Torna alla homepage

Sagarana UN PIANETA MALATO


– Scritto da Guy Debord nel 1971, questo testo era destinato alla pubblicazione sull'Internazionale Situazionista 13, che non è mai uscito. È stato pubblicato per la prima volta in francese nel 2004. Si può anche trovare in Guy Debord, opere (Paris, Gallimard, 2006, pp. 1063-9) –


Guy Debord


UN PIANETA MALATO



 

«L'inquinamento» va di moda oggi, esattamente allo stesso modo della rivoluzione: domina la vita della società ed è rappresentato in forma illusoria nello spettacolo. È oggetto di chiacchiere in una pletora di scritti e discorsi errati e mistificati, ma che fanno gola a tutti. È ovunque in mostra come ideologia, eppure guadagna continuamente terreno come materiale di sviluppo. Due tendenze antagoniste, la progressione verso la forma più alta di produzione delle materie prime e il progetto della sua negazione totale, altrettanto ricche di contraddizioni al loro interno, crescono sempre più forti parallelamente l'una all'altra Qui ci sono i due aspetti con cui un unico momento storico a lungo atteso e spesso descritto in anticipo in termini parziali e insufficienti, ora è reso manifesto: il momento in cui per il capitalismo diventa impossibile andare avanti.
 
Un'epoca che possiede tutti i mezzi tecnici necessari per la completa trasformazione delle condizioni di vita sulla terra è anche quella che – grazie a quello stesso sviluppo tecnico e scientifico separato – ha la possibilità di conoscere e di prevedere, con certezza matematica, proprio dove (e da quale data) l'aumento automatico delle forze produttive alienate della classe sociale ci sta portando: sia nel senso più generale che in quello più banale del termine.
 
I chiacchieroni ottusi continuano a dire fesserie circa (contro) la critica estetica di tutto questo, credendosi realistici e moderni in sintonia con i loro tempi quando sostengono che le autostrade o l'alloggio pubblico di un luogo come Sarcelles hanno la loro bellezza – una bellezza preferibile dopotutto al disagio di 'pittoreschi' vecchi quartieri. Questi 'realisti' osservano solennemente che la popolazione nel complesso, al ritmo di quelle cucine nostalgiche prese per 'genuine', ora mangia molto meglio di prima. Ciò che non riescono a cogliere è che il problema della degenerazione della totalità dell'ambiente naturale e umano ha già cessato di presentarsi in termini di perdita di qualità, sia estetica che di qualsiasi altro tipo; il problema ora è diventato quello più fondamentale di un mondo capace di seguire un corso che permetta la sua sopravvivenza. Effettivamente, l'impossibilità di farlo è perfettamente dimostrata dalla totalità delle conoscenze scientifiche obiettive che non dibattono più nulla in proposito, fatta eccezione per il periodo di tempo ancora rimasto e per le misure palliative che potrebbero concettualmente, se applicate con fermezza, evitare un disastro per un po'. La scienza può fare più di una passeggiata mano nella mano con il mondo che ha prodotto – e che essa mantiene fermo – lungo il percorso di distruzione; inoltre è obbligata a farlo con gli occhi aperti. Essa incarna così – quasi come una caricatura – l'inutilità della conoscenza se non applicata.
 
Vengono continuamente compiute accurate misure e proiezioni riguardanti il rapido aumento dell'inquinamento chimico dell'atmosfera respirabile, come dei fiumi, dei ruscelli e, anche, degli oceani; l'irreversibile accumulo di rifiuti radioattivi che accompagna lo sviluppo dell'energia nucleare per scopi cosiddetti pacifici; gli effetti del rumore; la difusione dei rifiuti di plastica che minaccia di trasformarsi in una discarica eterna di rifiuti; tassi di natalità selvaggiamente fuori controllo; il folle deterioramento dei prodotti alimentari; l'espansione urbana che ovunque va oltre ciò che erano una volta la città e la campagna; e, allo stesso modo, la diffusione della malattia mentale – comprese le paure nevrotiche e le allucinazioni che sono legate al proliferare dell'inquinamento, le allarmanti caratteristiche di cui siamo etichettati in tutto il mondo – e del suicidio, il cui il tasso di aumento accelera di pari passo con la costruzione di quest'ambiente (per non parlare degli effetti della guerra nucleare o batteriologica, i mezzi per la quale sono già a portata di mano, incombono su di noi come la spada di Damocle, anche se, naturalmente,ciò è evitabile).
 
