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Sagarana MEDEA


Cristhiano Aguiar


MEDEA



 

I
 
Prima di calcare la scena mi ricordai di un sogno.
 
Decine di piedi nudi pestavano grappoli d’uva dentro una grande botte: potevo sentire l’odore delle migliaia di acini che si aprivano profumando i talloni. Le persone che pestavano l’uva – forse volevano fare il vino? Forse si trattava di un antico ricordo della fattoria? Come si fa il vino? – sembravano danzare. Non riuscivo a vedere i loro volti. Chi erano?
 
All’improvviso, qualcuno si avvicinò. Apparso dal nulla. La presenza stringeva un candelabro – luce a chiazze e tremolante, nebbia fitta. I suoi piedi erano scalzi come i miei. Più si avvicinava e più potevo vederla meglio … Mio Dio!
 
So che lo riconobbi.
 
(Il personaggio della nutrice sale sul palco, dove va a inscenarsi la pièce teatrale Medea, scritta da Euripide. Tutto è scuro, eccetto una luce che ora si accende sopra l’attrice. È come nella creazione del mondo: un’oscurità, un’unica luce repentina e una donna. La nutrice spiega che la straniera Medea ha abbandonato la sua famiglia e ucciso il fratello per sposarsi con il greco Giasone che, ingrato, l’ha lasciata per un’altra donna, figlia del re della città nella quale abitavano. A causa di ciò Medea giura vendetta e il suo odio è così immenso che, per far soffrire Giasone, potrebbe persino uccidere i figli. Una seconda luce si accende e appare un uomo, il personaggio del pedagogo. Dopo, udiamo le voci del coro, sul quale non è diretta nessuna luce. A quel punto Medea fa il suo primo passo ed entra in scena: diverse luci si accendono, ruotano e si stringono e rivelano un palco estremamente elaborato, con forme contorte, volti di Dei, maschere, falli e grappoli d’uva.)
 
Medea: Mio marito, che era tutto per me – questo lo so anche troppo bene - si è trasformato in un uomo terribile. Tra tutte le creature che sono animate ed hanno un intelletto, siamo noi, le donne le più sventurate. Per prima cosa, dobbiamo comprare ad alto prezzo lo sposo e dare così un padrone al nostro corpo. Ma il dilemma maggiore è se lui sarà buono o crudele, infatti, è una vergogna per noi donne lasciare lo sposo. Per questo, vorrei poter scoprire un mezzo, un modo di fare così che Giasone paghi lo scotto dei suoi mali! Innumerevoli volte la donna è timorosa. Se tuttavia, vede lesi i diritti coniugali, ella si trasforma, allora, nella creatura più sanguinaria di tutte!
 
Hippolito Lins, il regista di Medea, non era ancora un nome consacrato, nonostante fosse già noto. Ci siamo conosciuti a una festa di un amico in comune e siamo subito diventati amanti. Ho venduto il mio appartamento e sono andata ad abitare con lui.
 
“Questa è la mia grande opportunità, Celina” mi disse una delle prime notti che dormimmo insieme. “Io sono un autore per pochi, ma questo è il cammino della mia consacrazione. Ti ho già parlato del mio progetto di illuminazione e di scenografia? Voglio causare un corto circuito di sensazioni”.
 
Lui aveva quasi cinquant’anni, era così bello quanto può essere bello un padre bello. La sua famiglia era stata molto ricca, ma cadde in disgrazia finanziaria poco dopo la sua nascita. Il suo appartamento, in un quartiere nobile di Rio, era mantenuto con grande difficoltà. Molto spesso Hippolito chiedeva denaro agli amici. Io stessa ho pagato molti dei suoi debiti e conti, sia con i soldi della vendita del mio appartamento, sia con quelli che chiedevo in prestito ai miei genitori che abitavano nell’ entroterra di San Paolo.
 
La prima volta che sono entrata nell’appartamento rimasi impressionata. Da tutte le parti foto dei suoi avi, non solamente degli zii e dei suoi genitori, ma di nonne, nonni, bisnonne e bisnonni; uomini dai portamenti fieri e dai baffi appuntiti, alcuni posavano con la pistola in mano; donne belle, donne distanti. Lui resuscitava quelle memorie con un’affettazione da aristocratico ubriaco: vasellame, argenteria, piatti, mobili antichi. Quasi confortevoli, quasi mausolei. Nessuno poteva toccare quelle cose. Era lui stesso a pulire le reliquie, tutti i giorni, in maniera ossessiva.
 
