, nei nostri polmoni c'è polvere
La polvere che ci segue anche quando, volutamente, voliamo alto e lontano
Semplicemente perchè non vogliamo o dimentichiamo
Di ripulirci prima di ogni partenza.

Noi di nuovo senza tetto come all'inizio,
Mio Signore.

Le nostre capanne crollano prima di essere terminate
E nemmeno possono resistere mille anni alla tua ira
Mentre noi, uno dopo l'altro, colpevolizziamo
Una volta i muri, una volta le fondamenta e poi il tetto.

Noi di nuovo assettatti come all'inizio,
Mio Signore.

Con le labbra bruciate e screpolate come in Agosto
Abbiamo esaurito una ad una le sorgenti della vita
Poi bramato ed inventato
Innumerevoli sorgenti di sangue.

Noi di nuovo ignoranti come all'inizio,
Mio Signore.

Semplicemente perchè abbiamo fatto il secondo passo prima del terzo
Ed abbiamo detto la prima parola dopo la seconda
Così il nostro sapere non è altro che
La correzione degli errori fatti una volta.

Tu ancora una volta ovunque
E noi ancora una volta in nessun luogo,
Mio Signore.

Abbiamo trascurato tutte le regole del sangue
Abbiamo dimenticato anche le grida dei disperati
Un giorno abbiamo dimenticato che le piaghe dei nemici
Fanno ancor più male nel nostro petto.

Fanno male nel mio petto,
Mio Signore.


LA PRIMA PIAGA: IL SANGUE

 

Sei più intimorita dal sangue che dalle ombre, Sefora
Dal sangue senza nome che sgorga da una piaga fresca
Dal sangue che luccica ugualmente in tutte le ferite
Dal sangue che non ha mai saputo diventar acqua,
Invece l'acqua diventa sangue,
Mia Sefora.

E' sufficiente colpirlo con il mio bastone a forma di serpente
Volevo dire, con la mia indomita volontà:
Bam-bam-bam
Bam-bam
Bam.

Guarda come si sono insanguinati i fiumi e tutte le altre acque
La neve si sta sciogliendo e gocciola sangue
I ghiaccioli appuntiti gocciolano sangue:
Goccia-goccia-goccia
Goccia-goccia
Goccia.

Capite adesso il prezzo dell'acqua
E lasciate che il mio intento se ne vada
Voi labbra screpolate e voi terre aride
Voi petti assettatti e voi pesci affamati
Avete dimenticato che mi hanno tirato fuori dall'acqua assieme al mio nome:
La vita era all'inizio
La morte venne subito dopo.


LA SECONDA PIAGA: LE RANE

 

Sei più intimorita dalla palude che dal sangue, Sefora
La palude che chiamano oblio e distrazione
La palude gialla che s'impadronisce del verde
Come l'attimo s'impadronisce dell'eternità,
La palude che partorisce mostri,
Mia Sefora.

Rettili di ogni genere, lenti e disgustosi
Coloratissimi gigli di tante specie diverse e velenose
Diversi sospiri tutti infangati
E, alla fine, le rane emblematiche:
Attirate dal mio bastone a forma di serpente
Volevo dire, con la mia indomita volontà.

Salgono ed entrano nella tua casa, Sefora
Nella stanza dove dormi
Entrano nel tuo letto
Sconvolgono le lenzuola bianche
Ed il tuo sonno sereno
Con le loro voci bavose
Gra-gra-gra
Gra-gra
Gra.

Quando gli Dei si fanno guerra tra loro
L'uomo deve far pace con se stesso,

Mia Sefora.

 
 
LA TERZA PIAGA: LE ZANZARE

 

Sei più intimorita dalla causa che dalle conseguenze, Sefora
La causa sono io o qualcun altro dentro di me
Succede raramente alla gente, molto raramente
E forse mai alle figlie di Eva.

I turbini di polvere ora son nuvole di zanzare,
Mia Sefora.

Sulla tua faccia e sul tuo lungo corpo
Sulle tue labbra e sui tuoi piccoli seni
Sul tuo sonno e sui tuoi sogni vergini
Sul tuo silenzio e sulla tua pazienza divina
Sulle tue lacrime e sulla tua rara gioia
Sulla tua maternità e sul tuo raro frutto
Sulle tue radici e sul tuo tronco verde
Sono rimasti i grigi segni delle punture,
 
Mia Sefora.


LA QUARTA PIAGA: LE MOSCHE

 

Sono piccole, sono ovunque e disturbano molto, Sefora
Come granelli di sabbia gialla che cadono tra le dita
O come le parole e le faccende quotidiane
Delle quali possiamo anche fare a meno
Questa nuvola di mosche è il sudario,
Mia Sefora.

Né piaga, né morso e neanche veleno
Sul tuo corpo di marmo bianco
O tutte e tre contemporaneamente da qualche parte sotto la pelle
Dove può far male come il peccato non commesso
E' come quando sin dall'inizio si progetta come sarà la fine.

Perchè capita raramente che la morte venga
Senza che noi stessi l'avessimo prima invitata,
 
Mia Sefora.


LA QUINTA PIAGA: GLI ANIMALI

 

Una volta ho parlato di te come ho fatto degli animali, Sefora
Trovando in loro ogni tua cosa
Oppure in te ogni loro cosa: è la stessa cosa.

Parlo di quando venivi chiamata natura
Oppure di quando la natura era una donna: è la stessa cosa.

Ma gli animali morirono tutti,
Mia Sefora.

Morirono in te, desolati, uno dopo l'altro
Morì la grazia dei cavalli sui campi al tramonto
Morì il sacrificio del cammello sul deserto giallo
Morì l'ingenuità degli asini mentre masticavano le spine
Morì la bontà della pecora e la fecondità della mucca.