In breve, se la portata e persino la realtà degli orrori dell'anno 1000 sono ancora oggetto di controversie tra gli storici, il terrore dell'anno 2000 è tanto evidente quanto fondato; infatti, ora si basa sulla certezza scientifica. Al tempo stesso, ciò che sta accadendo non è del tutto nuovo: piuttosto, è semplicemente l'ineluttabile esito di un processo di lunga data. Una società che è sempre più malata, ma sempre più potente, ha ricreato il mondo – ovunque e in forma concreta – come l'ambiente e il contesto del suo malessere: ha creato un pianeta malato.
 
Una società che non ha ancora raggiunto l'omogeneità, e che è non ancora auto-determinata, ma invece è sempre più determinata da una parte posizionata sopra di sé, esterna a sè, ha messo in atto un processo di dominio della Natura che non ha ancora stabilito un dominio su se stesso. Il capitalismo ha alla fine dimostrato, in virtù delle proprie dinamiche, che non è più possibile sviluppare le forze della produzione – e questo, non in senso quantitativo, come molti l'hanno colto, ma piuttosto qualitativo.
 
Per il pensiero borghese, tuttavia, parlando metodologicamente, solo la quantità è valida, misurabile ed efficace, mentre la qualità non è più di una vaga cosa soggettiva o di un'artistica decorazione del vero, che è calibrata esclusivamente dal suo effettivo peso. Per il pensiero dialettico, al contrario, e quindi per la storia e per il proletariato, la qualità è la dimensione più decisiva del progresso reale. Questo è ciò che il capitalismo da un lato e noi dall'altro, alla fine avremo dimostrato.
 
I padroni della società ora sono tenuti a parlare dell'inquinamento, sia al fine di combatterlo (dopotutto vivono sul nostro stesso pianeta – che è l'unico criterio in base a cui si può affermare che lo sviluppo del capitalismo in effetti ha portato ad una fusione di classe) sia al fine di nasconderlo, per il semplice fatto che l'esistenza di tali tendenze nocive e pericolose costituisce un forte movente per la rivolta, un'esigenza essenziale degli sfruttati, vitale come la lotta dei proletari del XIX secolo per il diritto di mangiare. In seguito al fallimento fondamentale dei riformismi del passato – tutti, senza eccezione, aspiravano alla soluzione definitiva del problema di classe – sta sorgendo un nuovo tipo di riformismo che risponde alle stesse esigenze dei precedenti, vale a dire la lubrificazione della macchina e l'apertura di nuove zone redditizie per imprese all'avanguardia. Il settore più moderno dell'industria è in corsa per partecipare con vari palliativi all'inquinamento, vedendoli come tante nuove opportunità che rendono tutto più attraente per il fatto che una buona parte del capitale monopolizzato dallo stato è disponibile per gli investimenti e la manipolazione in questa sfera. Mentre questo nuovo riformismo è garantito che fallirà per lo stesso identico motivo, come i suoi predecessori, si differenzia radicalmente dai precedenti in quanto è fuori dal tempo.
 
