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Sagarana IL MONDO FATTO CARNE


Perry Anderson


IL MONDO FATTO CARNE



 

Nel mondo occidentale, le priorità sociali sono in continuo mutamento, poiché diventano prevalenti nuove istanze – il sistema pensionistico, i flussi immigratori, i diritti della procreazione e gli accordi matrimoniali –, ciascuna delle quali è fonte di una vasta letteratura. Fra le opere di sinistra si distinguono Banking on Death di Robin Blackburn, e Between Sex and Power di Göran Therborn; fra quelle di destra, La grande distribuzione: la natura umana e la ricostruzione di un nuovo ordine sociale e L’uomo oltre l’uomo: le conseguenze della rivoluzione biotecnologica di Francis Fukuyama sono state oggetto di critiche favorevoli. I cambiamenti in atto hanno trovato una collocazione antropologica più ampia in Métamorphoses de la parenté di Maurice Godelier. In modi diversi, tutti questi saggi mirano a inserirsi nel filone sociologico. Il trionfo del corpo appartiene a un altro genere: è un saggio filosofico corredato da una straordinaria abbondanza di dati – benché poco documentati – che vengono presentati con una causticità intellettuale e una vivacità letteraria, ancor oggi tipicamente francesi.
L’autore, Hervé Juvin, potrebbe anche essere considerato un fenomeno locale. Nelle società anglosassoni affari e cultura sono due mondi estranei che nel migliore dei casi – se si esclude l’esempio insigne di Walter G. Runciman che rappresenta un ritorno alla ricchezza ereditaria dell’epoca di Lord Archibald Rosebery o di Arthur James Balfour che a quella della CBI – producono zelanti scritti apologetici di medio livello simili al Just Capital di Adair Turner. In Francia, al contrario, il dirigente intellettuale non è un personaggio insolito. Nei suoi scritti, Juvin, che lavora in campo assicurativo, non esprime idee politiche particolari, anche se non è difficile intuire per quale schieramento simpatizzi dal momento che collabora con «Débat», la rivista più vivace del centro-destra in Francia.
Tema di Il trionfo del corpo è l’epoca in cui, nel mondo occidentale, il corpo umano ha cominciato a diventare preminente rispetto a tutti gli altri metri di valore, provocando una frattura tra l’esperienza dei contemporanei e quella dei predecessori, così come fra l’Occidente e il resto del mondo.
Alla base di questo cambiamento radicale c’è lo straordinario allungamento della vita. Nel 1789, all’epoca della rivoluzione francese, la vita media in Francia era di 22 anni, nel 1900 era di poco al di sotto dei 45, mentre oggi è di 75 anni per gli uomini e di 83 per le donne, e continua ad allungarsi. «Una francese su due, nata dopo il 2000, ha buone probabilità di vivere fino a 100 anni.» L’allungamento della vita è «il dono che un secolo di ferro e sangue ci ha lasciato – il dono di una vita la cui durata si è raddoppiata». Questo dono, alla cui base c’è «l’invenzione di un corpo nuovo che si contrappone al bisogno, alla sofferenza, al tempo e perfino al mondo – il mondo della natura che rappresentava il suo destino», è riservato solo ai ricchi: «Nell’arco di cinquant’anni, fra l’Europa e i suoi vicini del Sud si creerà un divario di notevoli proporzioni, quando l’età media della sua popolazione supererà i 50 anni, mentre quella degli abitanti del Maghreb
rimarrà al di sotto dei 30.»
