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Sagarana LA STELLA "OP"


A cura di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli


LA STELLA



 

 
                                                  Quante cose...
Dureranno più in là del nostro oblio;
         non sapranno mai che ce ne siamo andati.
                                                                    (Jorge Luis Borges)
 
 
 
 
 
Da L’orologio fermo di Sergio Durigato, 1968, Liviana Editrice.
 
La stella «op»
 
Acquisti, regali, biglietti di auguri: la solita storia di tutti gli anni, nei giorni che precedono le feste di Natale.
Lei, molto ordinata o forse molto distratta, si era annotata in un libriccino tutto quello che doveva fare.
- Ecco, vedi, dovrei andare in tutti questi posti, mi accompagni? - chiese mostrandomi una serie di appunti che solo lei poteva decifrare.
Le donne dicono di sapersi organizzare per i loro acquisti; ma non deve essere vero, o forse lei non è ancora una donna. Fatto si è che partimmo, senza un itinerario preciso, tornando più volte sui nostri passi, seguendo le sue decisioni, quasi sempre improvvise.
Mi diceva: - Ora, per favore volta a destra. - Io voltavo a destra; e buon per noi se la strada, a senso unico, consentiva di voltare da quella parte!
Un po’ alla volta il sedile posteriore della vettura si andava riempiendo di pacchetti.
Ad ogni tappa prometteva, con un sorriso - Faccio presto - e si allontanava, mentre io l’accarezzavo con lo sguardo. Attraversava la strada di passo svelto e affrontava il traffico con vera incoscienza, facendomi trepidare e odiare le automobili che la sfioravano.
“Speriamo almeno che le veda” pensavo, dubbioso, dato che era senza gli occhiali.
L’attesa non era lunga, ma io, ansioso di rivederla vicino, guardavo in giro chiedendomi da quale parte sarebbe sbucata. E quando la vedevo arrivare, le braccia cariche di pacchetti, mi rallegravo che la gente intorno andasse, come lei, di fretta e non la guardasse, lasciandola tutta e solo a me.
Finiti gli acquisti, che lei andava cancellando ad uno ad uno dalla sua lista, mi chiese di accompagnarla da un’amica, alla quale doveva portare dei dischi.
- Mi mancherebbe ancora una cosa - disse, strada facendo - una stella per il presepio. Non sono riuscita a trovarla! - .
Promisi che l’avrei cercata io, la stella, mentre lei saliva un attimo dalla sua amica.
Lì vicino c’era una cartoleria, piena di gente anche quella, per via dei biglietti augurali che in quei giorni vanno a ruba.
Mentre aspettavo vidi appese al soffitto delle meravigliose stelle d’argento, in vetro filato.
- Mi dia una di quelle - dissi al commesso, il quale prese la scala e ne staccò una, la più grande.
- Va bene questa? - mi chiese.
- Benissimo - risposi, senza distogliere gli occhi da quella stella lucente che mi piaceva tanto.
Pagai e uscii di fretta per non farla aspettare.
Quando giunse le mostrai la stella, fiero del mio acquisto.
Si mise a ridere.
- Ma quella non va bene per il mio presepio! - esclamò - è una stella «op»...-.
Io tacevo, forse un po’ imbronciato, ma lei mi sorrise come sempre quando ci salutammo. Radunò i suoi pacchetti e scese.
Quando se ne fu andata, sul sedile accanto al mio rimaneva soltanto la stella d’argento.
Una stella «op», pensavo, o forse «je-je», o forse «beat».
E perché? Forse perché ha tante punte! cercavo di spiegarmi, io, che di queste cose non me ne intendo troppo.
Ma la stella dei Re Magi quante punte aveva? mi chiedevo ancora, perplesso.
Intanto, appesa al suo filo per il quale l’avevo presa e la tenevo sollevata, la stella girava lentamente, luccicando.
Finalmente posai la stella sul ripiano del cruscotto e mi decisi a ripartire.
Passando sotto i lampioni e accanto alle luci delle vetrine, la stella si illuminava e brillava, ora da un lato, ora dall’altro.
Come le sue calze, intessute di fili d’argento: calze «op» o forse «je-je» o «beat».
“Ora seguo anch’io la mia stella” pensai “vediamo dove mi porta”.
Dopo un istante la cosa già mi affascinava: quando la stella si illuminava a destra voltavo a destra e quando la stella si illuminava a sinistra voltavo a sinistra.
Non posso dire di aver sempre rispettato le regole del gioco o forse la mia fede non fu così grande come quella dei Re Magi: fatto sta che, dopo un lungo giro, mi trovai davanti alla sua casa.
Era dunque lì che mi conduceva la stella?
Sostai un attimo: poi riposi la stella nel suo involto e ripartii. Al buio: come tutti gli uomini della terra.
 
