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Sagarana RACCONTO A MIO FIGLIO 2


Nāzim Hikmet


RACCONTO A MIO FIGLIO 2



 

Bambino mio, in un paese tra i tanti paesi viveva un tempo un vecchio dalla candida barba, più saggio che buono, più buono che saggio. Nella piazza più frequentata della più grande città del paese tra i tan­ti paesi dove viveva il vecchio dalla candida barba, si ergeva, alto come mille uomini più uno, un idolo dagli occhi rilucenti di pietre preziose, le chiome di pu­ro argento, il corpo d'oro massiccio.
I concittadini dell'uomo dalla candida barba, più saggio che buono, più buono che saggio, adoravano quell'idolo, figliolo: credevano, infatti, che l'idolo al­to come mille uomini più uno avesse creato il bene e il male e la fecondità e la sterilità e la bellezza e la bruttezza...
L'unico a non credere in quell'idolo, figliolo, era il nostro vecchio dalla candida barba, che in un primo tempo si tenne dentro la sua incredulità. Solo che, col passare degli anni, quel pensiero tenuto segreto comin­ciò a opprimergli il cuore, pesante come un macigno, e un bel giorno, quando non poté più sopportarlo, il vec­chio andò nella piazza dove sorgeva l'idolo, e gridò:
«Perché continuate ad adorare quest'idolo dagli occhi rilucenti di pietre preziose, dalle chiome di puro argento, dal corpo d'oro massiccio? Siete stati voi, con le vostre stesse mani, a erigerlo qui. E voi credete invece che sia stato lui a creare la vostra testa e le vostre mani; lui, che voi stessi avete fatto con la vostra testa e le vostre mani... Ma all'infuori della creatura non creata, senza inizio né fine, che muta incessantemente, non esiste altra essenza!»
Ebbene, figlio mio: i presenti. che ascoltavano le parole del vecchio più saggio che buono, più buono che saggio, in principio non capirono, poi si stupiro­no, più tardi s'arrabbiarono, infine cominciarono a lapidarlo raccogliendo grosse pietre da terra.
Una pietra tirò l'altra, e la candida barba del vec­chio si tinse di sangue.
Ma lui non si zitti. Più continuava a ripetere quello che riteneva giusto, quello che pensava, più au­mentava la potenza della sua voce, e più la potenza della sua voce aumentava, più lui ritornava giovane.
Così, bambino mio, mentre il vecchio dalla candi­da barba, sommerso da quella pioggia di pietre. rag­giungeva l'eterna giovinezza, i suoi persecutori in­vecchiarono, finché, curvi e con le mani tremanti, non furono più capaci di sostenere e difendere il lo­ro idolo.
E quell'uomo dal cuore più saldo della sua saggez­za, dalla saggezza più incrollabile del suo cuore, una volta raggiunta l'eterna giovinezza, abbatté con un solo pugno l'idolo alto mille uomini più uno.
E se tu, bambino mio, non ti vergognerai dì dichiarare che non credi in ciò in cui non credi, se sarai disposto a essere lapidato in nome di quello in cui tu credi, allora anche tu, come quell'uomo che una volta viveva in un paese tra i tanti paesi, quell'uomo più buono che saggio, più saggio che buono, raggiungerai l'eterna giovinezza.






(Racconto tratto dal libro “Il Nuvolo innamorato e altre fiabe”, Oscar Mondadori editrice, Milano, 2000. Traduzione di Gianpiero Bellingeri.)




Nāzim Hikmet

Nāzim Hikmet (Salonicco 1902 - Mosca 1963), poeta, romanziere, autore di teatro, saggista e giornalista, č conosciuto soprattutto per le sue Poesie d'amore (nella collezione Oscar). Durante gli anni Venti visse in Russia dove entrņ in contatto con le avan¬guardie. Rientrato in Turchia, per la sua opposizione al regime di Kemal Atatürk trascorse dodici anni in carcere, dal 1938 al 1950. Liberato, si trasferģ a Mosca, dove mori.





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