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Sagarana LE FORMICHE


Lygia Fagundes Telles


LE FORMICHE



 

Quando mia cugina e io scendemmo dal taxi, era già quasi notte. Restammo immobili davanti al vecchio edificio a due piani con le finestre ovali che sembravano due occhi tristi, uno dei quali perforato da una sassata. Poggiai la valigia a terra e strinsi il braccio di mia cugina.
            - Fa paura.
            Lei mi spinse in direzione della porta. Avevamo altra scelta? Non c'era nessuna pensione da quelle parti che offrisse un prezzo migliore a due povere studentesse, con la possibilità di usare il fornello in camera, la proprietaria ci aveva detto per telefono che avremmo potuto preparare dei pasti veloci a condizione di non provocare incendi. Salimmo la scala vecchissima, si sentiva un odore di creolina. 
            - Quanto meno non ho visto tracce di scarafaggi – disse mia cugina.
            La proprietaria era una vecchia cicciona, con una parrucca più corvina delle ali del graúna. Indossava un pigiama sbiadito di seta giapponese e aveva le unghie adunche ricoperte da uno strato di smalto rosso scuro, scrostato sulle punte sporche. Si accese un sigaro sottile.
            - Sei tu che studi medicina? – domandò sbuffando il fumo nella mia direzione.
            - Io studio giurisprudenza. Lei studia medicina. 
            La donna ci osservò con indifferenza. Doveva stare pensando ad altro quando emise uno sbuffo così denso che dovetti girare la testa dall'altra parte. Il salone era cupo, pieno zeppo di vecchi mobili, scoordinati. Sul sofà con la seduta di paglia forata, due cuscini che sembravano cuciti con i resti di un vecchio vestito ricamato con i lustrini.
            Vi mostro la camera, si trova in soffitta – disse nel mezzo di un attacco di tosse. Ci fece cenno di seguirla. – Anche l'inquilino prima di voi studiava medicina, aveva una cassetta con delle ossa, l'ha dimenticata qui, stava sempre a maneggiarle.
            Mia cugina ebbe un sussulto: 
            - Una cassetta con delle ossa? 
            La donna non rispose, concentrata sullo sforzo di salire la stretta scala a chiocciola che portava alla camera. Accese la luce. La camera non poteva essere più piccola, con il soffitto così in pendenza, che in quel tratto dovemmo entrare a gattoni. Due letti, due armadi e una sedia di paglia laccata dorato. Nell'angolo in cui il soffitto quasi si congiungeva con il pavimento, c'era una cassetta coperta da un pezzo di plastica rigida. Mia cugina poggiò la valigia e, mettendosi in ginocchio, tirò verso di sé la cassetta con il manico di corda. Sollevò la plastica. Sembrava affascinata.
            - Ma che ossa piccole! Sono di un bambino?
            - Lui diceva che erano di un adulto. Di un nano.
            - Di un nano? Beh, sì, si vede che sono già formate... ma che meraviglia, uno scheletro di nano è molto raro. È così pulito, guarda qui - era affascinata. Con le punte delle dita sollevò un piccolo cranio bianco come la calce. - È proprio perfetto, ha tutti i denti!
            - Stavo per buttarle via, ma se ti interessano puoi tenertele. Il bagno è qui di fianco, lo userete solo voi, io ho il mio giù. Bagno caldo extra. Telefono pure. Caffè dalle sette alle nove, lascio la tavola apparecchiata nella cucina con una caraffa termica, chiudete bene la caraffa, si raccomandò grattandosi in testa. La parrucca si spostò leggermente. Buttò fuori lo sbuffo finale:
- Non lasciate la porta aperta altrimenti il gatto scappa via.
Ci guardammo e ci mettemmo a ridere per il fracasso che le sue ciabatte col tacco facevano lungo la scala. E per la sua tosse catarrosa.  
            Svuotai la valigia, appesi la camicia sgualcita alla gruccia che infilai in un punto della veneziana, attaccai al muro, con lo scotch, una incisione di Grassman e misi a sedere sul cuscino il mio orso di peluche. Vidi mia cugina salire sulla sedia e svitare una lampada debolissima appesa a un filo solitario al centro del soffitto e al suo posto avvitare una lampada da duecento candele che tirò fuori dalla borsa. La stanza sembrò più allegra. In compenso, adesso si vedeva che la biancheria da letto non era così bianca, bianca era la piccola tibia che mia cugina tirò fuori dalla cassetta. La osservò. Prese una vertebra e la guardò attraverso l'orificio come se fosse un anello. La ripose con la stessa delicatezza con cui si ripongono le uova in una scatola.
            - Un nano. Rarissimo, capisci? E credo che non manchi nemmeno un osso, voglio prendere dei ganci, vedo di iniziare a montarlo nel fine settimana.
Aprimmo un barattolo di sardine che mangiammo col pane, mia cugina aveva sempre qualche barattolo nascosto, aveva l'abitudine di studiare fino a notte inoltrata e dopo cenava. Quando il pane finì, aprì una confezione di biscotti Maria.
            - Da dove viene questo odore? – chiesi fiutando. Andai verso la cassetta, tornai indietro, annusai il pavimento. – Tu non lo senti questo odore un po' acido?
            - È di muffa. Si sente in tutta la casa. – disse lei. E mise la cassetta sotto il letto. 