La crescita della produzione ha finora interamente confermato la sua natura come la realizzazione dell'economia politica: come la crescita della povertà, che ha invaso e devastato il tessuto stesso della vita. Una società in cui i produttori uccidono se stessi lavorando e non possono farci nulla, ma contemplano il prodotto del loro lavoro, che ora permette in tutta trasparenza di vedere – e respirare – il risultato generale del lavoro alienato, che si è dimostrato letale. Questa società è regolata da un'economia troppo sviluppata che trasforma tutto – l'acqua sorgiva e persino l'aria di città – in beni economici, vale a dire che tutto è diventato un'economia malata – che è la negazione completa dell'uomo che ha ormai raggiunto la sua conclusione materiale perfetta. Il conflitto nel capitalismo tra moderne forze produttive e rapporti di produzione, borghesi o burocratici, è entrato nella fase finale. Il tasso di produzione della non-vita è aumentato continuamente nel suo corso lineare e cumulativo; una soglia finale che è appunto stata superata in questa progressione, quella che è attualmente prodotta è, esattamente, la morte.
 
In un mondo in cui i datori di lavoro esercitano tutto il potere grazie all'istituzione del lavoro come una merce, l'ultima funzione, riconosciuta ed essenziale dell'economia sviluppata di oggi, è la creazione di occupazione. In realtà un grido lontano dall'aspettativa progressista del XIX secolo, in cui la scienza e la tecnologia volevano ridurre il lavoro umano, aumentando la produttività e quindi più facilmente soddisfare le esigenze sinora ritenute reali da parte di tutti, senza alcun fondamentale cambiamento nella qualità dei prodotti resi disponibili a tal fine. Tutto il resto viene fatto per il bene della “creazione di posti di lavoro” (anche in paesi ora privi di contadini), vale a dire per ragioni di utilizzo del lavoro umano come lavoro alienato, come lavoro salariato; e dunque che, stupidamente, sono messe a rischio le fondamenta stesse della vita delle specie – attualmente ancora più fragili rispetto al naufragio di un Kennedy o un Brezhnev.
 
Il vecchio oceano in sé se ne frega dell'inquinamento, ma la storia non è affatto indifferente ad esso. La storia può essere salvata solo con l'abolizione del lavoro come merce. E la coscienza storica non è mai stata in così grande e urgente necessità di padroneggiare il suo mondo, per il nemico alle sue porte che non è più illusione, ma la sua stessa morte.
 
Quando i capi pietosi di una società il cui infelice destino è ora visibile – un destino molto peggiore, si è detto, di quello evocato perfino nelle violente denunce degli utopisti più radicali di periodi precedenti – sono obbligati ad ammettere che il nostro ambiente è diventato un problema sociale e che la gestione di tutto ciò è diventata direttamente politica, fino all'erba dei campi e alla possibilità di bere l'acqua, di dormire senza pillole o di lavarsi senza sviluppare piaghe – in tali circostanze, è ovvio che la vecchia politica specialistica deve necessariamente dichiararsi totalmente fallita.
 
Davvero il fallimento, nell'espressione suprema della sua volontarietà, cioè il potere totalitario burocratico dei cosiddetti regimi socialisti, dove i burocrati al potere si sono dimostrati incapaci di gestire anche la prima fase dell'economia capitalistica. Se questi regimi inquinano molto meno (gli Stati Uniti da soli producono il 50 per cento dell'inquinamento di tutto il mondo), è semplicemente perché sono molto più poveri. Un paese come la Cina, se vuole mantenere il rispetto come potenza tra le nazioni più povere, non ha altra scelta che sacrificare una parte sproporzionata del suo bilancio esiguo per produrre un'accettabile quantità di inquinamento, come ad esempio per la (ri)scoperta o il ritocco della tecnologia della guerra termonucleare (o, più precisamente, dello spettacolo terrificante della guerra termonucleare).
 
Tale alto quoziente di povertà, sia materiale che mentale, rafforzato da tanto terrore, porta ad un mandato di morte per le burocrazie attualmente al potere. Ciò che condanna le più moderne forme di potere borghese, al contrario, è un eccesso di ricchezza che in effetti è avvelenata. La gestione apparentemente democratica del capitalismo, in qualsiasi paese, non offre nulla, tranne le vittorie elettorali e le sconfitte che – come è sempre stato evidente – non hanno mai cambiato nulla in generale e ben poco in particolare riguardo ad una società di classe che immagina di poter durare per sempre.
 
