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Sagarana JORGE AMADO, BAHIA, DONA FLOR


Patrizia Giancotti


JORGE AMADO, BAHIA, DONA FLOR



 

La sua disponibilità verso il genere umano era proverbiale.
Lo portava a rispondere al telefono di getto per parlare con chiunque avesse fatto il suo numero, dopo averlo trovato sotto la A sull’elenco telefonico di Bahia. Circa 25 anni fa, con un certo batticuore, lo feci anch’io. Quella sua voce calda, immersa nel verde della casa di Rio Vermelho risuonante di cicale, mi invitò magicamante a conoscerlo. E, poche ore dopo, sulla soglia di quel mondo sognato, c’era lui in persona: Jorge Amado in camicia fiorata, che mi abbracciava come il sacerdote di in un affettuoso rituale e mi accoglieva nella sua casa. Con quell’abbraccio, benediceva l’ennesima innamorata di quei luoghi, che, a causa sua, aveva attraversato l’oceano ed era arrivata sin lì, a Bahia de Todos os Santos. I suoi 40 romanzi, tradotti in una cinquantina di lingue, hanno avuto su molti questo effetto taumaturgico, attirando come calamite persone da ogni angolo del pianeta, verso quelle spiagge, quei cieli, quel mondo popolato di miti e soprattutto verso quella gente capace di vedere il lato bello della vita anche nelle condizioni materiali più difficili. Al di là della soglia prendeva forma “la Bahia di Jorge Amado”: un universo di personaggi, caratteri, frutti, sapori, suoni, colori e profumi che avevamo immaginato tra le pagine dei suoi romanzi. Mentre lui parlava pacioso porgendomi un gelato di maracujá, tutt’intorno, oggetti, schizzi, sculture, dipinti e tessuti riproducevano all’infinito i personaggi che lui aveva amorosamente raccolto per la strada per farli diventare universali. Tra loro campeggiava la dolce Dona Flor, timida e naturalmente languida negli schizzi di Floriano Texeira, nelle statuette di terracotta modellata, olimpica sull’etichetta dorata di una scatola di sigari, ammiccante sul rotolo della bottiglia di cachassa. Come molti altri suoi personaggi, anche Flor era stata ispirata all’autore da una storia ascoltata per le strade di Bahia, quella di una vedova, che risposatasi, sognava tutte le notti il suo defunto e appassionato marito con il quale aveva vivissimi incontri carnali. Vadinho invece aveva ereditato in pieno il carattere di un vecchio compagno di gioventù dell’autore, un affascinante malandro che viveva “perdendo denaro e conquistando donne”, mentre gli altri personaggi si nutrivano di caratteristiche prese in prestito da amici come il compositore Dorival Caymmi o il pittore Carybé. Scritto a Salvador da Bahia nella seconda metà del 1965, Dona Flor e i suoi due mariti fu lanciato nell’anno successivo in 75.000 copie che andarono subito esaurite, per superare fino ad oggi le cinquanta edizioni in Brasile e le trenta traduzioni in altrettanti paesi del mondo. Un successo che si ingigantì nel 1976 con il film di Bruno Barreto nel quale Sonia Braga - Flor mandò in tilt il botteghino, facendo impazzire 10 milioni di spettatori con il più grande successo cinematografico della storia del Brasile. Un successo che, secondo l’antropologo Roberto Da Matta, fu dovuto all’abilità con la quale Amado seppe trasformare l’ambiguità del triangolo amoroso e il punto di vista femminile, in valori. L’ innocenza del personaggio e la sua indole mite, sdoganavano per sempre Flor da ogni sfacciataggine o moralismo e trasformavano la sua indecisione e infine la sua scelta, in semplice diritto alla felicità. Con la storia di Dona Flor, Amado non solo rivendicava il desiderio di completezza comune a molte donne insoddisfatte che amano da sempre pezzi di uomini diversi, ma fece in modo che in lei, nella bellissima maestra di culinaria sapore e arte, si incarnassero quelli che considerava i più grandi piaceri della vita, la buona cucina e il sesso. Il gusto di Amado per le gioie dell’alcova e per i capolavori della gastronomia bahiana, intrisi di intingoli di origine africana, latte di cocco, olio di palma, accompagnati da ruvide farine di tradizione indigena e dal culto del pesce tipicamente portoghese, trovava così, nelle ricette e nella felicità erotica di Flor, la sua massima espressione. L’arte sopraffina del mischiamento, nella cucina di Bahia originale fino alla sorpresa, veniva spesso paragonata dallo scrittore buogustaio, alla mescolanza delle razze, indios, europei e africani, che faceva della città di Todos os Santos il laboratorio antropologico del Brasile. “Bianco puro a Bahia, chi? Nero puro a Bahia dove? Siamo mulatti fortunatamente”- aveva scritto. Per Amado era proprio il mescolamento di tanti ingredienti nello stesso piatto, di tante razze, culture e credenze nello stesso individuo, a creare la infallibile ricetta bahiana contro ogni razzismo: includere in famiglia il “diverso da noi”. E non si poteva che aderire, sentirci anche noi, turisti della letteratura, antropologi viaggiatori, vagabondi lontani dalle radici, inclusi, condivisi, accolti. Come in quel giorno lontano dopo aver attraversato quell’abbraccio, dal quale partì una grande amicizia, una grande collaborazione, un grande affetto che portò Jorge Amado a seguire da vicino la mia ricerca di antropologia visiva tra le donne del candomblé, scegleindo i suoi testi più appropriati e scrivendone di nuovi per accompagnare le mie mostre fotografiche su feste e rituali di Bahia, fino ad includermi nella sua miscellanea famiglia, diventando infine padrino della mia prima figlia: Caterina Flor.
 
