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Sagarana FICTION


Giuseppe Budetta


FICTION



 

Si faccia finta di giocare una partita di serie A, di B, o di C. Non importa il numero dei gol. Secondo le nuove norme approvate dalla UEFA e sottoscritte dal CONI, non vale se una squadra vinca una partita di pallone, la pareggi, o la perda. Il risultato è lo stesso. Alla fine, deciderà il comitato di saggi. Idem, in al termine del campionato. I saggi decideranno a chi spetti lo scudetto, a ci la retrocessione in B, od in C. Viceversa, gli stessi saggi decideranno per le promozioni in A, in B, o in C. C'era chi aveva obiettato - ed a ragione - che si dava troppa importanza ai goal, invece c'erano energie occulte e professionalità inespresse che andavano valutare al di là dell'arido punteggio. Per esempio, gli scatti indietro delle ali tornanti a bloccare le sortite degli avversari, oppure i passaggi smarcanti dal centrocampo, i passaggi brevi, le testate con l'effetto che per puro caso non davano il goal. Guizzi di genialità che meritavano il giusto prezzo. Le interviste sui giornali sportivi, su quelli dei gossip, o sui quotidiani locali esprimevano unanimità di opinione: liberalizziamo il calcio. Non più la vittoria di una squadra in base al numero dei goal, ma si faccia spazio al merito individuale, esibito nel gioco di squadra. Viva la solidarietà sportiva. Aboliamo le classifiche fuorvianti dei cannonieri. Viva il merito, aldilà dei goal. Via la spettacolarità e stop alle caviglie fratturate, ai menischi lesionati ed all’agonismo spinto. In base alla nuove regole, cominciarono ad entrare in campo come titolari, vecchi sessantenni, alcuni settantenni e qualche ottantenne di forte fibra. Quasi tutti avevano parenti nel comitato dei saggi, nel CONI e tra i politici influenti. Si fingeva di giocare. In campo, si chiacchierava del più e del meno. Sugli spalti, non c'era nessuno. L'assenza degli sportivi negli stadi era stato previsto. Ad ogni partita, lo Stato distanziava tot milioni di euro da spartirsi tra le due squadre, più le spese per l'affitto dello stadio comunale ed il trasporto dei giocatori. Provvedeva lo Stato con laute ricompense per l'arbitraggio ed i segnalinee, così come per le organizzazioni televisive che fingevano di trasmettere partite. Allo scadere del novantesimo minuto, il club sei saggi riunitosi ad hoc, assegnava via computer la vittoria, il pareggio o la sconfitta ad una delle squadre. Inappellabile era il parere dei saggi. La tivù diffondeva i dati e la classifica aggiornata al novantesimo minuto. I giocatori in campo trascorrevano i novanta minuti parlottando del più e del meno e lasciando fuori campo il pallone. L'arbitro fingeva di non guardare anche per mancanza di falli ed i segnalinee giocavano a scopone. Per volere perentorio delle terna arbitrale, i giocatori dovevano indossare con meticolosità le magliette nuove, i calzoncini ad hoc, i calzini e le scarpette della propria squadra. Un ordine nel vestire come i militari in divisa. A volte, qualcuno dei giocatori non resisteva e per istinto atavico si permetteva di sferrare almeno un calcio al pallone, azzardare un tiro non pericoloso verso porta. Con speditezza, interveniva l'arbitro che richiamava il giocatore ribelle ed al terzo fischio lo espelleva. Tutto dipendeva dalla valutazione finale da parte della squadra dei saggi ch’elargiva sentenze come la Sibilla dell'antichità. I sindacati sportivi proposero di allargare ed allungare la superficie di gioco, aggiungendo nuova erbetta, ridisegnando le linee del campo ed incrementando la distanza tra le porte. Anziché undici giocatori, potevano scenderne in campo tredici ed anche quattordici, tutti con la retribuzione da titolare. Potenziando il numero degli effettivi in campo, di conseguenza bisognava provvedere ad aumentare quello dei riservisti, dei medici sportivi e degli eventuali raccattapalle. Si dovevano arruolare schiere d'architetti per ampliare gli stadi, visto che il numero dei giocatori era maggiorato fino a quattordici e di conseguenza, l'area del campo. Il provvedimento fu esteso all'istruzione pubblica (scolastica ed universitaria), alle assunzioni dei medici negli ospedali, dei giudici nei tribunali e di tutti gli altri settori del pubblico impiego e nel privato. In politica, proliferarono i posti di assessore regionale, provinciale e comunale. Il parlamento ed il senato furono raddoppiati di numero. Qualcuno disse che sarebbe stato logico raddoppiare anche i presidenti della Camera, del Senato e della Repubblica. La democrazia sarebbe andata meglio con più teste pensanti, nei posti apicali. L'esempio di liberalizzazione fu eseguito anche nell'aldilà. Via l'inferno e tanto meno il purgatorio. Si va tutti in paradiso. Si faccia finta di essere buoni. La cattiveria non esiste nel profondo. Tutti saranno felici, purché non diano fastidio alla casta dei beati: gli arcangeli, i troni, i cherubini ed i santi di nuova nomina.





Giuseppe Costantino Budetta nato a Bellosguardo (SA), vive a Napoli - Ponticelli. Le riviste scientifiche Psychologia e Scienza e Conoscenza, ArcheoMedia e PsicoLab hanno pubblicato alcuni suoi saggi. Ha vinto premi letterari tra i quali città di Caserta (targa d’oro) col racconto “OTTO” e città di Avellino (medaglia d’oro) col romanzo “Doppia Venere di Milo”. Mail: giuseppe.budetta@alice.it.




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