Questa longevità, che senza dubbio è il risultato dei progressi fatti dalla medicina tradizionale, è dovuta anche alla nuova «industria della vita», ormai in grado di far nascere al di fuori dei rapporti sessuali esseri umani che sono veri e propri prodotti di laboratorio. In futuro sarà l’eugenetica a
determinare l’ingresso nella vita, così come l’eutanasia ne regolerà la dipartita. Già adesso l’isolamento sociale incide sulla morte degli anziani più del decadimento fisico, e non è lontano il giorno in cui la gente morirà per la delusione e il distacco nei confronti di un mondo che non riconosce più come suo: non sarà più il corpo a tradire la vita, ma sarà lo spirito che abbandonandola tradirà il corpo. Il passo successivo sarà la «morte attiva, voluta e scelta, come ultimo stadio nell’invenzione di un nuovo tipo di corpo», logica conclusione di «una vita concepita come proprietà, come oggetto per eccellenza di scelte individuali e di esercizio del
libero arbitrio».
Mentre sono in atto queste oscillazioni, i laboratori dove si cura, si ripara, si trasforma e si perfeziona il corpo proliferano, e la spesa per i prodotti dietetici e di bellezza, o per la chirurgia estetica aumenta vertiginosamente. I visi rifatti di Madonna e Mariah Carey sono le nuove icone della bellezza e tutti, indipendentemente dai livelli di istruzione e di carriera, percepiscono le forti motivazioni che ne sono alla base.
Lo stesso divario è presente in ogni fase della vita: i bambini giudicati di bell’aspetto dai coetanei e dagli adulti hanno il 40%di probabilità in più di terminare gli studi senza incidenti di percorso, proprio come, nel mondo del lavoro, le persone ritenute di bell’aspetto dai colleghi e dai superiori hanno il 40% di probabilità in più di fare carriera – oltre ad avere più chance di incontrare un uomo affascinante o una donna giovane e attraente che li aiuterà a progredire nella vita.
Che l’aspetto fisico sia diventato un elemento indispensabile per raggiungere il successo nella vita pubblica è particolarmente evidente fra gli uomini politici.
Liberato dalla fatica fisica, protetto dalle malattie del passato, potenziato da nuovi ritrovati, destinato a vivere più a lungo, il corpo re-inventato si libera dagli obblighi e dai vincoli tradizionali trasformandosi in una macchina che produce piacere fine a se stesso. Con questa trasformazione, il matrimonio come veniva inteso una volta – ossia come «istituzione che non aveva nulla a che fare con il desiderio o il piacere della coppia, ma che mirava solo alla procreazione della prole, alla continuazione della stirpe e alla conservazione del patrimonio» – non ha più senso. Come fanno notare i sessuologi: Se il numero di prestazioni è strettamente collegato al numero dei partner, la fedeltà coniugale non è contraria al nostro dovere morale di inseguire il benessere? A quanto pare i francesi hanno recepito il messaggio. Nelle società urbane, più di un matrimonio su due finisce con il divorzio o con la separazione.
Nel 2002, il francese medio è risultato essere più fedele alla sua banca che alla moglie – la sua fedeltà basata sull’amore dura sedici anni, quella basata sul denaro ventidue. Per quel che riguarda i figli, l’allungamento della vita riduce l’interesse di una generazione a produrne un’altra. Quando si riproduce, un individuo consuma una parte importante del suo patrimonio biologico. L’attuale scelta di non riprodursi o di farlo solo raramente e con parsimonia può essere vista come un desiderio di prolungare la vita. Al limite, una generazione che vivesse per sempre non avrebbe alcun bisogno
di riprodursi.
Le conseguenze di questo assottigliamento dei fili che legano una generazione a quella successiva saranno pesantissime per i bambini che nasceranno nel nuovo ordine. Essi vivranno isolati non solo rispetto ai genitori, sempre più concentrati su se stessi, ma anche rispetto a ogni forma di cultura o di rapporto con la natura che un tempo consentivano di tramandare l’esperienza da una generazione all’altra. I nati nel nuovo ordine abiteranno in un mondo digitale virtuale, dove non esisteranno più confini fra realtà e finzione.
Negli Stati Uniti, seguiti a ruota dalla Francia e dagli altri Paesi europei, la maggior parte dei bambini fra i tre e i dodici anni passa più tempo davanti a uno schermo – televisore, computer,
videogame, cellulare – che in compagnia dei genitori, degli insegnanti o degli amici. In media i bambini restano incollati a questi apparecchi cinque ore al giorno, contro le quattro trascorse con gli insegnanti, le tre con gli amici e poco più di un’ora con i genitori.