Nemmeno mi ricordo la prima volta che questa italiana-baiana mise piede in casa mia: per me c'è sempre stata. Ho visto i suoi occhi e il suo cuore prima che cominciassero a fotografare Bahia, ma si capiva già cosa ne sarebbe venuto fuori. Nelle foto di Patrizia Giancotti c'è l'anima di Bahia, vista da dentro. Sono cose che succedono raramente.
                                                                                                           Jorge Amado
 
“ In Italia Patrizia Giancotti festeggia ogni trentun dicembre la sua Yemanjá che arriva veleggiando da Bahia .”
                                                           Jorge Amado
                                                                                                         Dal libro Navegação de cabotagem




Patrizia Giancotti
Patrizia Giancotti, nata in Italia 1958, studia e fotografa il Brasile da oltre venticinque anni. Tutto cominciò nel 1983, quando per un primo reportage viaggiò per il Paese, abitandoci infine per circa dieci anni. Laureatasi in antropologia, con una tesi sulla religione afro-brasiliana di Bahia, giornalista e fotografa, Giancotti scrive e fotografa per le maggiori riviste italiane. Oltre a seminari e corsi in varie università, programmi televisivi e trasmissioni radiofoniche (come Siamo tutti brasiliani, da lei ideato e condotto, ancora reperibile su internet nell’archivio di Radio 3 il terzo anello), ha realizzato un centinaio di reportage e una cinquantina di mostre fotografiche sul Brasile. L’ultima A alma da Bahia, prodotta dal Ministero della Cultura del Brasile per celebrare i suoi venticinque anni di attività, inaugurata al Museo di Arte Moderna di Salvador, è ora itinerante. Tra i volumi pubblicati ricordiamo, il libro fotografico "Bahia" (A&A Milano), con testi de Jorge Amado e "Amazzonia labirinto verde" (Giunti). Premiata dalla Prefettura di Salvador da Bahia con l’Abébé de Oxum d’argento per i primi dieci anni spesi a divulgare la cultura di Bahia in Europa, è stata anche insignita con l’onorificenza brasiliana dell’Ordine del Cruzeiro do Sul in riconoscimento per il suo lavoro per il Brasile.




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