Né il fare elezioni cambia nulla di più in quelle occasioni, quando il sistema di gestione entra in crisi e influenza qualche vago desiderio di orientantarsi nella risoluzione dei problemi secondari ma urgenti da parte di un elettorato alienato e stupefatto (come negli Stati Uniti, in Italia, in Gran Bretagna e in Francia). Tutti gli esperti l'hanno chiaramente notato – senza preoccuparsi di spiegare il fatto che gli elettori quasi mai cambiano le loro opinioni, poichè gli elettori sono persone che, per un breve istante, assumono un ruolo astratto che è stato progettato, precisamente, per impedire loro di esistere nel loro diritto e, quindi, di cambiare. (Questo meccanismo è stato analizzato innumerevoli volte dalla scienza politica critica così come dalla psicoanalisi rivoluzionaria).
 
Né gli elettori sono più propensi a cambiare, perché il mondo che li circonda sta cambiando sempre più precipitosamente: gli elettori non cambierebbero nemmeno se il mondo stesse volgendo al termine. Ogni sistema rappresentativo è essenzialmente conservatore, mentre le condizioni di una società capitalista non sono mai state propense alla conservazione. Sono continuamente e sempre più rapidamente in fase di modifica, ma in definitiva favorendo l'economia di mercato – sono lasciate interamente ai politici che non sono niente più che dei pubblicisti, sia che corrano incontrastati o contro altri che stanno andando a fare la stessa cosa – e lo dico forte. Però la persona che ha appena votato 'liberamente' per i Gollisti o per il Partito Comunista Francese, come qualcuno che è stato costretto a votare per un Gomulka, è perfettamente in grado di additare chi sono veramente una settimana più tardi partecipando ad uno sciopero selavaggio o ad un'insurrezione.
 
Nella sua forma statale e regolamentata, la "lotta contro l'inquinamento" è tenuta, in un primo momento a supporre non più di nuove specializzazioni, ministeri, posti di lavoro per i ragazzi e promozioni all'interno della burocrazia. L'efficacia della lotta sarà perfettamente in sintonia con tale approccio. Mai esso porterà ad una reale volontà di cambiamento, fino a che l'attuale sistema di produzione non sarà del tutto trasformato. Non sarà mai vigorosamente portato avanti con tutte le decisioni pertinenti, prese democraticamente e nella piena consapevolezza dei problemi da parte dei produttori, che sono definitivamente monitorate ed eseguite dai produttori stessi (i petrolieri inevitabilmente riverseranno il loro carico nell'oceano, per esempio, fino a quando non verranno portati sotto l'autorità dei soviet di veri marinai). Prima che i produttori si possano regolare e agire su tali questioni, tuttavia, devono diventare adulti: conquistare il potere e dosarlo.
 
L'ottimismo scientifico ottocentesco si fondava su tre questioni principali. La prima era l'affermazione che l'avvento della rivoluzione era certo e che essa avrebbe garantito la felice risoluzione dei conflitti esistenti; questa era l'illusione della sinistra-hegeliana e marxista, la meno acutamente sentita tra l'intellighenzia borghese, ma la più ricca e in definitiva la meno illusoria. La seconda era una visione dell'universo, o anche semplicemente della materia, come armoniosa. E la terza era una concezione euforicamente lineare dello sviluppo delle forze di produzione. Una volta venuti a patti con la prima affermazione ci occuperemo per estensione della terza, consentendoci, seppure molto più tardi, di affrontare la seconda, per farne ciò che è per noi la posta in gioco. Non sono i sintomi, ma la malattia stessa che deve essere curata.
 