In queste condizioni, la trasmissione di usanze e valori, un tempo garantita dalla famiglia, dalla scuola, dall’esercito, dalla chiesa o dal partito, tende a ridursi alla trasmissione di un solo valore: il denaro, quasi fosse una sorta di risarcimento per aver rinunciato a tutto il resto. I patrimoni ereditari diventano sempre più ingenti, come gli investimenti sul futuro dei figli – a cominciare dalle scelte di un itinerario scolastico privilegiato che garantisca ottimi risultati nel mondo del lavoro – anche se questo allarga il divario ideale e morale fra genitori e prole.
Quali conclusioni trae Juvin dal suo ritratto di una società dominata dal corpo re-inventato? Dal punto di vista economico, i genitori potranno lasciare ai figli patrimoni sempre maggiori, ma costoro prenderanno – e continueranno a prendere – molto di più dalla società in generale, in virtù di una gigantesca ridistribuzione delle risorse che attraverso il sistema pensionistico è destinata a ricadere sulle nuove generazioni stesse. In Francia, osserva Juvin, il potere di acquisto dei pensionati è esploso negli ultimi trent’anni: nel 1980 una coppia di lavoratori poteva aspirare a percepire una pensione tripla rispetto a quella che sarebbe stata riconosciuta nel 1956 ai loro genitori. Infatti, dopo la guerra il potere d’acquisto dei pensionati è aumentato di sei volte e quello dei lavoratori salariati solo di quattro. I benefici sociali – non solo le pensioni, ma anche ogni tipo di
esenzione fiscale e di servizi sovvenzionati o gratuiti – sono andati in gran parte a coloro che hanno smesso di lavorare, creando un sistema il cui deficit ammonterà entro breve tempo a circa il 10% del PIL. Una simile concentrazione di risorse non potrà durare a lungo. «Presto o tardi si creerà un
tale accumulo di privilegi che la spesa sociale assumerà il ruolo un tempo occupato dall’inflazione – ma con effetti ridistributivi opposti, perché andranno più a vantaggio dei pensionati creditori che dei giovani salariati debitori – una situazione insostenibile.»
Questa analisi ricorda il tipico ritornello neoliberista dei critici del Welfare che denunciano regolarmente le stesse storture reclamando l’introduzione di fondi pensionistici sul modello anglosassone e di leggi flessibili sul lavoro, ed esprimendo una piena fiducia negli effetti globalizzanti dell’odierno mercato mondiale. Tuttavia Juvin, pur essendo d’accordo con questi critici, non ne condivide affatto l’ottimismo. L’economia di mercato, egli dice, è stata alla base
del progetto dell’Occidente, «nato sotto il segno della ragione, maestra di universalismo e individualismo», ed è rimasta a lungo il suo criterio di interpretazione del reale e del razionale.
I maestri del dubbio hanno scosso le nostre certezze fisiche, psichiche e morali: l’economia di mercato ha reintrodotto il principio di verità secondo cui dobbiamo parlare gli uni con gli altri, confrontarci, fare scambi – in sintesi, vivere. In mezzo all’abbondanza, alla pace e alla ricchezza, è rimasto solo questo principio a sorreggere la ragione nel mondo delle ideologie, che contestava ma non riusciva ad abbattere. Solo questo principio garantisce il dialogo e l’unione fra individui isolati. È il solo linguaggio comune fra persone che non condividono più nulla, la sola ragione per agire da parte di chi non ne ha più altre.
