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Sagarana LE DONNE DELLA CELLA 4


Brano tratto dall’opera postuma Memórias do cárcere


Graciliano Ramos


LE DONNE DELLA CELLA 4



 

(…) Una notte dal padiglione dei primari ci arrivarono urla spaventose, informazioni confuse, moltissime voci. Ascoltando meglio, capimmo che Olga Prestes e Elisa Berger* sarebbero state consegnate alla Gestapo: a quell'ora cercavano di portarle via dalla cella 4. Le donne resistevano e presto gli uomini fecero scoppiare quella terribile confusione. Erano stati appena avvisati ed era cominciata la protesta, nonostante la polizia giurasse che sarebbero state solo trasferite in un'altra prigione.
-Trasferite in un'altra prigione in Germania, bastardi!
Frasi incomplete si levavano dal tumulto. Il tutto durò parecchio. Vedevamo da lontano uomini vigorosi che tenevano in equilibrio sbarre di cancelli, cercando di forzare le serrature. Il giorno dopo le porte di molte celle erano state sfondate e sarebbero state inutilizzabili per parecchio tempo. Nella stanza della cappella un rumore da alveare impazzito crebbe rapidamente e aumentò la baraonda. Nonostante le proteste rumorose, ero incline a rifiutare la notizia: inammissibile. Seduto sul letto, pensai con orrore ai campi di concentramento, forni crematori, camere a gas. Sarebbero andate incontro a una simile miseria? L'esaltazione dominava gli spiriti accanto a me. Urla penose, gesti esaltati, rabbia impotente, disperazione, visi convulsi nell'indignazione. Un piccolo tenente ripeteva, tra i singhiozzi, con tremito spasmodico:
- Porteranno via Olga Prestes.
L’attesa lugubre mi lasciava in uno stato d’animo penoso; mi sforzavo di allontanarlo. Non poteva essere vero, di sicuro era una diceria, provocata da immaginazioni senza freni. Vivevamo in un ambiente di fantasmagorie. Affermazioni improvvise mi stordivano, tra la realtà e il sogno, e mi chiedevo, considerando un uomo che si trasformava in fantasma, - È pazzo? O sono io a essere pazzo?-
Qualche giorno prima, allo spegnersi delle luci, mi lasciarono restare su una panca, curvo su un tavolo, leggendo sotto il paralume di carta. Improvvisamente, un rumore nella parte in ombra della cella 4. José Brasil si era alzato eccitato, aveva acceso tutte le luci – Svegliatevi, aprite le orecchie. Lì in basso ci sono delle mitragliatrici puntate contro di noi. È stupido morire come pecore. Non avete sentito? Svegliatevi, dobbiamo difenderci-. Alcuni russavano; altri si muovevano infastiditi, sfregandosi gli occhi; alcuni si erano fatti contagiare, ammettevano pericoli indeterminati. E José Brasil comandava, indicava posizioni: - Rimanete qui, state attenti. Non passate davanti alle finestre-. Dopo poco, si scoprì l’origine delle mitragliatrici: i topi, sull’altare, avevano rosicchiato una mensola e rovesciato un messale, provocando un gran baccano.
Anche ora si doveva trattare di un’illusione del genere: qualcuno che si era fissato con un’idea folle, aveva trovato degli adepti, e in capo a un’ora le due case erano contaminate dalla strana pazzia.
A turno entrarono a scuotere le vecchie persiane, ci tolsero l’acqua. Gli zoccoli battevano fermi contro il terreno smosso. Mi faceva male pensare che queste manifestazioni coraggiose non avevano nessun riscontro all’esterno. Le due donne sarebbero state espulse dal Brasile: la vigliaccheria nazionale le avrebbe consegnate allo straniero assassino. L’idea che avevo allontanato tornava; indeboliva la voglia di soffocarla. Perché imbrogliare tanta gente? Erano capaci di tutto. Il rumore cresceva, le voci aumentavano. Nelle brevi pause di quella burrasca inutile, congestionata, ci arrivavano parole informi che, per essere comprensibili a una tale distanza, potevano venire, pensai, solo dai polmoni, poderosi come mantici, del tremendo Lacerdão. In questi iati mi visitava la speranza che gli animali antipatici si fossero ritirati. Una mezza dozzina di parole bastava ad annichilirmi l’ottimismo.