            In sogno, un nano biondo con il gilet a scacchi e i capelli con la riga al centro entrò nella stanza fumando un sigaro. Si sedette sul letto di mia cugina, incrociò le gambe e rimase lì con l'espressione seria, guardandola dormire. Avrei voluto gridare, c'è un nano nella stanza! Ma mi svegliai prima. La luce era accesa. In ginocchio sul pavimento, ancora vestita, mia cugina fissava un punto del pavimento.
            - Che stai facendo lì? - domandai.
            - Queste formiche. Compaiono all'improvviso, già organizzate in gruppo. Sono così decise, le vedi?      
Mi alzai e mi trovai davanti delle formiche piccole e rosse che entravano da sotto la porta, formando una fila enorme, attraversavano la stanza, salivano lungo il fianco della cassetta delle ossa e vi si infilavano dentro, disciplinate come un esercito in perfetta marcia. 
            - Sono migliaia, non ho mai visto così tante formiche. E non c'è una fila di ritorno, solo di andata – osservai meravigliata.
            - Solo di andata. 
            Le raccontai del mio incubo con il nano seduto sul suo letto.
            - È sotto il letto – disse mia cugina e tirò fuori la cassetta. Sollevò la plastica.
- Nero di formiche. Dammi la bottiglia dell'alcool.
- Deve essere rimasto qualcosa in queste ossa e loro lo scopriranno, le formiche scoprono tutto. Fossi in te, porterei tutto fuori di qua.
- Ma le ossa sono completamente pulite, l'ho già detto. Non è rimasto nemmeno uno strato di cartilagine, pulitissime. Vorrei sapere cosa vengono a cercare qui queste bandite.
Spruzzò alcool in abbondanza in tutta la cassetta. Quindi si infilò le scarpe e, come un'equilibrista che cammina su una corda, si mise a schiacciare decisa, con un piede davanti all'altro, la fila delle formiche. Avanti e indietro due volte. Spense la sigaretta. Tirò indietro la sedia. E si mise a guardare dentro la cassetta.
            - Strano. Molto strano. 
            - Cosa?
            - Mi ricordo di aver messo il cranio in cima alla pila, mi ricordo persino di averlo incastrato tra le scapole per non farlo rotolare. E adesso è sul fondo della cassetta, con una scapola su ogni lato. Per caso ci hai messo tu le mani?
            - Dio me ne liberi, le ossa mi ripugnano. Peggio ancora se sono di nano.
            Coprì la cassetta con la plastica, la spinse con il piede e mise il fornello sul tavolo, era l'ora del suo tè. Sul pavimento, la fila di formiche morte adesso era una ristretta striscia oscura. Una formichina scampata alla mattanza passò vicino al mio piede, stavo per ucciderla quando vidi che si portava le mani in testa, come una persona disperata. La lasciai andare via in una fessura del pavimento. 
            Feci di nuovo un brutto sogno, ma questa volta era il solito incubo degli esami, l'insegnante che faceva una domanda dopo l'altra e io che ammutolivo dinanzi all'unico argomento che non avevo studiato. Alle sei la sveglia suonò forte. Spensi la suoneria. Mia cugina dormiva con la testa coperta. Nel bagno guardai attentamente le pareti, il pavimento di cemento, cercandole. Non ne vidi nessuna. Tornai in camera in punta di piedi e quindi schiusi le lamelle della veneziana. L'odore strano della notte era sparito. Guardai sul pavimento: era scomparsa anche la fila dell'esercito massacrato. Scrutai sotto il letto e non vidi nessun movimento di formiche nella cassetta coperta.
            Quando rincasai, intorno alle sette di pomeriggio, mia cugina era già lì. La vidi così spossata che caricai la dose di sale nella omelette, aveva la pressione bassa. Mangiammo in un silenzio vorace. Allora mi ricordai:
            - E le formiche?
            - Finora nessuna. 
            - Hai spazzato tu quelle morte?
            Lei mi fissò.
            - Non ho spazzato nulla, ero stanca. Non lo hai fatto tu?
            - Io?! Quando mi sono svegliata, sul pavimento non c'erano tracce di formiche, ero sicura che prima di metterti a letto avessi raccolto tutto... Ma allora chi è stato?! 
            Socchiuse gli occhi strabici, quando si preoccupava diventava strabica.
            - Davvero molto strano. Stranissimo. 
            Andai a cercare la tavoletta di cioccolata e vicino alla porta sentii di nuovo l'odore, ma era muffa? Non mi sembrava un odore così innocente, avrei voluto richiamare l'attenzione di mia cugina su questa cosa, ma lei era così spossata che preferii non dire niente. Cosparsi tutta la stanza di acqua di colonia ai fiori di mela (e se profumasse come un frutteto?) e mi coricai subito. Feci il secondo tipo di sogno che si ripeteva con la stessa frequenza di quello dell'esame orale: in questo sogno fissavo un appuntamento con due ragazzi allo stesso orario. E nello stesso posto. Arrivava il primo e la mia preoccupazione era quella di mandarlo via prima che arrivasse il secondo. Il secondo, questa volta, era il nano. Quando rimase solo il vuoto del silenzio e dell'ombra, la voce di mia cugina mi catturò e mi riportò in superficie. Aprii gli occhi a fatica. Lei era seduta sul bordo del mio letto, in pigiama e completamente strabica.