Un omaggio eccessivo? Ahimè, semplicemente un tributo al passato. «Tutto questo è finito. L’economia assistenzialista, sotto l’egida del primato del corpo, sta creando un enorme sovvertimento dei valori e dei costi, delle preferenze e delle regole»: un sovvertimento «che pone la salute, il benessere e l’integrità fisica al di sopra dell’economia», e così facendo rivela il ritorno delle «scelte collettive». Ciò non significa affatto la fine dei mercati che, al contrario, sono pronti a invadere ulteriori ambiti del corpo e a privatizzarli. Ma i mercati finanziari, che per noi sono oggi la cosa più affine a un regime di verità, dovranno adattarsi al nuovo sistema e trarre dalla sottomissione ad esso la propria legittimità, «introducendo nell’offerta di servizi il valore aggiunto». I profitti futuri saranno soddisfacenti perché il «capitalismo si concentrerà sul corpo umano con mezzi senza precedenti», nell’ambito della sanità, della procreazione e del miglioramento materiale, «investendo in settori che non sono mai stati oggetto di investimento, inventando forme di proprietà privata su ciò che non è mai stato proprietà di nessuno, determinando flussi monetari per pagare quello che non è mai stato oggetto di domanda e offerta». Ma la supremazia dei mercati finanziari sta per finire. Un altro tipo di regime si intravede già all’orizzonte.
Quale sarà la sua politica? Per Juvin, nato nel 1958, il culto del corpo ha avuto origine negli anni Sessanta, quando la generazione ribelle del maggio francese chiedeva a gran voce le libertà sessuale. «Naturalmente, dietro a tutto questo, non c’era in gioco nulla o molto poco: in campo sessuale l’unica vera liberazione è quella che gli individui conquistano da soli – le manifestazioni politiche di massa hanno un’influenza trascurabile.» Infatti dietro agli striscioni e agli slogan si era
messo in marcia l’esatto contrario del desiderio, ossia l’indigestione e la banalizzazione del sesso, di cui il mercato si è totalmente impossessato. Questo appiattimento del paesaggio del desiderio è stato accompagnato da un indebolimento di tutte le forme passate di trascendenza. La longevità estingue
la fede nell’eternità. Il bisogno di sacro però non è scomparso. La religione, al pari della natura, ha ancora il suo fascino.
Ma in questo regime la fede sincera nell’una e nell’altra è praticamente svanita e non tornerà più. Al suo posto abbiamo dei surrogati: i techno rave invece della santa comunione, niente boschi o prati verdi ma parchi pubblici. Indipendentemente dalla sorte del desiderio e della devozione, la democrazia è ancora al sicuro? Purtroppo no. Le nuove tecnologie della connessione permanente «mettono il mondo a disposizione del corpo, dispensandolo dall’appartenere, dall’essere rappresentato, dal dibattere o dal votare». Esse minacciano le istituzioni tradizionali della democrazia senza creare forme alternative con le quali sostituirle. La fine delle avventure collettive e il logorio della mente alla futile ricerca della verità storica, della natura o della materia fanno sì che la nostra attenzione sia attirata solo dal racconto del corpo, della sua soddisfazione e del suo piacere, oltre che dalla ricerca di una nuova sensibilità, esperienza ed emozione.
La conclusione qual è? Il messaggio centrale di Juvin è un sinistro paradosso: quello che il comunismo si proponeva di realizzare e in cui ha fallito con effetti disastrosi lo sta realizzando il capitalismo. Oggi, sotto i nostri occhi, sta prendendo forma, a nostra insaputa, la più audace delle utopie rivoluzionarie.
«La trasformazione della condizione umana, progetto abbandonato da un’ideologia politica defunta, è diventata l’oggetto di un’alleanza imprevista fra scienza e mercato.» L’idea messianica, ormai screditata, di una trasfigurazione antropologica dell’umanità sta infine scomparendo. «L’economia
della libera impresa è riuscita a realizzare quello che i vari socialismi, in Cina come in Unione Sovietica, avevano promesso e perseguito con ogni mezzo a disposizione di un potere praticamente illimitato: far nascere l’uomo nuovo.»