In un silenzio pesante, fumando senza sosta, sentivo un freddo sconforto nell’anima. Ma perché, nell’orribile ignominia, avevano preferito due creature deboli? Elisa Berger, in prigione, era inoffensiva quanto il marito, anche lui imprigionato. Ciò nonostante l’avrebbero consegnata ai carnefici tedeschi e Harry Berger sarebbe rimasto qui, impazzito a causa delle torture. Il nazismo non esigeva resti umani, lasciava che essi si distruggessero lentamente nel carcere umido e stretto. Di notte, nella cella 4, Elisa si svegliava bagnata in un sudore da agonia, gli occhi terrorizzati. Il ricordo delle sofferenze non la lasciava; un orologio interno indicava l’istante esatto in cui, mesi prima, l’avevano seviziata in presenza di Harry, immobile, impotente. Olga Prestes, sposata con un brasiliano, era incinta. Avrebbe partorito tra i nemici, in prigione. O forse sarebbe morta prima, di parto. Il servilismo delle autorità brasiliane di fronte a un governo dispotico e lontano mi riempiva di tristezza e vergogna. Anime di schiavi, infami; adulazione turpe di una dittatura ignobile. Più tardi sarebbe nato un bambino, avvolto tra le brume del Nord; venti gelati gli avrebbero ferito la carne tremolante e rosa. Miseria, e in questa miseria abbattimento profondo.
La testa tra le mani, gli occhi fissi sul pavimento, cercavo di allontanarmi da lì, fuggire dall’incubo. Accendevo una sigaretta, la lanciavo fuori, ne accendevo un’altra. Questi movimenti, gli unici, mi snervavano. Non era possibile fare altro. La brace della sigaretta, che mi bruciava le dita, mi ricordava che non stavo dormendo. Era una veglia. Immagini funebri andavano, venivano, mi ingrossavano il cuore. Miserabili. Spazi sudici, l’orrore, il dolore. E poi i forni crematori, le camere a gas. C’erano altre immagini che se ne stavano inerti, come me, testa bassa, occhi a terra. Carlos Prestes, in isolamento, doveva passare il tempo in questo modo, ignaro delle minacce fatte alla sua compagna. Doveva arrivargli un suono confuso dell’immenso clamore. Di che si trattava? Avrebbe afferrato un libro, si sarebbe immerso nello studio lento e tenace. Il vociare soffuso non aveva significato per lui. E avrebbe passato mesi senza venire a conoscenza dell’enorme disgrazia. Il tenente gemeva, e le parole invariabili sembravano aver cancellato le altre, scivolavano in un singhiozzo.
- Porteranno via Olga Prestes.
Sarebbe stato un sollievo se si fosse manifestato qualcuno, ribellarsi in qualche maniera. Gli attrezzi della falegnameria battevano sulle porte, e a volte soffocavano il lamento del ragazzo. C’era una pausa, e le sillabe di pianto riapparivano. Gli individui più entusiasti immaginavano forse di poter essere utili: urla e gesti d’indignazione sarebbero serviti a qualcosa. Era orribile lo sconforto di molti, la certezza che la città si allontanava da noi, indifferente.
- Perché tutto questo? Mi chiedevo spazientendomi. Ignorano tutto, e la stampa, venduta, ci diffama.
Il lamento del ragazzo mi innervosiva. Mi ricordai del viaggio alla colonia correttiva. Mi ero attardato di fronte alle celle, a salutare i compagni. Nel pavimento sotto di me, mentre varcavo le porte, mi ricordai di aver visto le donne della cella 4, avevo proseguito sulla destra, prendendo le scale. Nello stordimento, non ero riuscito a vederle in volto. Erano dietro le sbarre, in fila, una di loro a terra –Addio. –Buon viaggio. Pezzi di volti, mani, cosce, zoccoli, frasi affettuose, sorrisi, si confondevano, vaghi, inconsistenti. Nell’ala inferiore, bianca e serena, Olga mi aveva lanciato strani suoni gutturali, difficile capire volesse dirmi in quella situazione.
Intanto le ore si trascinavano lente, la confusione aumentava poi diminuiva. Di fronte alla cella 4 la polizia giurava che le due vittime non avrebbero lasciato il Brasile. La promessa era soffocata e roca. Le grida si diradavano, le forze diminuivano, la resistenza non sarebbe continuata a lungo.
Più tardi ci fu un accordo: Olga ed Elisa sarebbero state accompagnate da amici, non sarebbe stato fatto loro alcun male. Accettata la proposta, sistemarono i bagagli, andarono via assieme a Campos da Paz e Maria Werneck. Un’astuzia da quattro soldi. Campos da Paz e Maria Werneck ritornarono subito nel padiglione dei primari. Olga Prestes e Elisa Berger non furono mai più viste. Sapemmo in seguito che furono assassinate in un campo di concentramento in Germania.
 
* Olga Prestes è stata una politica tedesca, iscritta al partito comunista. Era ebrea e compagna del politico brasiliano Luís Carlos Prestes. Elisa Berger era compagna di Harry Berger, politico comunista.






Brano tradotto dal Portoghese da Nunzia De Palma.




Graciliano Ramos
Brano tratto dall’opera postuma Memórias do cárcere di Graciliano Ramos, uno dei più grandi scrittori brasiliani dello scorso secolo. L’opera racconta fedelmente l’esperienza dell’autore durante il periodo in cui fu condannato ai lavori forzati. Tra le opere più importanti di Ramos ricordiamo Vidas secas e Angústia.




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