“In un’altra vita, fui una regina pagana, con le unghie lunghe e il trucco pesante sugli occhi! Io ti amo, Celina, e voglio che tu sia il mio re in mezzo a queste ossa, di questa memoria”.
Maledetto.
 
II
 
(Medea riceve la visita di Creonte, re della città. Creonte, padre della nuova moglie di Giasone, avvisa che lei e i due figli avuti da Giasone, dovranno partire immediatamente, pena la morte. L’attore che interpreta Creonte veste un lungo coturno; linee di colore fosforescente coprono le sue braccia e gambe: protesi aumentano la punta dei piedi, i gomiti e le dita. Lui si muove come un albero vecchio. Scricchiola. Medea implora la pietà di Creonte e lui le concede un giorno in più. Mentre lui si allontana lei dice:)
 
Medea: Ho adulato Creonte a mio vantaggio … Mi ha concesso di rimanere ancora un giorno. E in questo giorno diventeranno cadaveri i miei tre nemici: il padre, la figlia e suo marito! Incendierò il talamo degli sposi, o sprofonderò loro un pugnale ben affilato nel fegato?
 
Andavano insieme ovunque, da quando si erano conosciuti. “È un attore talentuoso, fantastico, non lo è davvero, Celina?”. Talentuoso e bello, Giasone – non lo voglio chiamare con il suo vero nome – aveva colpito Hippolito. Diventarono migliori amici. Andavano in vacanza insieme. Andavano tutte le sere al bowling. Si leggevano i libri a vicenda. Cercavano insieme sponsor per gli spettacoli. Molte volte ci ritrovavamo, noi tre, nella nostra casa – mia e di Ippolito, casa di nessun altro! – per bere vino, guardare dei film, fumare uno spinello.
 
Giasone ed io ci guardavamo dall’alto in basso, noi ci studiavamo, in uno scontro di forze che ancora non comprendevo; lui era educato e colto, mi trattava molto bene, ma s’inclinava tutto verso Hippolito come il verde s’inclina in direzione del sole. .. Hippolito t’invitava a entrare e tu ti lasciavi prendere nella rete, tutto felice di essere preda.
 
Pensavo che l’alta considerazione che aveva di Giasone fosse relazionata a una sorta di malia e soggezione che il regista subiva nei confronti del suo attore preferito; lo pensai fino a che non li colsi in flagrante – ho la certezza che quella fu una scena attentamente architettata da Hippolito - avvinti nel nostro letto, letto che io pagai. Giasone mi guardò con sorpresa e vergogna, ma non lo lasciò; un sottile strato di rossetto nero copriva le labbra di Hippolito.
 
Gridai, pazza, ma non mi mossi. Gridai, gridai. Pensai di picchiarli. Pensai di rompere quei cazzo di piatti. No, gridai fino a esaurire la mia voce. Subito dopo, ferma, solamente. Volto disfatto. Trafitta.
Le loro mani non si lasciarono, nemmeno alla fine … Il mio rossetto rosso, sbaffato a causa delle lacrime, mi trasformava in un pagliaccio terrificante.
 
II
 
Medea: Al culmine della tormenta nella quale mi dibattevo è apparso quest’uomo, porto sicuro. Ma … muto il mio modo di parlare, poiché tremo al solo pensiero di ciò che farò in seguito: devo uccidere i miei bambini e nessuno potrà liberarli da questo epilogo. Uccidendoli ferisco maggiormente il cuore … del padre. Mai più tornerà a vederli vivi i figli che mi fece concepire, e mai ne avrà altri dalla sua sposa che – Ah! Miserabile! – dovrà perire in maniera indicibile grazie ai miei veleni!
 
(disse Medea, dopo aver convinto Egeo, re di Atene, a darle rifugio nella sua città).
 
Scoprì di essere incinta al termine delle prove, poco tempo dopo aver saputo della relazione dei due. Non glielo dissi. Perché lui non lo meritava, perché ebbi paura che mi cacciasse di casa, o dallo spettacolo.
Come si poteva fare una Medea gravida?
 
Mi avrebbe cacciata di casa? Come avrebbe potuto? Quel letto era il mio letto, non il loro! Se io me ne fossi andata, mi sarei portata via molte di quelle cose, avrei rotto le sue maledette memorie che si mantenevano in piedi solo perché io aiutavo a pagare! Lui, nel suo orgoglio, con il suo fumo importato, con i suoi profumi costosie con i suoi stupidi amici; le cene al ristorante, le serate nei locali dei vip … amavo questo mondo attraverso il mio amore per lui, lui, lui!
 
Giasone continuò a venirci a trovare. Ippolito a malapena mi parlava. Era caduta la maschera! Lui nemmeno mi sopportava! Da quanto tempo?
 
