Torna alla homepage

Sagarana TULI KUPFERBERG


Francesco Adinolfi


TULI KUPFERBERG



 

È morto a 86 anni, il poeta e fondatore dei Fugs, gruppo storico della contracultura Usa: “A tredici anni ero già politicamente estremista, ero rivoluzionario già prima che la band nascesse, non sono un realista socialista; i miei obiettivi rivoluzionari sono l’anarchia, il pacifismo anarchico, il comunismo. Spero in una società senza classi.”
 
 
 
“Ho visto hipster investiti dai taxi ubriachi della Realtà Assoluta che si buttavano dal ponte di Brooklin – questo è successo davvero – e se ne andavano sconosciuti e dimenticati tra la foschia spettrale di Chinatown.” È un verso di Urlo, di Allen Ginsberg, e la persona “del ponte” a cui l’autore fa riferimento è Tuli Kupferberg, 86 anni, scrittore, poeta, attore, componente dei Fugs, scomparso il 12 Luglio scorso in un ospedale di Manhattan dove era ricoverato in gravi condizioni di salute dopo i due infarti dello scorso anno. Il salto dal ponte (non di Brooklin come annotò erroneamente Ginsberg ma di Manhattan) c’era stato davvero. Nel 1945 un terribile esaurimento nervoso aveva portato Kupferberg a quell’atto disperato. In seguito molti fan cambiarono di segno all’evento, trasformandolo in una prova di grande coraggio. Tuli se ne rammaricava e provava grande imbarazzo. Sotto sotto forze malediva anche un po’ Ginsberg per aver disvelato al mondo quella follia. Ma tant’è. Lui e Ginsberg erano intimi, stessa formazione beat, stessa fibra pacifista e antagonista. Kupferberg a New York lo conoscevano tutti, spesso lo incontravi a Lower Manhattan mentre disegnava vignette che regolarmente vendeva al settimanale Village Voice, era il volto di un tempo svanito, divorato da un capitalismo realizzato a cui Tuli si era sempre sottratto. Lo vedevi girare trasandato e hippy come se fosse appena uscito da una manifestazione anti-Vietnam, negli occhi riconoscevi decenni di lotte e insurrezioni, da solo e con i suoi Fugs, gruppo di riferimento del rock underground statunitense. Davvero sotterranei, davvero anti-tutto, con quelle canzoni – che Tuli definiva “parasongs” – costruite per parodiare apparentemente altri pezzi (cambiandogli le parole) e in realtà per attaccare l’intero sistema della cultura dominante. I Fugs erano davvero underground, nell’accezione più pura del termine: musica dal e del sottosuolo, nata per emancipare la mente, affrancarla da coercizioni commerciali e sociali. Il gruppo non faceva leva solo sui testi, ma anche su un suono caotico in continua evoluzione/sperimentazione, in questo modo sottraendosi ai vincoli di un sistema sociale e politico che nega all’individuo il diritto di disporre di sé. Del resto questo è il vero senso politico dell’underground, questo era il vero senso dei Fufs.
Vada da sé che se si eccettuano i primi tre dischi con la Esp, etichetta iper-sperimentale, il resto della carriera musicale dei Fugs fu una lotta continua. Accettarli era difficile, quasi impossibile. Addirittura incisero per la Reprise, la casa discografica di Frank Sinatra che pretendeva di vagliare tutto il materiale composto. Eppure, sarà stato per la pressione di quel cocalist inimitabile, sarà stata la maturità sonora scquisita nel tempo, sta di fatto che Tenderness Junction, il debutto su Reprise, si rivelò un album avvincente, ben suonato, con Ginsberg ospite che cantava Hare Krishna e la registrazione dello storico esorcismo del 1967 davanti al Pentagono per annientare gli spiriti bellici e maligni che secondo la band albergavano