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Sagarana IL VOLONTARIO


Brano tratto dal romanzo La morte e il bambino


Stephen Crane


IL VOLONTARIO



 

(…) Mentre correva lungo la cresta della montagna, Peza credeva che la sua azione si stesse conqui­stando l'attenzione rabbiosa degli eserciti nemici. Era quindi per lui un'incredibile temerarietà ri­chiamare su di sé gli sguardi di migliaia di occhi odiosi. Si sentiva come un ragazzino indotto dai compagni di gioco a commettere un'imprudenza in una cattedrale. Era imbarazzato, e forse arrossì persino, mentre correva. Gli sembrava che tutta la solenne cerimonia della guerra si fosse fermata durante quella missione. Così si inerpicò con furia sulle rocce nella fretta di porre termine a quella
prova imbarazzante. Quando arrivò fra le trincee dei fucilieri piene di soldati ansiosi, voleva urlare dalla gioia. Nessuno lo notò, tranne un giovane ufficiale di fanteria, che disse: «Signore, che cosa volete?». Era chiaro che la gente si stava occupan­do principalmente dei fatti propri.
Peza affermò, in greco, che sopra ogni altra co­sa voleva combattere per la madrepatria. L'uffi­ciale annuì e indicò con un sorriso alcuni soldati morti: dalle coperte che li avvolgevano spuntava-no le scarpe impolverate.
«Sì, lo so, lo so» gridò Peza. Pensò che l'ufficia­le stesse alludendo poeticamente al pericolo.
«No» disse subito l'ufficiale. «Intendevo le mu­nizioni... una cartucciera. Prendete una cartuccie­ra da uno di loro.»
Peza si avvicinò con cautela ad un corpo. Mos­se la mano verso l'angolo della coperta: lì esitò, bloccato, come se il braccio gli si fosse trasforma­to in gesso. Udendo un rumore alle sue spalle, si voltò rapidamente: tre soldati della fila di trincee più vicina lo stavano guardando. L'ufficiale ri­tornò e gli batté sulla spalla. «Avete del tabacco?» Peza lo osservò stupefatto. Aveva la mano ancora tesa verso la coperta che nascondeva il soldato morto. «Si, ho un po' di tabacco» disse. Diede all'ufficiale il suo sacchetto. Come per ricompen­sarlo, l'altro ordinò ad un soldato di strappare via la cartucciera dal cadavere. Peza, dopo essersi messo a tracolla la lunga cartucciera ed averla in-
crociata sul petto, sentì che il morto l'aveva cir­condato con le sue braccia.
Un soldato diede un fucile a Peza facendogli un cenno gentile e un sorriso: il fucile era una reli­quia di un altro morto. Così, oltre alla presa del cadavere attorno al collo, sentì anche che il fucile era orribile e inumano come un serpente che vive in una tomba. Udì nelle orecchie un qualcosa di simile alle voci di quei due morti, e le loro voci basse gli parlavano di una morte sanguinosa e di mutilazioni. La cartucciera lo stringeva sempre più forte: voleva portarsi le mani alla gola come un uomo che sta soffocando. 11 fucile era viscido: sui palmi delle mani sentì il movimento dello scorrere pigro della vita di un serpente. Era stri­sciante e spaventoso.
Tutt'intorno a lui c'erano dei contadini che parlavano a bassa voce della battaglia, con i visi pieni di interesse. Di tanto in tanto un soldato emetteva lamenti semi-umoristici per descrivere la sua sete. Un uomo barbuto stava seduto e ma­sticava un grosso pezzo di pane duro: grasso, un­to, accucciato, sembrava un idolo fatto di sego. Peza avverti oscuramente che c'era una differenza tra quell'uomo e un giovane studente che sapeva scrivere sonetti e suonare il piano abbastanza be­ne. Quella vecchia testa di legno stava rosicchian­do con freddezza il suo pane mentre lui, Peza, ve­niva strangolato dalle braccia di un morto.
Si guardò alle spalle e vide che, per una qual-che fatalità, una delle teste spuntava dalla coper­ta. Due occhi liquidi lo fissavano in viso. La testa era girata un po' di Iato, come se cercasse il modo di esaminarlo meglio. Peza si sentì sbiancare: ve­niva trascinato da quei morti lentamente ma con fermezza giù fino a una camera mistica sotterra­nea, dove essi potevano camminare, figure terribi­li, gonfie e sporche di sangue. Era in loro potere, Io comandavano: se ne stava andando, andando, andando.
Quando l'uomo con l'elmetto bianco nuovo saettò verso le retrovie, molti soldati nelle trincee pensarono che fosse stato colpito, ma i più vicini a lui sapevano la verità, altrimenti avrebbero sen­tito il rumore morbido, frusciante e scorrevole della pallottola e il colpo sordo del suo impatto. Gli gridarono dietro insulti e anche esplosioni di auto-compiacimento e di vanità. Nonostante la predominanza della componente di vigliaccheria, erano in grado di scorgere in quello spettacolo un bel commento alla propria forza morale. Gli altri soldati pensarono che Peza fosse stato ferito al collo, perché mentre correva dava folli strattoni alla cartucciera, le braccia del morto. Il soldato con il pane smise di mangiare e fece un'osserva­zione cinica sulla velocità del fuggitivo.
Si udì improvvisamente la voce di un ufficiale che chiedeva gridando il calcolo della distanza dal nemico e il riassetto dei mirini. Lungo la linea ci furono una serie di rumori secchi e concitati. Gli
uomini volsero lo sguardo davanti a sé. Altre trin­cee sottostanti sulla destra si trovavano già nel pieno dell'azione. Il fumo saliva verso il cielo az­zurro. 1 soldato con il pane lo posò cori cura su un pezzo di carta accanto a sé e si girò mettendosi in ginocchio in trincea. (…)