In quale filone letterario si colloca Il trionfo del corpo? A un primo sguardo sembra far parte del filone biopolitico, inaugurato da Michel Foucault, che annovera una folta schiera di manierate opere demagogiche. Per gli accademici anglosassoni, che lo hanno incluso negli studi sulla cultura, il termine «corpo» è diventato un sinonimo di aria fritta da evitare con cura. Ma Juvin non appartiene a questa scuola di pensiero.
Mancano i riferimenti di rito a Saint Michel. Il suo bagaglio culturale rivela un analista serio e non ha nulla in comune con quello di un venditore di fumo. Rimane sempre il problema di stabilire se il corpo, come lui lo presenta, è un oggetto definibile o piuttosto un’entità buona per tutti gli usi
che gli consente di affrontare in maniera unitaria una serie di processi che sono invece eterogenei. Il genere letterario che ha scelto si presta a una simile operazione. Dal momento che Juvin non cita le fonti, molte delle sue tesi più interessanti non possono essere verificate subito. Sotto questo profilo, Il trionfo del corpo potrebbe essere considerato un esempio di Kulturkritik. Ma nel suo caso la critica della cultura assume un aspetto più specifico. Juvin ha scritto un libro essenzialmente profetico che presenta una visione del futuro che guida e determina la selezione dei dati necessari per illustrarlo.
L’estrapolazione dei dati dal contesto e la loro enfatizzazione sono i difetti tipici di questo modo di argomentare. Merita quindi una scomunica epistemologica? Secondo gli studiosi più facili a scandalizzarsi senza dubbio sì. Ma una volta che se ne sono capiti la natura e i limiti, si deve convenire che in certi casi può essere indice di una vitalità intellettuale, senza la quale la vita culturale sarebbe più povera. L’opera di Juvin rientra in uno di questi casi.
Detto questo, è anche opportuno sottolineare che l’orizzonte del libro è meno esteso di quanto pensi l’autore. Infatti, se Juvin nel descrivere il nuovo regime che sta entrando in vigore sembra riferirsi a tutto il mondo capitalistico avanzato, in realtà egli si limita a prendere in considerazione solo l’Europa – i Paesi occidentali protetti da Venere, anziché gli Stati Uniti protetti da Marte, secondo la netta dicotomia di Robert Kagan. Se confrontiamo l’opera di Juvin con i due saggi di Fukuyama sullo stesso argomento le differenze saltano agli occhi. Il primo unisce temi diversi che il secondo tiene separati: il matrimonio e la famiglia in La grande distribuzione e la biotecnologia in L’uomo oltre l’uomo.
D’altra parte, nel quadro europeo dipinto da Juvin, sono assenti le preoccupazioni degli americani per la criminalità e gli psicotropi che occupano un posto importante nell’opera di Fukuyama. L’orizzonte intellettuale de Il trionfo del corpo non si estende neppure a tutta l’Europa, poiché il
libro si limita a considerare una serie di argomenti oggetto di dibattito soprattutto in Francia.
Juvin pone l’accento sull’astrazione e sulla mancanza di radici dell’universo elettronico, contrapponendo di continuo la naturalizzazione del corpo umano e l’atomismo dei fanatici dell’iPod e di Internet ai legami tradizionali degli esseri umani con il duro lavoro della terra, che ha segnato la
società rurale francese sino agli anni Cinquanta, e con i solidi ordinamenti dello Stato che hanno plasmato le istituzioni – scuola, esercito, servizi – della repubblica francese fino a poco tempo fa. La dissoluzione di questi due mondi, determinata dall’urbanizzazione di massa, dal consumismo e dall’odierno multiculturalismo, ha provocato forti tensioni nella vita politica e culturale della Francia, incentivando gli ex amici e gli ex nemici a seguire le direzioni più diverse. Nei dibattiti che ne sono seguiti sull’orientamento che la società francese sta prendendo o dovrebbe prendere, «Le Débat», la rivista che ha pubblicato Il trionfo del corpo, si è schierata a fianco di coloro che si lamentano per l’indebolimento della Repubblica tradizionale e giudicano con scetticismo l’arrivo di nuove regole di vita più indefinite, de-sublimate, americanizzate. Juvin fa parte di questo gruppo. Ma un simile attaccamento al vecchio ordine e la conseguente ostilità
– espressa in modo più brutale – verso il nuovo sono presenti anche negli scritti di Régis Debray, notoriamente di sinistra.
