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Sagarana CHI HA UN FIAMMIFERO?


Brano tratto dal romanzo Fahrenheit 451


Ray Bradbury


CHI HA UN FIAMMIFERO?



 

(…) Il motore tacque con un ultimo schianto. Beatty, Stoneman, Black corsero sul marciapiede, bruscamente odiosi e obesi nei gonfi gabbani a prova di fuoco.
Montag li seguì.
Sfondarono la porta d’ingresso e agguantarono una vecchia, sebbene questa non corresse, non tentasse di fuggire. Stava semplicemente ritta, ondeggiando un poco ora di qua ora di là, gli occhi fissi su un gran nulla sopra la parete, come se le avessero inferto un colpo violentissimo sulla nuca. La sua lingua si muoveva nella bocca e i suoi occhi sembravano cercar di ricordarsi qualcosa, finché se ne ricordarono, e allora la sua lingua si mosse ancora:
“Siate uomo, Mastro Ridley; noi accenderemo quest’oggi tale candela, per grazia di Dio, in Inghilterra, quale io confido nessuno potrà spegnere mai!”
“Basta!” disse Beatty. “Dove sono gli altri?”
Le dette un ceffone con straordinaria obiettività e rinnovò la domanda. Gli occhi della vecchia riuscirono a mettere a fuoco il volto di Beatty.
“Lo sapete benissimo dove sono; diversamente non sareste qui”, disse la vecchia.
Stoneman le porse il cartellino della chiamata telefonica con la denuncia firmata sul retro, insieme col numero telefonico:
“Ho motivo di sospettare il solaio; 11 Nord Elm, città. E.b.”
“Questa deve essere la signora Blake, la mia vicina” disse la donna, leggendo le iniziali.
“Avanti, ragazzi, acciuffiamoli subito!”
Pochi istanti dopo, erano tutti, su nel buio stantio, a calar colpi d’argentea accetta su porte che, dopo tutto, non erano nemmeno chiuse a chiave, facendo infine irruzione come ragazzi urlanti festosamente.
“Ehi!”
Un’improvvisa cascata di volumi scaturì dall’alto rovesciandosi su Montag, che stava salendo sulla ripida scaletta tremante. Che noia! Prima, era sempre stato come smoccolare una candela. La polizia arrivava in precedenza e tappata la bocca della vittima con nastro adesivo, la rinchiudevano poi in quelle loro automobili nere e lucenti come scarafaggi, cosicché quando arrivavano i vigili del fuoco trovavano la casa deserta. Non si faceva del male a nessuno, si faceva del male alle cose soltanto! E poiché le cose non possono sentire male, non possono né urlare né lamentarsi, come quella vecchia avrebbe potuto da un momento all’altro urlare o lamentarsi, non c’era nulla che potesse rimordervi la coscienza in seguito. Si veniva semplicemente a disinfestare. Lavoro da portinai, custodi e simili, in fondo. Ogni cosa al suo posto, tutto regolare. Presto con quel cherosene! Chi ha un fiammifero?
Ma ora, questa notte, qualcuno aveva fatto un passo falso. Quella vecchia aveva sconvolto il rito. Gli uomini stavano facendo troppo fracasso, ridevano, schiamazzavano, per non sentire il suo terribile silenzio a pianterreno. Lei faceva tuonare di accuse le vuote stanze e scuotere una polvere sottile di colpa, ch’essi suggevano dalle nari, mentre correvano qua e là. Non era né leale, né generoso. Montag sentiva un’immensa irritazione gonfiarglisi nel petto. Quella vecchia non avrebbe dovuto essere là, sopra ogni cosa!
Libri gli bombardavano le spalle, le braccia, il viso volto all’insù. Un volume scese, quasi docilmente come un colombo bianco, tra le sue mani, le ali tremule. Nella luce fioca, vacillante, una pagina rimase aperta e ferma ed era come una penna nivea, con le parole delicatamente dipintevi sopra. In tutta quella confusione, quella fretta, Montag ebbe soltanto il tempo di leggere una riga, ma quella riga gli fiammeggiò nella mente nel minuto successivo come se vi fosse stata impressa con un ferro rovente. “Il tempo si è assopito nel gran sole del meriggio”. Lasciò cadere il libro. Immediatamente, un altro volume gli piombò tra le braccia.
“Montag! Quassù!”
La mano di Montag si chiuse come una bocca, si schiacciò il libro contro il petto in una follia di devozione, in un’insania smemorata. Gli uomini, sopra, scagliavano palate di riviste nell’aria polverosa. Le riviste cadevano come uccelli uccisi e la donna stava ritta, più sotto, come una bimbetta, tra i corpi.
Montag non aveva fatto nulla. Era stata la sua mano a far tutto, la sua mano, dotata di un cervello proprio, d’una curiosità e d’una coscienza per ogni dito che la componeva, tremante, era stata la sua mano ch’era diventata ladra. Ora essa spinse avaramente il libro ben sotto il braccio, lo premette bene aderente all’ascella sudata, con una mossa elegante da prestigiatore. Ecco qua! Innocente! Guardate!
Fissò, sbalordito, quella mano bianca. La teneva a distanza, come se fosse presbite. Se la portava sotto gli occhi come se fosse miope fin quasi alla cecità.
“Montag!”
Si voltò di scatto.
“Non startene là impalato, idiota!”
I libri se ne stavano come grossi mucchi di pesci lasciati a seccare. Gli uomini saltellavano, scivolavano, cadevano su di essi. Titoli scintillavano nei loro occhi dorati, cadendo, sparivano infine nella morte, spenti.
“Cherosene!”
Pomparono il freddo liquido dai serbatoi contrassegnati dal numero 451 e fissati con cinghie, come zaini, alle loro spalle. Ne inondarono ogni libro, ricoprendolo del malefico fluido come d’una copertina, ne pomparono quantità enormi dai loro serbatoi.
Scesero poi in gran fretta le scale, Montag per ultimo, barcollante tra i vapori del cherosene.
“Andiamo, vecchia!”
La donna s’era inginocchiata tra i volumi, toccava il cuoio e il cartone inzuppati, leggendo i titoli dorati con le dita, mentre i suoi occhi accusavano Montag.
“Non potrete mai avere i miei libri”, ella disse.
“Voi conoscete bene la legge”, disse Beatty. “Dov’è andato a finire il vostro buon senso? Non c’è un solo libro fra questi che sia d’accordo con gli altri. Ve ne siete stata chiusa qui, per degli anni, insieme con una vera e propria Torre di Babele. Uscitene una buona volta! Le persone dentro questi libri non sono mai vissute. Venite fuori ora!”
Ella scosse il capo.
“Tutta la casa sta per partire”, disse Beatty.
Gli uomini si avviarono con passo pesante verso la porta. Si volsero a guardare Montag, ch’era rimasto presso la donna.
“Non vorrete per caso lasciarla qui?” protestò lui.
“Ma se non vuol venire!”
“Costringiamola, allora!”
Beatty alzò la mano che stringeva l’accenditoio.
“Dobbiamo ritornare in caserma; e poi questi fanatici tentano sempre il suicidio; il quadro è sempre lo stesso.”
Montag pose la mano sul gomito della vecchia.
“Potete venire con me”, disse.
“No”, rispose la donna. “Grazie, ad ogni modo.”
“Ora conterò fino a dieci” annunciò Beatty. “Uno, due.”
“Per piacere”, disse Montag.
“Continuate a contare” disse la vecchia.
“Tre. Quattro.”
“Via, venite!” Montag trasse a sé la vecchia, che insistette, con molta calma:
“Io voglio restare qui.”
“Cinque. Sei.”
“Potete smettere di contare”, ella disse. Aprì lievemente le dita di una mano e nel palmo apparve un piccolo oggetto sottile.
Un comune fiammifero da cucina.
Alla vista del fiammifero, gli uomini si precipitarono fuori, si allontanarono correndo dalla casa. Il capitano Beatty, senza perdere la sua dignità, indietreggiò lentamente oltre la soglia, la rosea faccia bruciata e lucente per mille incendi ed entusiasmi notturni. Dio, pensò Montag, com’è vero! L’allarme viene sempre di notte. Mai di giorno! Forse perché un incendio è più bello di notte? C’è più spettacolo, più grandiosità? La rosea faccia di Beatty mostrava ora un’ombra lieve di panico, là, sulla soglia. La mano della donna si torse intorno all’esile bastoncino di legno del fiammifero. I fumi del cherosene le si dilatavano intorno alla persona. Montag sentì il libro nascosto battergli come un cuore contro il petto.
“Andatevene pure”, disse la donna, e Montag si accorse di indietreggiare sempre più, sempre più verso e oltre la porta, sulle orme di Beatty giù per i gradini, attraverso il praticello davanti alla casa, dove un rivoletto di cherosene si stendeva come la scia di non sai che perverso lumacone.
Sulla veranda, dove era uscita a soppesarli tranquillamente con lo sguardo, esprimendo col suo silenzio una condanna, la vecchia rimase immobile.
Beatty mosse le dita per infiammare il cherosene. Ma non fece a tempo. Montag soffocò un urlo.
La donna sulla veranda allungò il braccio, con una espressione di profondo disprezzo per tutti loro, e strofinò il fiammifero contro la balaustra di legno.
Lungo tutta la strada, la gente corse fuori dalle case a guardare.
 