(Brano tratto dal romanzo “La morte e il bambino”, Oscar Mondadori editrice, Milano, 1994. Traduzione di Anna Strambo)




Stephen Crane

Stephen Crane (1871-1900), originario di Newark (New Jersey), Stephen Crane era il quattordicesimo e ultimo figlio del ministro metodista Jonathan Townley Crane, trasferitosi nel 1876 con la famiglia prima a Paterson, sempre nel New Jersey, e poi a Port Jervis (New York), una cittadina che sarebbe diventata il luogo letterario di alcuni lavori di Crane: Whilomville Stories (1900), il romanzo The Third Violet (1896) e The Monster (1899), uno dei suoi più riusciti racconti. Dal 1888 al 1890 Crane frequentò l’Hudson River Institute a Claverack, New York, per poi trasferirsi al Lafayette College, dove, dopo solo sei mesi, abbandonò gli studi di ingegneria mineraria. Entrò quindi nella Syracuse University, ma anche qui mostrò interesse, più che per gli studi, per il baseball, il football e per la cittadina di New York City’s Bowery, conosciuta per i numerosi postriboli e per le case da gioco. Durante il primo semestre riuscì così a superare solo l’esame di Letteratura inglese seicentesca. Ma è anche in questo periodo che cominciò a collaborare come free-lance per il New York Tribune, iniziando quell’attività giornalistica che rimarrà sempre la sua principale fonte di guadagno. Il suo primo romanzo, Maggie, A Girl of the Streets (Maggie, ragazza di strada), presentato sotto lo pseudonimo di Johnston Smith, fu stampato con il contributo di uno dei suoi fratelli nel 1893 (e pubblicato solo qualche anno dopo da un editore). Nel romanzo, scritto nei giorni che precedevano il Natale del 1891, vi si racconta di una giovane prostituta che ricorre al suicidio per sfuggire alla propria condizione. Crane, offrendo al lettore una descrizione d’ispirazione naturalistica degli slums della città di New York, ottiene il favore di due influenti scrittori,Hamlin Garland[1] e William Dean Howells[2]. All’inizio del 1893 scrive la prima versione del suo secondo romanzo: The Red Badge of Courage (Il segno rosso del coraggio), pubblicato l’anno dopo sia negli Stati Uniti, dove diventa un bestseller, sia in Inghilterra dove raccoglie molti consensi. Crane, nonostante non avesse mai prestato servizio in zona di guerra, ma memore delle lezioni di storia impartitegli da John B. Van Patten (ufficiale durante la guerra civile americana),ricostruisce con realismo, in una prosa vivida ed impressionistica che evidenzia l’assurda logica della guerra, le vicende di un giovane soldato (Henry Fleming) e dei suoi compagni, messi di fronte alle paure e ai pericoli della battaglia. E fu Hemingway a definire il romanzo come “uno dei migliori libri della nostra letteratura”. Nel 1895 pubblica The Black Riders, la prima delle sue due raccolte di versi. Nel novembre del 1896 incontra Cora Taylor, una donna dai forti interessi letterari ma dalla discussa reputazione, che resterà sempre la sua compagna. La coppia, nel 1897, si trasferì in Inghilterra dove venne subito accettata nel circolo degli scrittori anglo-americani, del quale facevano parte Henry James, Joseph Conrad, Harold Frederic e Ford Madox Ford. Nel contempo Crane svolse l’attività giornalistica come inviato, seguendo le vicende messicane, la guerra greco-turca del 1897 e quella ispano-americana dell’anno seguente. Anche nei racconti The Open Boat and the Other Tales of Adventure (La scialuppa e altri racconti d’avventura) 1898, The Bride comes to Yellow Sky (La sposa arriva a Yellow Sky) 1897, The Blue Hotel (La locanda azzurra) 1899, Crane sviluppa il suo stile, con il quale cerca di coinvolgere il lettore attraverso scene che uniscano la forza dei fatti (con una grande attenzione per i dettagli) alle emozioni e ai sentimenti dei protagonisti, attingendo ad una sua particolare vena naturalistica, e contribuendo così in modo originale all’affermazione della poesia e della prosa americana del ‘900. Nell’ultimo anno di vita soffre per i crescenti attacchi di tubercolosi, aggravati dall’intenso lavoro cui si sottopone. Con i soldi provenienti dagli anticipi per i suoi lavori e con l’aiuto degli amici, Cora e Stephen si trasferiscono a Badenweiler in Germania dove, in un sanatorio della Foresta nera, il 5 giugno del 1900, Stephen Crane muore all’età di ventotto anni.





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