I giudizi di Juvin, in particolare sul ’68, sono molto vicini a quelli di Debray. Pertanto Il trionfo del corpo può essere considerato una prosecuzione dialettica del celebre verdetto di Debray sulla fine degli anni Sessanta: gli ardenti rivoluzionari del maggio francese, come Colombo, credevano
di essere diretti in Oriente e hanno finito per sbarcare in America, e in particolare in California. In nome di un comunismo utopistico intendevano promuovere una rivoluzione culturale che in Francia non solo non ha sconfitto il capitalismo ma addirittura ne ha avvantaggiato la deriva consumista con la conseguente perdita di ogni valore morale.
Ma Juvin in questa sottile analisi si spinge oltre, profetizzando che l’avvento di un capitalismo incentrato unicamente sulla cura e il miglioramento del corpo segnerà l’ironico trionfo dei più smodati deliri del socialismo.
Che dire degli anticorpi in grado di impedire tutto questo? Daniel Bell, che in Le contraddizioni culturali del capitalismo (1976) esprime tutti i suoi timori sul centro-destra presagendo le gravi contraddizioni che può produrre uno sfrenato individualismo, scommette sul «ritorno del sacro» come ultimo baluardo contro la totale disgregazione di un mondo borghese normativamente regolato. La dilagante propensione ad appagare i propri desideri, contro la quale la morale e
la politica si sono rivelate impotenti, sarà arginata dalla religione.
Partendo da posizioni di sinistra, sembrava che Debray seguisse un procedimento parallelo, benché basato su una teoria storica molto più ambiziosa, secondo la quale la fede trascendente si sarebbe posta come un’effettiva necessità antropologica, una religione diffusa in tutto il mondo. Di recente però egli ha fatto un passo indietro, sostituendo alla fede ogni forma di comunione, anche laica. Juvin rifiuta questo tipo di consolazione con accenti che ricordano la sprezzante bocciatura che in La scienza come professione Max Weber riserva ai culti della sua epoca. Il trionfo del corpo si conclude con un’osservazione in sordina. Nonostante siano sul punto di perdere il loro dominio sul globo, i mercati finanziari continueranno a prosperare nel regime che verrà dopo
di loro, un regime che avrà bisogno di scelte politiche collettive per determinare i modi e la distribuzione delle risorse, ma che per farlo eroderà le fondamenta della democrazia. Il neoliberismo è indispensabile e al contempo insostenibile. L’opera di Juvin rappresenta un contributo a un genere letterario destinato ad avere successo in futuro: quello delle riflessioni
dolceamare, più amare che dolci, sulle sorprese che riserva la vittoria nella guerra fredda.






Articolo sul libro di Hervé Juvin, L’avènement du corps, Gallimard, Paris 2006; trad. it. Il trionfo del corpo, prefazione di Natalia Aspesi, EGEA, Milano 2006.




Perry Anderson


Perry Anderson - Intellettuale e storico marxista, è una delle figure di spicco della sinistra americana. Attualmente insegna storia e sociologia all’Università della California. I suoi studi hanno approfondito il pensiero di filosofi come Sartre, Gramsci, Althusser, Lukács, quasi ignorati dal mondo accademico anglosassone. Da qualche anno è entrato nel comitato di redazione della «New Left Review», con la quale ha iniziato a collaborare nel 1961. È autore di svariati saggi, tra i quali: Dall’antichità al feudalesimo (1977), Lo Stato assoluto (1979) e Al fuoco dell’impegno (1992).





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