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Sagarana I CROMOSOMI


Wojciech Tochman


I CROMOSOMI



 

Nella città di Tuzla c’è una miniera di sale. C’è anche un cimitero comunale. A fianco del portone del cimitero si erge la casa funeraria. A pochi passi dalla casa funeraria si trova un grande capannone di metallo. Salta subito all’occhio che è stato costruito da poco. Davanti al capannone si vedono giovani uomini intenti a spingere carrelli o carriole vuote. Indossano tute di nylon. Le tute, concepite in maniera davvero ingegnosa, sono provviste di cappuccio.
Qui molti giovani hanno trovato da lavorare. Dietro la casa funeraria si trova l’ingresso di una galleria. Un tempo la galleria sboccava nella miniera. Adesso è cieca: finisce cento metri più in là. All’interno, adagiati su dei tavolacci a castello e rischiarati da una luce fioca, s’indovinano pile di body bag. Sono bagnati dall’acqua che gocciola dal soffitto. I ragazzi tirano giù dai ripiani un sacco bianco alla volta, lo gettano sul carrello e si lanciano di corsa in direzione del nuovo capannone. Un carrello carico, proprio come quello del supermercato quando è pieno di spesa, non è facile da manovrare. Rischia di ribaltarsi in curva.
Siamo capitati in pieno trasloco.
È molto probabile che le ossa ammonticchiate nella galleria appartengano agli uomini visti quel giorno di luglio durante la selezione. Da allora sono tutti scomparsi. In seguito furono ritrovati e riesumati. Tra loro ci sono uomini N.N. (nomen nescio). Il più delle volte i loro resti erano dispersi in più fosse comuni, tra le cosiddette fosse primarie, secondarie e terziarie. Dopo che le foto scattate da un satellite americano avevano mostrato delle superfici di terra smossa di fresco, gli assassini si erano subito dati da fare per occultare le tracce dei massacri; sventravano le tombe con le ruspe per ricollocare in tutta fretta i resti smembrati in altri luoghi (per esempio nelle discariche). Sembra che molte fosse collocate inizialmente lungo le sponde della Drina siano state rimosse e dislocate altrove.
Tutto ciò procura non pochi problemi ad antropologi e medici legali, dal momento che le ossa rinvenute in una fossa secondaria o terziaria sono più difficili da classificare. Di conseguenza diventa più complesso riassemblare lo scheletro di una persona (ragion per cui i più finiscono per essere contrassegnati con la sigla BP). Risulta ancora più problematico ricomporre quelli che vengono definiti “corpi di superficie”. Che sono appunto rimasti sul suolo, allo scoperto, mai sepolti, disseminati sui monti intorno alla cittadina. Il tempo trascorso, le piogge e gli animali hanno reso più faticoso il lavoro dei medici legali.
Le ossa ritrovate nei boschi appartengono a quattrocentodiciassette persone: uomini, donne, bambini. Qualche volta, infatti, intere famiglie tentavano di fuggire attraverso le montagne. Se sono tutti morti, nessuno li cerca, nessuno si prende la briga di compilare le schede di ricerca, né di fornire le informazioni ante mortem. Non figurano nelle statistiche. Sono destinati a cadere nell’oblio.
Il capannone di Tuzla è impressionante. La temperatura della cella frigorifera, che occupa la maggior parte del fabbricato, è controllata da un computer. All’interno sono montate delle scaffalature di metallo alte fino al tetto. Servono da sostegno a una serie di vasche metalliche: ciascuna lunga due metri e provvista di ruote. Quando il primo gruppo di uomini arriva con dei body bag, gli altri sono già lì in attesa con una vasca vuota posizionata sulle forche di un muletto. Il muletto ha colori ancora brillanti, dev’essere un acquisto recente. Gli uomini spostano il sacco bianco dal carrello al muletto, le forche del muletto sollevano la vasca con il suo carico all’altezza desiderata e la inseriscono nell’apposito vano. Le ruote facilitano lo slittamento nelle scanalature. Il meccanismo funziona senza inceppi, a vederlo si direbbe un cassetto perfetto.