 
 
 
 
Da Le foglie morte di Jacques Prévert, 1981, Guanda Editore, a cura di Maurizio Cucchi.
 
da Luci d’uomo
...
l’inquietante e magnifico chiarore
questa brace
nessuno pressoché nessuno ne vuol sapere...
piccole luminose menzogne color verità luminosa
verità cianfrusaglie
luce beata dell’uomo franco che vi guarda bene in faccia
salamandra installata nella fronte del pensatore
legno e carbone
accendini dell’amicizia
fuochi di paglia
fuochi di trave
fuochi di festa
del Bengala e di legna
fiammiferi
rametti
palle bernots
come piacete!
non crediate che io getti il grido della lucciola che si scusa di brillare
o il lamento straziante del paralitico che vorrebbe pattinare
no...
urlo alla luce con carta e inchiostro
la sera tardi
e grido
ugualmente
c’è la luce
a ciascuno la sua
e il mondo crepa di freddo
il mondo ha paura di bruciarsi le dita
...
 
 
 
 
 
Da Canzoni per Altair e altre poesie d’amore di Rafael Alberti, 2002, ES Edizioni, a cura di Sebastiano Grasso.
 
Alta Altair, alta Altair,
svegliati.
Per i cieli del cielo
c’è soltanto una stella.
Alta Altair del cielo,
tu, soltanto, quella stella.
 
Per una ragione sei venuta, Altair, sei calata
dalla tua costellazione in pieno giorno.
Mai una stella scese
a intrecciarsi col sole degli ulivi,
né la calce dei paesi
dal bianco puro diventò più bianca
né il vento di quella notte
prolungò il suo canto oltre l’aurora.
Mai si vide una stella camminare per le strade,
né fermarsi subito, trattenersi,
segnalando, prendendo, illuminando
qualcosa che non aspettava.
È scesa per qualcosa, Altair, lasciandosi cadere
dalla sua costellazione quella notte.
 
 
 
 
 
Da Canti di vita e di speranza di Rubén Darío, 1998, Passigli Editori, a cura di Maurizio Fantoni Minnella, traduzione di Enza Minnella.
 
I tre Re Magi
 
- Io sono Gaspare. Qui porto l’incenso.
Vengo a dire: la vita è pura e bella.
Esiste Dio. L’amore è immenso.
Tutto so dalla divina Stella!
 
- Io sono Melchiorre. La mia mirra tutto profuma.
Esiste Dio. Egli è la luce del giorno.
Il bianco fiore affonda il gambo nel fango.
E nel piacere c’è la malinconia!
 
- Io sono Baldassarre. Porto l’oro. Assicuro
che esiste Dio. Egli è il grande e il forte.
Tutto so dalla stella pura
che brilla nel diadema della Morte.
 
- Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, tacete.
Trionfa l’amore, e alla sua festa ci invita.
Cristo risorge, trae la luce dal caos
e porta la corona della Vita.
 
 
 
 
 
Da Mappa del nuovo mondo di Derek Walcott, 1992, Adelphi Edizioni, traduzione di Barbara Bianchi, Gilberto Forti, Roberto Mussapi.
 
Stella
 
Se, alla luce delle cose, tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.
 
 
 
 
 
Da Elogio de la palabra di Juan Carlos Mestre, 2009, Fundación Casa de Poesía, traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli.
 
La noche
 
Cupole e cicogne nel mio cuore, questo ho sognato. Più in là della
mia anima corna e mute di cani e principi infermi entravano nella
nebbia, polvere e dominio, bacche avvelenate da cervi
bianchi.
 
Nei mulini abbandonati, sparviero e ginepro oscuro, mi
attendeva la morte.
 
Questo fumo ho sognato, l’astuzia dell’inverno e il singhiozzo azzurro
dei cavalli che galoppavano nella neve.
 
 
 
 
 
Da Il buio e lo splendore di Margherita Guidacci, 1989, Garzanti.
 
Mappa del cielo invernale
 
Con la mappa del cielo invernale, che tu hai disegnato per me,
uscirò prima dell’alba in una piazza ormai vuota
d’uomini e alzerò gli occhi ad incontrare
i viandanti stellari che lentamente si muovono
intorno al polo dell’Orsa. Ai più splendenti
chiederò: “Sei tu Rigel? Sei tu Betelgeuse?
O Sirio? O la Capella?”, restando ancora in dubbio
(tanta è la mia inesperienza nonostante il tuo aiuto)
su quale sia la risposta. E intanto penserò
a San Juan, perché quella sarà la notte di Dio,
dopo la notte dei sensi e dell’anima; e le stelle,
riconosciute o ignote, saranno per me tanti angeli
il cui volo silenzioso mi conduce verso il giorno.
E penserò anche a te, che da un altro parallelo contempli,
ugualmente assorto, lo stesso firmamento,
sentendo come me un gelo esterno ed un fuoco interiore,
mentre i nostri cuori lontani, che sono ancora imprigionati nel tempo,
lo scandiscono all’unisono.
 
