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Sagarana LA BOMBA


– Brano tratto dal romanzo Lotta di classe


Ascanio Celestini


LA BOMBA



 

(…) Io stavo al call center e non pensavo a nient'altro. Otto anni che lavoravo lí dentro e mi stavano a licenziare. A questo pensavo. Io mi volevo portare via piú soldi possibile, lavoravo di giorno e di notte e non guar­davo in faccia nessuno. M'aspettavo Coppola che veniva a cacciarmi via.
Perché la stessa legge che gli imponeva di assumermi a tempo indeterminato gli dava il potere di porgermi un cal­cio per accompagnare il mio culo alla porta. E lo sai perché? Perché io sono un lavoratore a progetto. Significa che il primo giorno, appena assunto, arriva il padrone e mi met­te una cosa in tasca.
Gli chiedo «cos'è?»
«Non ti preoccupare, è solo una bomba. Ma è a orolo­geria, non scoppia adesso, scoppia fra tre mesi».
Allora mi metto a lavorare tranquillo. Penso che se scoppia fra tre mesi non è una bomba. Che sarà una bom­ba fra tre mesi.
Sento il ticchettio e penso «è come un orologio, un oro­logio svizzero».
 
 
Io sento il ticchettio e penso alla Svizzera. Gli sviz­zeri sono precisi. Bisogna essere precisi per centrare una mela sulla testa di un ragazzino come faceva Guglielmo Tell. Bisogna essere precisi per contare miliardi di dolla­ri nelle banche. Penso a quell'arciere che raccoglie le mele a colpi di frecce, agli orologi e alle banche, alla cioccolata e alle mucche lilla. Penso che la tecnologia è una co­sa buona, fa funzionare le cose. Poi adesso fanno pure le bombe intelligenti che portano la democrazia nei paesi poveri.
Penso «se questa è una bomba chirurgica, appena scop­pia mi cura il morbillo, mi fa le analisi del sangue».
Io incomincio a lavorare con la bomba in tasca e dopo un po' non sento piú il ticchettio. Il rumore c'è, ma io non ci faccio piú attenzione. Come quelli che vivono vicino alla ferrovia. Io per esempio abito dalle parti di Ciampino, dove sta la stazione del treno. Un amico mio ci vive accan­to a quella stazione.
«Come fai a dormire la notte con tutti questi treni che arrivano e partono?» gli chiedo quando vado a trovarlo.
Lui mi risponde «i treni? Io mi sono abituato e non li sento più. Di notte io dormo».
E infatti lui dorme, ma la mattina si sveglia con gli occhi cerchiati come il panda onanista. Dorme, ma non dorme tranquillo. Ma è vero che il treno non lo sente piú. E anche io dopo un po' che lavoro con la bomba in tasca non mi accorgo piú del ticchettio. Mi abituo.
Poi dopo un mese, alla fine di una chiamata qualunque, metto la croce sopra al pallino e ricomincio a sentire il ru­more della mia bomba.
Penso «cazzo! M'ero scordato della bomba, la bomba in tasca. Ma tanto è passato solo un mese. Me ne mancano ancora due prima dello scoppio» e cerco di ricominciare a lavorare tranquillo.
«Marina Marina Marina», canto e mi distraggo.
Arriva un'altra chiamata e faccio un pallino, prontoin­cosapossoesserleutile?, ricomincio a trascinarmi il tempo per fargli scavallare i venti secondi gratuiti, e dopo un po' non sento più il ticchettio. Come quelli che vivono vicino agli aeroporti. Quelli che giurano di non fare piú caso alla buriana che fanno gli aerei. Inquinamento acustico lo chiamano, perché quelle macchine scaricano monnezza so­nora. E per esempio a Ciampino c'è anche un aeroporto. Infatti sono un po' rincoglioniti quelli che stanno a Ciam­pino. Ci allevano gli operatori di call center, cittadini am­maestrati a colpi di treni e aeroplani.
Io ci ho un amico che vive dietro a quell'aeroporto. Ci passano i low cost. Ogni tre minuti ne passa uno.
 