Da quanto tempo mi voleva parlare? Sperava che io, scioccata, me ne andassi di casa e lo lasciassi con l’altro? No. Io rimasi. Con suo figlio sul quale calava un’ombra.
 
Non ci parlavamo. Dormivamo insieme nello stesso letto, ma non ci sfioravamo. Giasone veniva. Io rimanevo in salotto. Perché sapessero di me. Li sentivo. I loro rumori o i loro silenzi: trituravo con i denti il mio odio: aspettando. Aspettando.
 
Mio figlio m’incamminava attraverso vallate di morte. Ippolito con sangue sulle mani e coperto di ombra e polvere .. e se io uccidessi ciò che mi portavo dentro per uccidere Hippolito interiormente? Avrebbe sofferto per il figlio? Lui mio assassino, rendendo me stessa assassina della mia anima e del mio onore …
 
Il mio corpo, un tonfo sordo e repentino sul palco. Caddi durante una delle prove, indebolita dall’inizio della gravidanza – vertigini, nausee, tristezza. Giasone mi prese e mi portò fino ai camerini. Ripulì il mio sudore. Iniziai a piangere, a picchiarlo e graffiargli il viso, “Figlio di puttana, figlio di puttana, non mi toccare!”; lui mi strinse con più forza, mi chiese di calmarmi, mi strinse con la sua forza di uomo; io lo odiavo, volevo strappargli la pelle e rovesciarci sopra del sale, ma lui pronunciò il mio nome e mi baciò la testa, mi fissò ed io mi sentii confusa, perché compresi che, lì, avevo bisogno di lui …
 
“Non ho intenzione di desistere da Hippolito” dissi, fissandolo negli occhi.
 
“Stai calma, Celina. Ora ci sono io qui con te. Tu … Ti sei sentita male, ora va tutto bene ”. Ma io non riuscivo a smettere di guardarlo e provare disgusto, non riuscivo a smettere di … Allo stesso tempo le sue braccia erano calde e in esse trovavo un conforto agrodolce, che mi repelleva, mi attraeva, che addolciva la punta della lingua e strappava là in fondo, là nella gola.
 
 
IV
 
(Giasone s’incontrava di nuovo con Medea, su richiesta di lei. Giasone tentava di convincerla che la sua decisione era la migliore per i figli, che avrebbero ottenuto una linea di sangue reale grazie al nuovo matrimonio. Medea lo aveva osteggiato, ma ora afferma di voler far pace: dà un regalo per la sposa di Giasone, tutto in cambio del permesso che i suoi figli permangano a Corinto. All’interno del regalo c’è il veleno che lambirà con il fuoco le vite di Creonte e di sua figlia)
 
Medea: Povera me! Cari figli miei! Ora vi aspetta, per la mia disperazione, un mondo diverso, un'altra casa .. Soffrii invano per voi, lacerata dai dolori atroci del parto! Sento venirmi meno il coraggio vedendo i loro volti raggianti! No! Non posso! Devo osare! Non vi consegnerò nelle mani dei nemici, poiché periranno, linciati, così Creonte e la principessina moriranno! Ah, mie amate mani! Labbra mie amate! Volto superbo dei miei figli! Siate felici, entrambi, in un'altra dimora!
 
Giasone si prese cura di me. Mi consigliò, per esempio, di cambiare ginecologo. Venne con me, di nascosto, a cercare cose per il bebè e mi comprò medicine e appagò le mie prime voglie. Hippolito ancora non sapeva niente.
 
Smise di venirlo a trovare, ma non di venire a trovare me. Hippolito era geloso. Non parlava, per orgoglio. Nemmeno ci guardava, cosa che ferì il suo amato Giasone. Probabilmente, lui tentava di comprendere il cambiamento di comportamento dell’amante, infatti sapeva che non avevamo una relazione. Mi sentii un po’ vendicata.
 
Alle volte, non sopportavo Giasone. Ma garantisco che mi prestò aiuto senza mai essere eccessivo. Semplicemente, da un momento all’altro, lo guardavo e provavo odio. Ma io dipendevo così tanto da lui … Così finì per piacermi, mi piaceva la sua umanità! Ma perché non la ebbe prima?
 
Non volle mai essere intimo – si accontentava di essere utile – a meno che io non lo invitassi a confidenze. Guardavamo molta TV insieme: io in braccio a lui o accoccolata con la punta della testa sul suo fianco. Altre volte prendevamo un gelato in spiaggia, o andavamo in palestra insieme. Parlavamo molto. Fui lui che mi convinse, finalmente, a raccontare.
 
