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Sagarana LIBERO LIBRO


Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli


LIBERO LIBRO



 

Libero libro, aperto stai sulla sedia scarna come un uccello che svolga le sue ali o quando leggendo un uomo addormenta, immobile stai sul suo petto, come se vegliarlo fosse il tuo pronome; sei un mercenario nell’ombra della tasca, palpiti d’amore nel bagaglio del ragazzo, sempre uguale e sempre un altro, frugato da milioni di sguardi che cercano in te il proprio fuoco. 
 
Libero libro, con te si libra l’ottuso pensiero, da se stesso liberato in altre idee cade, con tutte le virgole, i punti di domanda, gli esclamativi e le tue sospensioni; sei in realtà uno sbatter di ciglia, ti chiudo e sparisci ma dentro me rimani, ti ripongo in fila ad altri, quasi ti nascondo, ma dentro tu pesi come fardello di un nuovo avvertire; non ti tradisco perché non mi hai tradito, quello che non dici è forse più certo di ciò che è scritto fra le tue pagine; a volte comincio a leggerti dalla fine, ti rovescio, ti scuoto, ti guardo al contrario, spesso ti guardo un po’ storto, perché mi hai tolto il sonno, mi hai fatto alzare nel colmo della notte per risponderti, per contrariarti, per finirti una volta per tutte. So che per sempre sarò condannato a leggerti, a tenerti stretto fino a consumarti, a volere anche una sola sbavatura del tuo inchiostro, perché invecchiando diventi più vero, come l’uomo.  
 
Libero libro, lasciaci un seme di bellezza e di grandezza, un’ampiezza per nominare il mondo, qualcosa che solo nel tuo silenzio brilla. Perché il primo libro è una roccia di caverna, una pietra consumata da elementi, una pittura nell’attesa della caccia. Il secondo libro è di cocci, di pietre tombali, un graffio sugli ornamenti degli dèi; il terzo libro è d’argilla, di terrecotte, una lastra sui ciottolati delle strade. Il quarto libro è vegetale, libro vivo per resinare il mondo, per lasciare il segno certo di un pensiero, libro di foglie di palma, di lino, di fresche cortecce e di membrane, libro di papiro quasi fiore. Il quinto libro è di carta, d’impasti fibrosi, di stracci di lino, di canapa e cotone, di legno in controluce, libro di filigrane. Con tutti questi libri percorriamo il mondo, un tratto di strada con un libro sottobraccio. Il fuoco in cui emergono e muoiono scritte le parole di un libro. Libere. Ora esatta della libertà in cui le leggeremo. Libro nato libero, di mano in mano essere, o nel nulla.
 
 
 
 
 
Da Pablo Neruda, Obras Completas II, 1999 Galaxia Gutemberg.
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
 
Ode al libro II
 
Libro,
bello,
libro,
minimo bosco,
foglio
dopo foglio,
odora
la tua carta
di elemento,
sei
mattutino e notturno,
cereale,
oceanico,
nelle tue pagine antiche
cacciatori d’ossa,
fuochi
lungo il Mississippi,
canoe
tra le isole,
più tardi
cammini
e cammini,
rivelazioni,
popoli
insorti,
Rimbaud come un ferito
pesce sanguinante
che palpita nel fango,
e la bellezza
della fratellanza,
pietra a pietra
sorge il castello umano,
dolori che intrecciano
la fermezza,
azioni solidali,
libro
occulto
di tasca
in tasca,
lampada
clandestina,
stella rossa.
 
Noi
poeti
camminanti 
esploriamo
il mondo,
in ogni porta
ci ricevette la vita,
partecipiamo
alla lotta terrestre.
Quale fu la nostra vittoria?
Un libro,
un libro colmo
di contatti umani,
di camicie,
un libro
senza solitudine, con uomini
e ferramenta,
un libro
è la vittoria.
Vive e cade
come tutti i frutti,
non solo ha luce,
non solo ha
ombra,
si estingue,
si sfoglia,
si perde
per le strade,
rovina sulla terra.            
Libro di poesia
di domani,
un’altra volta
torna
ad avere neve o muschio
fra le tue pagine           
perché le orme
o gli occhi
seguano imprimendo           
tracce:
nuovamente
descrivici il mondo,
le sorgenti
nello spessore,             
gli alti albereti,
i pianeti
polari,
e l’uomo
nei cammini,
nei nuovi cammini,
avanzando
nella selva,
nell’acqua,
nel cielo,
nella nuda solitudine marina,
l’uomo
che scopre
gli ultimi segreti,
l’uomo
che ritorna
con un libro,
il cacciatore di ritorno
con un libro,
il contadino
che ara
con un libro.
 
 
         
 
 
Da Enciclopedia de Maravillas Tomo II, di Laureano Albán, 1995.
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
 
Il libro
 
Il libro mi sta guardando.
Ha gli occhi chiusi.
Vede tutto con la sua notte
di pagine invisibili.
Invisibili dico, perché      
quelle che verranno lo cantano.
Lui non conserva la memoria,
conserva ciò che sogniamo.
Perché sogniamo anelate,
nude tutte le cose.
Per questo il libro dice
a ciascuno la sua stella:
quella di marmo, quella d’ombra,
quella del silenzio più fiero:
quella che trascina lontananze
e le spinge contro il sogno. 
 
Il libro ti sta guardando
con i suoi occhi iniziati
da una mano confusa
che inaugurò gli sciami.
Tutto nel libro si ferma
tra Dio e l’uomo che parlano,
come una finzione di polvere
che ha appreso eternità.
 
Rosa di carta e fuoco,
scudo contro il nulla,
moneta che ci lasciarono
le ferite scordate.
Il libro è cosa tanto seria
che gioca a sapersi il mondo,
ma non sa che solo
lo conosce chi lo inventò.
 