nell’edificio. Tuli, Ed Sanders e Ken Weaver, i tre Fugs, si erano formati nel 1964 dopo essersi incontrati alla peace Eye Bookstore, la libreria di Sanders, un ex macelleria kosher. Venivano tutti e tre dagli happening di lettura dell'era post-beat. In particolare Sanders si cimentava come editore underground pubblicando riviste come Fuck You, subito fatta a pezzi dalla censura. Tutti e tre lavoravano con le parole e sapevano ben poco di musica. Tutti e tre ciclostilavano come matti, spandendo ovunque fotocopie, vero motore della rivoluzione del '68 (e poi alla base del fai-da-te del punk). Tuli scriveva poesie, raccolte di consigli (1001 modi per vivere saggiamente, senza lavorare, per fare l'amore, per rifiutare il servizio militare), pubblicava riviste letterarie come Birth o Yeah. Poi, un giorno, nel 1964, la “conversione”. I futuri Fugs avevano assistito con Ginsberg a un concerto rock e in quell'occasione avevano ballato tanto, a lungo; i loro corpi si erano lasciati andare, trasportati dal suono, cullati. Quella era la nuova strada da intraprendere. E contemporaneamente anche la loro definitiva condanna artistica. Perché se da un lato pezzi di Kupferberg come Kill For Peace («Uccidi, uccidi che ti fa bene. Così me l'ha spiegato il mio Capitano»), Morning Morning o The Garden Is Open erano bombe vocali, dall'altro la musica cedeva quasi sempre il passo. Rispetto a Zappa o a Jerry Garcia (Grateful Dead), artisti ideologicamente affini ai Fugs, giunti a idiomi lirici evoluti attraverso la musica, il gruppo di Ed e Tuli erano al contrario arrivati alla musica solo attraverso il testo. Ma che importa, in fondo i Fugs – il nome deriva da un'imprecazione usata da Norman Mailer nel suo Il nudo e il morto – erano qualcosa di genuinamente altro rispetto al rock del tempo. I loro show erano anti-teatro, anti-cabaret, erano nuovo cinema, erano Kupferberg che sul palco faceva il pagliaccio, svuotava valigie zeppe di cianfrusaglie, si trasformava da marine in nazista, e il pubblico, spesso, usciva sconvolto. Chi restava era in estasi, travolto dalle botte percussive del batterista Weaver, dai suoni ispidi di collaboratori come Peter Stampfel e Steve Weber (gli Holy Modal Rounders), dalle parole di Tuli da cui si sprigionava un acume poetico tutto dentro le sue radici ebraiche. Kupferberg era nato a New York il 28 settembre 1923. Lo scorso gennaio Lou Reed e i Sonic Youth avevano organizzato a Brooklyn un concerto di beneficenza per pagargli le spese mediche. Lascia la moglie Sylvia Topp, tre figli e tre nipoti.
 




(Tratto da “Il manifesto” del 15 Luglio 2010. )




Francesco Adinolfi
Francesco Adinolfi è responsabile di «Ultrasuoni», inserto musicale del quotidiano «il manifesto», è ideatore e conduttore dei programmi radiofonici «Ultrasuoni Cocktail» e «Popcorner». Collaboratore delle maggiori riviste nazionali e internazionali, da 25 anni si occupa di musica pop e rock. È autore del libro «Mondo Exotica» (Einaudi), una storia della musica exotica, lounge, latin, televisiva e cinematografica di genere. Il testo, che verrà presto pubblicato negli Usa dalla Duke University Press, è stato oggetto di un corso tenuto dall' autore stesso presso la facoltà di Sociologia dell’Università la Sapienza di Roma. Nel 1989 ha pubblicato il libro «Suoni dal ghetto-La musica rap dalla strada alle hit parade» (Costa & Nolan). Cura sigle e jingle per programmi televisivi («Il caso Scafroglia», «Per un pugno di libri» ecc.).




    Torna alla homepage copertina I Saggi La Narrativa La Poesia Vento Nuovo Nuovi Libri