“ Tu corrodi tutto ciò che tocchi”. Mi gridò Hippolito quando gli raccontai della gravidanza. Attraversò l’appartamento, aprì la porta e tirò in terra banconote da cinquanta reais. Non ci volli credere: lui proponeva quello. Rimasi scandalizzata, mi misi una mano sul petto e mi sedetti su una sedia perché mi si stava oscurando la vista. Mi svegliai non so quante ore dopo, nuda, nel nostro letto. Lui era inginocchiato al mio fianco, con la mano sulla mia pancia e gli occhi chiusi. Appena mi svegliai, Hippolito aprì gli occhi e ci fu un’armonia di pochi secondi, la nostra ultima fino alla fine dei tempi … Lui si allontanò, imbarazzato, mani nel sacco. Mi alzai, mi vestii e me ne andai. Prima di chiudere la porta sentì la sua voce che mi seguiva, debole, addolorata: “Dove, dove … te ne vai?
 
Non lo sapevo. Provai il gusto del trionfo nella sua debolezza di padre.
 
 
V
 
Giasone sul palco, piangeva la morte dei figli, del suocero e della sposa, tutti morti a causa della magia e del pugnale di Medea. Una musica atonale, punteggiata di latrati di cani e sibili di serpenti, tormentava le orecchie degli spettatori; una sottile nebbia copriva i suoi piedi e i miei.
Giasone: Mostro, donna tra tutte la più odiata, da me e dagli Dei, dall’ umanità! Devi morire! Sia tu dannata, infame, disgustosa infanticida! Mi rimane solamente da gemere, curvato sotto i colpi di questo mio destino.
 
Ascesi fino in alto, tirata su da una corda; era il carro protettore del Dio Apollo, mio nonno, che m’innalzava; luci calde m’illuminavano, come se io fossi un angelo di fuoco; le mie vesti isteriche furono ricoperte di pezzi di vetro: io sudavo luce.
 
Medea: Soffro meno se non ridi … Figli miei, vi uccise la perfidia di vostro padre! Torna! Vai a seppellire la tua sposa! Oggi, vuoi animarli; fino a poco fa nemmeno li cercavi. Devo seppellirli nel santuario di Era, dove nemmeno tu, né nessun altro, possa oltraggiarli violando il loro tumolo!
 
Hippolito piangeva? Sono sicura che oscillasse, reso un equilibrista su di una corda tesa; avrebbe dovuto sacrificare il suo spettacolo, a causa della mia gravidanza, eppure mantenne il debutto e adesso si domandava quanto le mie parole di follia fossero sorelle dell’eccesso di Medea. In mezzo alle luci. Al fuoco e al pugnale insanguinato nella mia mano sinistra anch’io, mi domandavo: “Hippolito, Hippolito, quanto ti fa soffrire questo figlio?”
 
Elevata sopra di tutti, potevo vedere le pareti e il tetto del teatro, gli spettatori commossi e placatisi in un’unica notte, un’unica idea, catturati dalle parole arcaiche di Euripide; vedevo il Dio davanti a me – le lanterne tremolanti, i piedi scalzi – che traeva la spada, mai la vittoria; vedevo raggi che ballavano sotto le barbe antiche e Dee bellissime con volti solcati … Vedevo mio figlio. Avrai il coraggio di prendere ora il tuo posto, Medea, tornare indietro, fino laggiù? Mio figlio, facendomi forza, avrò il coraggio – sto scendendo dalle alture e le luci si spengono – di scegliere la morte e non la vita?
 
Non appena i miei piedi toccarono il palco .. Non appena i miei piedi toccarono il palco, un’ondata di applausi mi affogò in un’esplosione di vita umana! Mi ero trasfigurata. Non ero sola, non ancora. Mi voltai, spalle alla platea. Gli applausi ripulivano le macchie che le grida lasciavano nelle mie orecchie. Tutto si fece scuro.




(Traduzione dal Portoghese di Sara Bresciani, a partire dal racconto inedito in Italia “Medéia”.)




Cristhiano Aguiar nasce a Campina Grande (Paraíba, Brasile), ma attualmente abita a Recife (Pernambuco, Brasile) dove sta terminando il dottorato di ricerca in Teoria della Letteratura nella UFPE (Universidade Federal de Pernambuco). Ha scritto il libro di racconti Ao lado do muro (Meta, 2006) ed è l’editore della rivista Crispim de Crítica e Criação Literária (www.revistacrispim.com.br). Nel 2007 è inoltre stato uno dei vincitori del premio letterario Osman Lins, concorso per racconti promosso dal comune di Recife.




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