 
A questo amico gli dico «ma come fai a vivere con tut­ti gli aerei che partono e arrivano?»
«Quali aerei? - mi fa. - Io non li sento piú, mi sono abituato».
E infatti è vero che non li sente, ma quando ti serve il caffè... gli trema la mano prima ancora di berlo. Lui si è abituato, ma non vive tranquillo. Però è vero che non li sente piú. Come me quando lavoro con la bomba in tasca. Dopo un po' mi abituo, arriva una chiamata, metto il pallino e ricomincio a lavorare tranquillo.
Poi passa un altro mese e in un momento di pausa sen­to nuovamente il ticchettio dell'ordigno.
Penso «cazzo! Adesso sono già passati due mesi, me ne avanza solo uno!»
Mi sforzo di essere positivo, mi dico «perché essere co­sí pessimista? Perché guardare sempre il bicchiere mezzo vuoto quando sarebbe meglio vedere che è mezzo pieno?» Devo dire che sono passati «solo» due mesi, che manca «ancora» un mese.
«Marina Marina Marina», con ottimismo stendo la mano virtuale.
 
 
Prontoincosapossoesserleutile, ricomincio a lavorare e metto il pallino anelando a una croce. Poi passa ancora una settimana, altre due, tre settimane. Quando mancano po­chi giorni allo scadere del contratto, non sono piú ottimista. Il bicchiere è quasi completamente vuoto. Sento il ticchettio, mi pare che è diventato più rumoroso del solito. Come quelle auto diesel di nuova generazione che ti dicono «fino a duecentomila chilometri cammina senza fare rumore», ma appena passati i duecentomila diventa un trattore degli anni Cinquanta. Penso che forse questa è una bomba diesel. A questo penso quando sta per scadere il contratto, mica alla Svizzera e agli orologi, a Guglielmo Tell che sparava alle mele. Se quell'arciere fosse nato a Ciampino avrebbe tirato le frecce alle banche che fanno i miliardi con i treni e con gli aeroplani low cost. Ai banchieri che dicono «il tempo è denaro» e fanno i filosofi solo perché c'hanno il Rolex.
Quando manca un giorno alla scadenza del contratto il ticchettio è diventato spaventoso. Per non sentirlo devo tapparmi le orecchie. Quando mancano poche ore penso allo zingaro che canta «Marina» mentre l'accompagnano alle docce di Auschwitz.
Ma pochi minuti prima del botto arriva il padrone, si riprende la bomba, la disinnesca, mi rinnova il contratto, mi dà una pacca sulla spalla e mi mette un'altra cosa in tasca.
Io mi tranquillizzo e torno a essere ottimista.
Poi per curiosità gli chiedo «ora che mi hai tolto la bom­ba, cosa c'hai messo nella mia tasca?»
Il padrone mi dice «stai tranquillo... è un'altra bomba! Ma è a orologeria pure questa. Scoppierà fra tre mesi».
Così io riprendo il lavoro con il mio nuovo contratto.
Prendo la chiamata, prontoincosapossoesserleutile? E metto il pallino. Lavoro e sento il ticchettio. Faccio finta di niente, passano venti secondi, esco dal buco nero, mi distraggo e ricomincio a lavorare, a riempire il mio tem­po, a infilare pubblicità nel mio cortometraggio, a parlare del culo di Marinella al maniaco zozzone. Riempio il tem­po tra un pallino e una croce. Ma quando mi sveglio la mat­tina ho gli occhi cerchiati.
Anche io tremo prima di bere il caffè al distributore aziendale.






Brano tratto dal romanzo Lotta di classe, Einaudi editori, Torino, 2009.




Ascanio Celestini

Ascanio Celestini (Roma, 1972) è una delle voci più note del teatro di narrazione in Italia. Ha pubblicato i libri Storie di un scemo di guerra e La pecora nera. Celestini è regista e interprete del film La pecora nera.





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