            - Sono tornate.
            - Chi?
            - Le formiche. Attaccano solo di notte, prima dell'alba. Sono tutte di nuovo qui.
            La fila della sera precedente, intensa, fitta, seguiva il solito tragitto dalla porta fino alla cassetta delle ossa, si arrampicava mantenendo la stessa disposizione e sformicava dentro. Senza ritorno.  
            - E le ossa?
            Si avvolse nella coperta, stava tremando.
            È qui che sta il mistero. È successa una cosa, non capisco più niente! Mi sono svegliata per andare a fare pipì, credo fossero le tre circa. Al ritorno mi sono accorta che nella stanza c'era qualcosa, mi stai seguendo? Ho guardato sul pavimento e ho visto una fitta fila di formiche, ti ricordi? Non ce ne era nemmeno una quando siamo arrivate. Sono andata a controllare la cassetta, tutte ficcate là dentro, logico, ma non è questo che mi ha fatto quasi cadere all'indietro, c'è una cosa più grave: le ossa stanno proprio cambiando di posizione, io già lo sospettavo, ma adesso ne sono certa, poco a poco si stanno... stanno ricomponendo. 
            - Come, ricomponendo?
            Era pensierosa. Iniziai a tremare di freddo, presi un lembo della coperta. Coprii il mio orso con il lenzuolo.
            - Ti ricordi, il cranio tra le scapole, non lo avevo lasciato così. Adesso è la colonna vertebrale che è quasi formata, una vertebra dopo l'altra, ogni osso sta prendendo il suo posto, qualcuno esperto sta montando lo scheletro, ancora un po' e... vieni a vedere!
            - Che schifo!, non voglio vedere nulla. Stanno incollando il nano, è così?
            Rimanemmo a guardare la fila rapidissima, così fitta che non ci poteva stare nemmeno un granello di polvere. L'avevo schivata con molta attenzione e poi ero andata a scaldarmi il tè. Una formichina smarrita (la stessa di quella notte?) scuoteva la testa tra le mani . Risi così tanto che se il pavimento non fosse stato occupato, mi ci sarei rotolata per le risate. Dormimmo vicine nel mio letto. Lei dormiva ancora quando uscii per la prima lezione. Sul pavimento nemmeno l'ombra delle formiche, né morte né vive, sparivano alla luce del giorno.
            Tornai tardi quella sera, un compagno di corso si era sposato e aveva organizzato una festa. Ero contenta, avevo voglia di cantare, avevo alzato il gomito. Solo per le scale mi ricordai: il nano. Mia cugina aveva spostato il tavolo verso la porta e studiava con la teiera fumante sul fornello.
            - Oggi non ho voglia di dormire, voglio restare sveglia – avvertì.
            Il pavimento era ancora pulito. Mi abbracciai l'orso.
            - Ho paura.
            Lei mi andò a prendere una compressa per attenuare il mio mal di testa, me la fece ingoiare con un sorso di tè e mi aiutò a svestirmi.
            - Io resto sveglia, puoi dormire tranquilla. Finora non se ne è vista nessuna, non è ancora il loro orario, è tra un po' che iniziano. Ho controllato sotto la porta con una lente di ingrandimento, ma lo sai che non sono riuscita a scoprire da dove vengono fuori?
Crollai sul letto, penso di non aver nemmeno risposto. In cima alle scale il nano mi ha afferrato per i polsi e ha volteggiato con me fino alla camera, svegliati, svegliati! Non riconobbi subito mia cugina che mi teneva per i gomiti. Era livida. E strabica.
            - Sono tornate – disse
            Strinsi tra le mani la mia testa dolorante.
            - Sono qui?
            Parlava con un tono basso, come se una formichina stesse parlando con la sua voce.
            - Mi sono addormentata sul tavolo, ero esausta. Quando mi sono svegliata, la fila si era già formata. Così sono andata a controllare la cassetta, ed è successo quello che mi aspettavo...
            - Cosa? Sbrigati parla, che cosa? 
            Guardò di sbieco la cassetta sotto il letto.
            - Lo stanno proprio montando. E in fretta, capisci? Lo scheletro è intero, manca solo il femore. E le ossa della mano sinistra, ci mettono un attimo a farlo. Andiamo via di qui.
            - Stai parlando sul serio?
            - Andiamo via, ho già preparato i bagagli.
            Il tavolo era pulito e gli armadi vuoti.
            - Ma andare via così, all'alba? Possiamo andarcene così?
            - Immediatamente, meglio non aspettare che se ne accorga la strega. Andiamo, alzati.
            - E dove si va? 
            - Non importa, poi si vedrà. Andiamo, mettiti questo, dobbiamo uscire prima che il nano sia pronto. 
            Guardai la fila da lontano: non le avevo mai viste così veloci. Infilai le scarpe, tolsi l'incisione dal muro, infilai l'orso nella tasca della giacca e scendemmo le valigie giù per le scale, l'odore proveniente dalla stanza era sempre più intenso, lasciammo la porta aperta. Era il gatto che miagolava forte o era un urlo?  
            In cielo, le ultime stelle impallidivano. Quando guardai la facciata della casa, solo la finestra perforata ci vide, l'altro occhio era chiuso.