Furono troncati uno dopo l'altro
O forse sono stato io a troncare uno dopo l'altro
I fili che ti legavano alla natura,
 
Mia Sefora.


LA SESTA PIAGA: LA POLVERE

 

La polvere è come il pregiudizio, Sefora
La inspiri con i polmoni
Ti avvolge tutta intera
Con un mantello che cambia colore secondo le stagioni.
E' il cielo che sta setacciando cenere di forno,
Mia Sefora.

Su di te e su ogni altro essere vivente attorno
Porta la grigia tristezza che poi partorisce
L'autunno eternamente ammalato
Dall'incapacità di essere un'altra stagione
Più somigliante all'uomo ed al suo destino
Perchè sotto la polvere i destini diventano tutti uguali
O così sembrano ad un occhio non addestrato
Allo sguardo che accarezza appena la superficie
Come la polvere i nostri sensi,
 
Mia Sefora.


LA SETTIMA PIAGA: LA GRANDINE

 

Le situazioni intermedie ti hanno sempre spaventato, Sefora
Per esempio la grandine: non è una goccia di pioggia e neanche un fiocco di neve
Nemmeno una goccia di pioggia ed un fiocco di neve contemporaneamente,
Sei sola tra il fuoco ed il ghiaccio,
Mia Sefora.

Non sono collane di perle quelle che pendono dai cieli
Ma corde con perle di grandine
Richiamate dal mio bastone di legno
Insieme agli infuocati serpenti dei fulmini
Che bruciano come cieca passione
Si è bruciato e si è seccato l'orzo nella spiga
Ed anche il lino appena fiorito
Ma non il grano che resiste e si matura più tardi
Come il tuo nocciolo intoccabile,
 
Mia Sefora.


L’OTTAVA PIAGA: LE CAVALLETTE

 

La piaga guarita chiama un'altra piaga, Sefora
Come la voglia chiama voglia ed il dolore chiama dolore
Fino a quando l'anima diventa un oggetto senza vita
Ed il corpo anima e respiro assieme,
Stanno arrivando i danzatori della morte
Mia Sefora.

Il vento della vita li ha portati a gruppi
E' l'esercito degli attimi affamati e mai sazi
La peste che ingoia tutto quello che è rimasto
Soprattutto gli steli non ancora cresciuti
Oppure tutto quello che è verde e che alimenta la speranza
Seminata nella tua anima
E nel tuo corpo caldo,
 
Mia Sefora.


LA NONA PIAGA: IL BUIO

 

Sei più intimorita dal buio che dal fuoco, Sefora
Quando le forme spariscono e tutto diventa la stessa cosa
L'alto con il basso ed il bianco con il nero,
Temi il buio che si può toccare con la mano,
Mia Sefora.

Allora non hai altra salvezza che tornare verso te stessa
Come da un amico perso e dopo tanti e tanti anni ritrovato
Poichè il buio è buio e non se ne va come la nebbia
Nasconde lo sconosciuto e scopre il conosciuto
L'uomo non vede l'uomo e può solo toccarlo
Quando evitarlo diventa impossibile.

La tarda ricompensa ti fa male
Come a me ed al me stesso ritrovato,
 
Mia Sefora.


LA DECIMA PIAGA: LA MORTE

 

Sei più intimorita dalla morte che dalla vita, Sefora
Voglio dire la vita vicina a me ed al mio popolo isolato
Con l'eterno e falso scopo di salvarsi
nel faticoso sforzo di essere capito,
Mentre la morte stessa fugge da te, mia Sefora!

Sulla tua fronte saggia come sull'architrave di una casa accogliente
Ho lasciato il segno premonitore di sangue:
Possa la morte ricordare e cercare un'altro riparo
Perchè l'uomo può riconoscere solo quello che lui stesso ha creato
Mentre l'inizio e la fine sono creazioni di altri
Anche se gli elefanti tornano a morire nel loro luogo di nascita.

"Chi non è con me è contro di me"
Disse un giorno la morte stessa,
 
Mia Sefora.


L’UNDICESIMA PIAGA: SEFORA

 

Più forte e più sicuro che sulla mia volontà di legno
Appoggiato al tuo sacrificio silenzioso, Sefora
Tu la più aperta delle mie piaghe
Che duole maggiormente quando le altre sono silenziose.

E' stata lunga la strada, Sefora, troppo lunga
Piena di curve ed ostacoli che ritardavano il mio intento
Anche se lo sapevo che solo i bambini mirano alla vittoria immediata
E che in me sfilavano tutti i precedenti profeti.

Le strade lunghe non finiscono mai, Sefora
Il bastone e la fede non bastano: solo il Signore basta a se stesso
Io avevo più bisogno di essere amato che capito
Ed allora arrivasti tu con l'anima avvolta al corpo.

Desideravo solo l'intenzione, per questo la gente non mi ha voluto, Sefora
Riempita di veleno, la coppa nelle tue mani bianche
Non importa se la tristezza è virtù e la gioia è peccato
Mentre gli eventi vivono meno della gente.

Quando insegni a qualcuno ti pagano, Sefora
Quando insegni a tutti, devi pagare tu.

E' bello e difficile essere la moglie di un profeta,
 
Mia Sefora.

 




(Traduzione in italiano dall' albanese: Albana Temali, Guerrino Stanzani)




Ridvan Dibra
Ridvan Dibra è docente di letteratura albanese all'Università di Scutari, Albania. È autore di cinque romanzi e di sei volumi di racconti e novelle. Due suoi libri hanno ricevuto dei premi nazionali.




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