Il libro ci guarda tutti
dai suoi occhi chiusi.
Lì in file senza tempo,
piccoli dèi della brina
del ricordo e delle sue spade.
Se quando la notte giunge
con i suoi sciami d’argento,
e in silenzio, e in silenzio,
come cercatori d’albe,
ascoltate attentamente
attraverso la notte, udrete, dentro
le biblioteche affogate
della vita, l’alta vita
della vita nella parola
e universi che saranno
e furono o sono, lottando
per essere libro o nulla.
 
 
 
Da Texto sobre textodi Carlos Trujillo, 2009 Fundación Casa de Poesía.
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
 
Sulla scrittura
 
Come se scrivere fosse farsi trascinare dal foglio bianco
Cammino questa valle senza impronte né marchi né alberi
Né montagne né tetti addormentati
Traccio cerchi
Mi avvolgo e mi svolgo       
Confondo altro incedere col mio     
O i miei passi con altri
Che mai scoprirono un’impronta
Né strada né voce       
Vado e vado, vado e vado
E a volte torno e torno e torno e vado
Tutto avanza come si scrive                              
Come dire non si scrive né si avanza           
Si descrive e si arretra al retrocedere scritto
Si arretra la scrittura per dare un altro passo
Si strugge la vita come una matassa
Troppo avvolta per respirare sola
Seguo il filo                                            
Come se scrivere fosse muovere sopra un filo invisibile
Un filo introvabile della matassa         
Come se questo scrivere fosse solo scrivere        
Mi scrivo e mi creo
Disegno i miei occhi che apprendono a guardare
Il mio cuore che morde i suoi palpiti
Scivolo le parole sopra il foglio
Come una tenue ombra d’uccello che vola
Soave traccio la linea del mio orecchio
Profondo ascolto il mondo che queste linee dipingono
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Da Fuego soy, apartado y espada puesta lejosdi Gioconda Belli, 2007 Editorial Visor Libros.
(traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli)
 
Le parole
 
Circondandomi con i loro anelli                     
scendendo serpenti fra le mie chiome            
le parole
incontrano nel cammino immagini      
la vita segnata nel mio sangue.
Se la bevono, mi assorbono, mi dominano,         
si avvolgono nella mia pelle per comprimermi             
nulla esiste di me oltre le parole
feroci libertine del mio plasma.
Nel mio centro piantano nuovamente l’albero
lo caricano di mele, di manghi, di ciliegie.
Fanno tacere Dio            
promettono di rivelarmi
la bellezza che cerco
e che mi evade.     
 
 
La spugna nel cervello
 
Il neurochirurgo rinviene una spugna      
che cresce nel mio cervello
e chiede se duole.
Gli dico che invece mi porta
inquietudine.
 
Esilia il mare, gli dico, l’acqua
e soffre di un appetito vorace per le parole.
Apre la bocca e se le mangia, dico.
Mi ha resa un animale solitario         
che vive per alimentarla.
Solo il sogno la vince. Sogni acquamarina
nei quali fluttuano meduse trasparenti
o pagine che affondano nel mare.
 
Immaginatevi. Quanti libri non sono periti nelle maree?
Quanta carta non si è fermata sul fondo delle dune?
Chi ha calcolato le biblioteche
delle navi inabissate? 
I libri perduti per sempre?
Le chiesuole dei capitani ebbri?
Gli esseri umani lamentano le biblioteche incendiate
ma la mia spugna immagina manoscritti affogati
ed i miei sogni sono colmi di bottiglie
nei cui ventri giacciono lettere d’amore
che vivono nel limbo delle storie smarrite...  
 
Da Sotto quest’isoladi Julia Hartwig, a cura di Silvano De Fani, 2007 Donzelli.
 
Emily Dickinson
 
Due o tre strofe Ciascuna la si annota facilmente
tra il montare uova e ungere padelle
L’ispirazione arriva dalle prediche domenicali
dal quadrifoglio profumato e dalle scritte sulle tombe
Io sono Nessuno – scriveva di mattina alla finestra
oltre la quale la nebbia sottile della Nuova Inghilterra
scendeva come una tenda
dalle querce rossicce dell’autunno
Quelli che trovarono i suoi appunti
non sapevano che farsene da quanto erano numerosi
Da quelli hanno tolto capolavori
come castagne dal fuoco
 
 
 
Da Poesie e letteredi Emily Dickinson, traduzione di Margherita Guidacci, 1961 RCS Sansoni.
 
Bevve e mangiò le parole preziose;
s’irrobustì il suo spirito.
Così non pensò più alla povertà
né al suo corpo di polvere.
 
Danzò nei giorni opachi,
e il suo retaggio d’ali
non fu che un libro. Quale libertà
dà uno spirito sciolto dai suoi vincoli!
 
 




Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice Passigli di Firenze ha da poco pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi. Fra le sue precedenti pubblicazioni: “Il silenzio del cuore” (1985), “La lunga notte” (1987, Premio Giovani Città di Palermo), “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano), “L’oceano e altri giorni” (2005, finalista ai Premi Libero de Libero, Guido Gozzano e Ultima Frontiera e vincitore del Premio Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si svolge in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale dal 2007 propone principalmente autori del Costa Rica, mai tradotti in Italia; ha curato la pubblicazione di Eunice Odio “Questo è il bosco e altre poesie”, (2009, Menzione Speciale Camaiore per la traduzione) e di Laureano Albán“Gli infimi crepuscoli”, (2010).

Rosa Gallitelli è nata a Pisticci (Matera) nel 1969 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. Moglie del poeta Tomaso Pieragnolo, studiosa di poesia ispanoamericana, dal 2002 collabora alla ricerca e alla scelta di autori per pubblicazioni e riviste.





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