Traduzione dal Portoghese di Gabriella Concetta Basile.




Lygia Fagundes Telles
Lygia Fagundes Telles, nata nel 1923, è una scrittrice brasiliana, autrice di romanzi e racconti, grande esponente del modernismo. Le sue opere più note sono "Ciranda de Pedra", "Antes do Baile Verde", "As Meninas", e molti racconti tra i quali, "As formigas" e "O pôr-do-sol". Nata a San Paolo, figlia di un funzionario di polizia, durante l'infanzia si trasferisce a Rio de Janeiro. Inizia a interessarsi di letteratura durante l'adolescenza e a 15 anni pubblica il suo primo libro, “Porão e Sobrado”. Nel 1945 pubblica “Praia Viva”, grande successo di vendite. Lygia Fagundes Telles ha una formazione in giurisprudenza e in educazione fisica, ma la sua grande passione è sempre stata la letteratura. È stata sposata con il giurista Goffredo Telles Júnior, con cui ha avuto un figlio, e poi con il regista Paulo Emílio Salles Gomes. Ha pubblicato molti libri tra i quali: "Ciranda de Pedra" (1955), "Antes do Baile Verde" (1970), "As Meninas" (1973). Nel 1985 è stata la terza donna eletta membro dell'Accademia Brasiliana delle Lettere e dal 1987 fa parte della Accademia delle Scienze di Lisbona. Tra i vari premi si citano: il Premio Internazionale dei Racconti Stranieri, ricevuto in Francia, per il libro “Antes do Baile Verde”, il Premio Coelho Neto della Accademia Brasiliana delle Lettere, il Premio Jabuti della Camera Brasiliana del Libro, il Premio per la Narrativa della Associazione Paolista dei Critici d'Arte per il libro “As Meninas”, il Premio Jabuti per il libro “Invenção e Memória”, del 2001, e il Premio Camões nel 2005. Lo stile di Lygia Fagundes Telles è caratterizzato dalla rappresentazione dell'universo urbano e dalla intima esplorazione della psicologia femminile. Le sue storie sono molto avvincenti per la presenza di temi bizzarri e soprannaturali: ne è un esempio il racconto "As formigas" che pubblichiamo per la prima volta in italiano su "Sagarana".




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