Purtroppo il progettista non è stato abbastanza lungimirante; i cassetti sono decisamente pochi, appena ottocentosessanta di fronte a tremila e cinquecento sacchi bianchi in attesa. Per fortuna i lavoratori locali hanno dato prova di una buona inventiva; arrotolano ogni body bag come fosse un semplice sacco a pelo (si avvolgono facilmente, dentro non c’è che qualche chilo di ossa sparse), in questo modo riescono a introdurre comodamente tre persone in una sola vasca.
Ma cosa succederà quando saranno ritrovati gli altri scomparsi? Alcune migliaia di uomini. Dove sistemarli?
Bisogna sgombrare il posto, e quindi identificare in fretta le ossa contenute nelle vasche. E tumularle. Solo che i risultati non sono esaltanti: per il momento sono stati identificati a stento settantasei corpi[1], e questo solo grazie al fatto che le vittime portavano con sé documenti (pochi avevano carte d’identità in tasca i più, per paura, preferivano sbarazzarsene).
Per accelerare la procedura dell’identificazione, presto vedrà la luce un catalogo con le foto dei vestiti. I vestiti, come già quelli di Lušci Palanka, sono stati suddivisi persona per persona e lavati. Tutti potranno consultare il catalogo. Il primo volume, che contiene trecentocinquanta fotografie, è già in stampa.
Ogni cosa che avviene qui (costruzione del capannone, identificazione) è finanziata dalla Commissione internazionale per le persone scomparse, istituita all’indomani della guerra nella ex Jugoslavia su iniziativa del Presidente americano. La Commissione coprirà le spese di costruzione dei laboratori specializzati in analisi del DNA. Il DNA si trova nei cromosomi, e i cromosomi sono presenti nel nucleo di ogni cellula del corpo umano.
Uno di questi laboratori sarà inaugurato a Tuzla. I parenti (figli, fratelli, genitori) che hanno compilato le schede di ricerca degli scomparsi, saranno convocati per un prelievo di sangue. Gli specialisti procederanno all’estrazione del DNA dalle loro cellule sanguigne. Dopodiché introdurranno i risultati nel computer.
Contemporaneamente sarà determinato il DNA dei campioni prelevati dalle ossa depositate nei body bag. I risultati di queste ultime analisi verranno inserite in un database elettronico. E visto che la metà dei cromosomi di un essere umano è uguale ai cromosomi della madre, e l’altra metà a quelli del padre, un software appositamente elaborato metterà in relazione i membri delle famiglie con i numeri delle sacche bianche appropriate. Il costo dell’intera procedura non supera i cento dollari per persona. E sarà il mondo occidentale ad accollarsi le spese.
Nella storia delle guerre l’esame del DNA rappresenta senz’altro una novità. Alla stregua dei body bag, dei computer, di internet, delle celle frigorifere computerizzate, dei muletti, delle vasche su rotelle. A parte questo, c’era già stato tutto: i campi, le baracche, le selezioni, i ghetti, i rifugi, gli aiuti ai perseguitati, i bracciali sulle maniche, le montagne di scarpe, la fame, lo sciacallaggio, i colpi alla porta in piena notte, le sparizioni da sotto casa, il sangue sulle pareti, le case incendiate, le persone rinchiuse e bruciate nei fienili, i villaggi rasi al suolo, le città assediate, gli scudi umani, lo stupro delle donne del nemico, lo sterminio in primo luogo degli intellettuali, le colonne di rifugiati, le esecuzioni di massa, le fosse comuni, le riesumazioni dalle fosse comuni, i tribunali internazionali, gli scomparsi nel nulla.
 
 
All’indomani della guerra il numero dei musulmani scomparsi in Bosnia è stato calcolato in ventimila.
Se un giorno verranno ritrovati, avranno sepoltura e una preghiera, come prescrive il Corano.


[1] Fino alla fine di giugno 2010 sono stati identificati i resti di circa seimila e cinquecento vittime di Srebrenica. La procedura di identificazione ha subito una rapida accelerazione a partire dal 2002, e cioè da quando in Bosnia sono stati aperti i laboratori di analisi del DNA.






Brano tratto da Come se mangiassi pietre. Titolo originale Jakbyś kamien jadƚ.Traduzione dal polacco: Marzena Borejczuk – Keller editore, Trento. Prima edizione: Novembre 2010.




Wojciech Tochman
Wojciech Tochman, nato a Cracovia nel 1969, è uno scrittore e giornalista tra I più tradotti della Polonia oggi.




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