Oggi la paura è ovunque e noi la sconfiggeremo solo attraverso la nostra forza, la nostra capacità di distruggere ogni tipo esistente di alienazione e ogni simbolo del potere da noi strappato: solo sottomettendo tutto – tranne noi stessi – al potere esclusivo dei consigli dei lavoratori, che possiedono e continuamente ricostruiscono la totalità del mondo – sottomettendo tutto, in altre parole, a un'autentica razionalità, a una nuova legittimità.
 
Tanto per l'ambiente 'naturale' e antropizzato, quanto per i tassi di natalità, la biologia, la produzione, la "follia" e così via, la scelta non sarà tra la festa e l'infelicità, ma, piuttosto, consapevolmente e ogni volta, tra una miriade di possibilità da un lato, felici o disastrose, ma relativamente reversibili e niente dall'altro. Le scelte terribili del prossimo futuro, al contrario, portano a una sola alternativa: totale burocrazia o totale democrazia. Quelli con perplessità sulla democrazia totale dovrebbero provare a testare le sue possibilità per se stessi dandole la possibilità di dimostrarsi in azione; in caso contrario, essi potrebbero pure scegliere per se stessi questa lapide, come fece Joseph Déjacque, 'Abbiamo visto l'Autorità al lavoro e il suo lavoro la condanna assolutamente.'
 
Lo slogan «Rivoluzione o Morte!» non è più l'espressione lirica della coscienza in rivolta: piuttosto, è l'ultima parola del pensiero scientifico del nostro secolo. Vale per i pericoli di fronte alle specie come per l'incapacità degli individui che vi appartengono. In una società dove è ben noto che il tasso di suicidi è in aumento, gli esperti hanno dovuto ammettere, a malincuore, che in Francia durante il maggio 1968 è diminuita tantissimo. Quella primavera ci ha concesso anche un cielo limpido e lo ha fatto senza fatica, perché alcune vetture furono bruciate e la mancanza di benzina impedì agli altri di inquinare l'aria.
 
Quando piove, quando ci sono nubi di smog su Parigi, non dimentichiamo che è colpa del governo.
 
La produzione industriale alienata fa piovere.
 
La rivoluzione porta il sole.
 
 
 
                                                                       (Tratto da Kagablog – Kaganof.com)
 
 
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
 
 
LA RESURREZIONE DI GUY DEBORD
 
L'abile ribelle situazionista è stato alla fine riconosciuto in Francia come un 'tesoro nazionale' – ma egli l'avrebbe apprezzato?
 
Debord ha co-fondato l'Internazionale Situazionista, che dava forma alle proteste studentesche parigine del 1968.
 
Ernest Guy Debord si rigirerebbe nella sua tomba – non era stato cremato dopo il suo suicidio nel 1994. L'abile ribelle che si inorgogliva sull'odio universale pienamente meritevole   della società è stato ora ufficialmente riconosciuto nella sua patria come un "tesoro nazionale".
 
Il governo francese è debitamente intervenuto per impedire l'acquisizione da parte della Yale University dei suoi archivi personali, che contengono quasi tutto ciò che egli ha prodotto dagli anni Cinquanta in poi: film, note, bozze, lavori inediti e correzione di bozze, come pure la sua intera libreria, la macchina da scrivere e gli spettacoli. La punta di diamante è, naturalmente, il manoscritto The society of the spectacle, il devastante attacco preventivo di Debord sulla realtà virtuale. Il piccolo tavolo di legno sul quale il suo magnum opus è stato composto è anche stato buttato.
 
 
È difficile trasmettere com'è bizzarro ascoltare Christine Albanel – il Ministro della cultura di Sarkozy – che descrive il rivoluzionario Debord come "uno degli ultimi grandi intellettuali francesi" della seconda metà del XX secolo. Un amore tra un risorto Andreas Baader e Angela Merkel sarebbe solo marginalmente più sorprendente. In più, gli intellettuali sono stati parte di una specialità francese sin dall'Affare Dreyfus. Essi hanno avuto lo status privilegiato solitamente riservato ad artisti del calibro di Bono su quelle sponde. Il funerale di Jean-Paul Sartre, nel 1980, ha attratto circa 50.000 scommettitori. Dubito che Noam Chomsky o Tom Paulin lo supereranno.
 