Nessuno disse una parola durante il viaggio di ritorno alla Caserma del fuoco. Nessuno guardò gli altri negli occhi. Montag sedette davanti, con Beatty e Black. Non fumarono nemmeno le pipe. Sedevano guardando fuori dal muso della grande Salamandra, mentre voltavano una cantonata e continuavano silenziosamente ad andare.
“Mastro Ridley”, disse Montag ad un tratto.
“Che cosa?” Domandò Beatty.
“Quella donna ha detto: “Mastro Ridley”. Non so quale assurdità abbia mormorato, quando siamo entrati. “Siate uomo”, ha detto “Mastro Ridley”. E poi non so che altro ancora.”
“Accenderemo quest’oggi tale candela, per grazia di Dio, in Inghilterra, quale io confido nessuno potrà spegnere mai” disse Beatty. Stoneman si volse a guardare il capitano e altrettanto fece Montag, interdetto.
Beatty si stropicciò il mento.
“Un uomo chiamato Latimer disse queste parole a un uomo chiamato Nicholas Ridley, dato che stavano per essere bruciati vivi come eretici, a Oxford, il 16 ottobre 1555.”
Montag e Stoneman tornarono a guardare la strada che sembrava scorrere fin tra le ruote della macchi-
na. (…)




Brano tratto dal romanzo Fahrenheit 451, traduzione di Giorgio Monicelli, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966.




Ray Bradbury
Ray Bradbury




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