 
 
 
 
Da Tercer libro de las odas di Pablo Neruda, 1999, Galaxia Gutemberg, traduzione di Tomaso Pieragnolo e Rosa Gallitelli.
 
Ode a una stella
 
Spuntando alla notte        
sulla terrazza
di un grattacielo altissimo e amaro
potei toccare la volta notturna
e in un atto d’amore straordinario
mi impossessai di una celeste stella.
 
Nera era la notte
ed io guizzavo
per la strada
con la stella rubata nella tasca.
Di cristallo tremante
sembrava
ed era
d’improvviso
come se portassi
un pezzo di ghiaccio
o una spada di arcangelo alla cintura.
 
La serbai
timoroso
sotto il letto
affinché nessuno la scoprisse,
ma la sua luce
attraversò
prima
la lana del materasso,
poi
le tegole,
il tetto della mia casa.
 
Incomode
si fecero
per me
le più private incombenze. 
 
Sempre con questa luce
di astrale acetilene
che palpitava come se volesse
ritornare alla notte,
io non potevo
preoccuparmi di tutti
i miei doveri
e così fu che scordai di pagare i miei conti
e mi trovai senza pane né provviste.  
 
Nel frattempo, nella strada,
tumultuavano
transeunti, mondani
venditori
attratti senza dubbio
dal fulgore insolito
che vedevano uscire dalla mia finestra.
 
Allora
raccolsi
un’altra volta la mia stella,
con riguardo
la avvolsi nel mio fazzoletto
e mascherato tra la moltitudine
potei passare senza essere riconosciuto.
Mi diressi a ovest,
al fiume Verde,
che lì sotto i salici
è sereno.
 
Presi la stella della notte fredda
e dolcemente
la gettai sulle acque.
 
E non mi sorprese
che si allontanasse
come un pesce insolubile
muovendo
nella notte del fiume
il suo corpo di diamante.
 
 
 
 
 
Da Le foglie morte di Jacques Prévert, 1981, Guanda Editore, a cura di Maurizio Cucchi.
 
da Luci d’uomo
 
...
ma se occorre una luce accecante per vedere tutto
accecate abbagliate
 
è la luce vivente che porta in sé ciascuno
e che tutti soffocano per fare come tutti
...
luce d’infanzia
sempre la stessa luce dolce e crudele
ma a volte tanto bella
volti che vi avvicinate
occhi chiusi
bocche socchiuse
tutto ruota tutto avvampa
voi due teste
testa di ragazzo
e di ragazza
voi due teste che ruotano e dimenticano...
un astro
un istante
una vittoria
una presa
scuro lampo del brutto tempo
fuochi fatui della morale
croce di fuoco
petardi bagnati
cibori ben lucidati
infelici piccoli soli di rame
ostensori
come pallidi e ridicoli sono i vostri raggi
finché la luce di quella che ama l’amore
incontra la luce di quello che ama l’amore
ridicolo incendio
poco importa della sua durata
sempre ieri domani buongiorno buonasera una volta giammai
       sempre e voi stesso
chi se ne frega purché arda.





Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. La casa editrice Passigli di Firenze ha pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi, al Metauro, al Minturnae e vincitore del Saturo d’Argento – Città di Leporano. Fra le sue precedenti pubblicazioni: “Il silenzio del cuore” (1985), “La lunga notte” (1987, Premio Giovani Città di Palermo), “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano), “L’oceano e altri giorni” (2005, finalista ai Premi Libero de Libero, Guido Gozzano e Ultima Frontiera e vincitore del Premio Minturnae Giovani). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si svolge in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale dal 2007 propone principalmente autori del Costa Rica e del Centro America, mai tradotti in Italia, e con alcune case editrici, che hanno pubblicato le sue traduzioni di Eunice Odio (“Questo è il bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, Menzione Speciale Camaiore per la traduzione) e di Laureano Albán, (“Gli infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”, Passigli 2011).

Rosa Gallitelli è nata a Pisticci (Matera) nel 1969 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. Moglie del poeta Tomaso Pieragnolo, studiosa di poesia ispanoamericana, dal 2002 collabora alla ricerca e alla scelta di autori per pubblicazioni e riviste.





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