Ma nonostante la sua incongrua posizione, Madame Albanel è inguaiata : nessuno – nemmeno i suoi nemici ideologici giurati – possono negare l'importanza di Debord. Anche se il giovane burlone si è trasformato presto in un ubriacone vecchio e musone, la sua influenza è totalmente dilagante. In realtà, è stato proprio perché odiava il mondo moderno con passione che egli era in grado di analizzarlo in modo così preveggente. "Tutto ciò che è stato una volta direttamente vissuto è diventato mera rappresentazione", egli osserva nelle pagine di apertura de The society of the spectacle – una dichiarazione che è solo cresciuta in veridicità da quando l'ha fatta, nel 1967.
 
Howls for Sade, il suo primo film, certamente non fu una "mera rappresentazione". Era l'equivalente cinematografico di un incontro tra i monocromi di Yves Klein e il 4'33” di John Cage: lo schermo rimane completamente bianco, quando c'è qualche dialogo, e tutto nero per il resto del tempo. Durante gli ultimi 20 minuti, il film si svolge fuori nel silenzio totale e nell'oscurità.
 
Guy Debord ha co-fondato non uno, ma due, movimenti radicali: l'Internazionale Lettrista (1952) e il più famoso Internazionale Situazionista (1957), che divulgò concetti come "dérive" e "détournement". L'ora di gloria dei situazionisti è stata senza dubbio la rivolta degli studenti del maggio 1968, che essi svilupparono in parte , ma che ha mantenuto la loro influenza sulla crescita, da allora, da Malcolm McLaren e dal lavoro di Jamie Reid con i Sex Pistols all'attuale raccolto degli psicogeografi britannici (Iain Sinclair, Will Self, Stewart Home e altri) tramite la Factory Records e l'etica dell'anti-lavoro di Idler.
 
 
Nel 1959, Debord e l'artista Asger Jorn pubblicarono Memoires, che fu rilegato in carta vetrata, in modo che si attaccasse a qualsiasi libro collocato vicino. Per anni, questa copertina letale è servita come simbolo perfetto dell'abrasività di Debord: era l'outsider finale le cui idee non potrebbero mai essere assimilate alla corrente principale. Dunque che cosa è andato storto?
 
 
Il riconoscimento ufficiale del lavoro di Debord tende a dissociare il rivoluzionario dallo scrittore il cui stile di prosa classico è stato confrontato con quello di un grande memorialista come Saint-Simon. Questo nega la convinzione situazionista che politica, letteratura e arte debbano andare di paripasso: "il punto è non mettere la poesia al servizio della rivoluzione, ma mettere la rivoluzione al servizio della poesia". La rivoluzione doveva portare alla "soppressione dell'arte", consentendo agli esseri umani di vivere la poesia e diventare opere d'arte. Da questo punto di vista, Debord appartiene alla tradizione dei dadaisti e dei surrealisti come Jacques Vaché, Arthur Cravan o Boris Poplavsky.
 
 
"Non esiste un libro morale o immorale," scrisse il famoso Oscar Wilde. "I libri sono o ben scritti o mal scritti. Questo è tutto." I francesi hanno fatto a lungo proprio questo aforisma, come esemplificato dall'accoglienza riservata a gente del calibro di Rimbaud, Céline, Jean Genet o Dennis Cooper. Sembra che l'unico crimine che può commettere un autore dall'altro lato del Canale sia scrivere male – anche se si può sempre contare su un assassino per uno stile prosastico bizzarro. (Andrew Gallix, The Guardian)






Traduzione di Silvia Renghi (texas.translation@email.it)




Guy Debord
Guy Debord




    Torna alla homepage copertina I Saggi La Narrativa La Poesia Vento Nuovo