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Sagarana DEVOZIONI TERRESTRI


Laureano Albán


DEVOZIONI TERRESTRI



 

Tocco la terra, madre della mia ombra.
Attraverso vi corre un bimbo
infaticabilmente immaginato.
 
Sonoro il mese di aprile
duole di trasparente.
 
Ogni terra è assenza
dopo la nascita.
Dopo il seme
ogni fiore è stella.
 
Per questo la radice
ha forma di spina o pioggia o morte
che sostiene silenzi.
 
Può scordare l’uomo il futuro o la sorte,
può bruciare il tempo le pagine o il bacio,
può ossidare la notte i giorni del diamante,
però mai la terra
e la sua fatale memoria di galoppi lontani.
 
È un patto. E lo dico
con la cenere incerta
del viaggiatore sulle labbra.
È il debito del mare
che ci resta sulla lingua
attraverso l’acqua e le sue mappe.
 
È l’alta somiglianza
della notte negli occhi
che imita distanze.
È il gesto d’uccello
della mano lanciata.
È l’albero che irrompe
dai labirinti
dell’anno infaticabile,
certamente vivo
come uno stormo.
 
Tocco la terra. Odo piovere.
I frutti dentro lei corrono
come giorni planetari.
Un lombrico dorato si trattiene
nel palmo della mia desolazione:
tra lui e questo giorno
ci sono fiamme insalvabili.
 
Attraverso vi corre un bimbo
remotamente sempre
chiamando le distanze.
Io mi avvicino e lo nomino.
Io mi avvicino e lo abbraccio.
 
Ma lui corre per prati di lune specchianti,
per boschi dove il cielo è un albero azzurro,
per nebbie dove il tempo è un frutto pallido.
Entra ed esce dal giorno
con l’innocenza rapida
del fiore nella pioggia.
 
Qualcuno lo sta chiamando
da lampade lontane.
E lui corre senza sapere
che non esce dall’unica
terra della memoria.
 
Che lo spazio terrestre
sempre sarà il primo,
inesauribile giorno convocato.
Che non cambia la luce
prima tra gli occhi.
Solo cambiano l’ombra,
il sogno e le sue spade.
Che solo vive l’uomo
d’amore per la terra,
e la terra lo intende.
 
Però lui continua a correre
la sfera trasparente
della prima sorte,
verso le fonde case
della luce invisibile,
perché qualcuno lo sta chiamando
e lui porta tra le mani
un pugno di terra
fino all’amato azzurro.
 
 
___________________________
 
 
In lingua originale:
 
DEVOCIONES TERRESTRES
 
Laureano Albán
 
Toco la tierra, madre de mi sombra.
Por ella corre un niño
infatigablemente imaginado.
 
Sonoro el mes de abril
duele de transparente.
 
Toda tierra es ausencia
después del nacimiento.
Después de la semilla
toda flor es estrella.
 
Por eso la raíz
tiene forma de espina o lluvia o muerte
sosteniendo silencios.
 
Puede olvidar el hombre el futuro o la dicha,
puede quemar el tiempo las páginas o el beso,
puede oxidar la noche los días del diamante,
pero nunca a la tierra
y su fatal memoria de galopes lejanos.
 
Es un pacto. Y lo digo
con la ceniza incierta
del viajero en los labios.
Es la deuda de mar
que nos queda en la lengua
por el agua y sus mapas.
 
Es la alta semejanza
de la noche en los ojos
imitando distancias.
Es el gesto de pájaro
de la mano lanzada.
Es el árbol que irrumpe
desde los laberintos
del año infatigable,
certeramente vivo
como una bandada.
 
Toco la tierra. Oigo llover.
Las frutas dentro de ella corren
como días planetarios.
Un gusano dorado se detiene
en la palma de mi desolación:
entre él y este día
hay llamas insalvables.
 
Por ella corre un niño
remotamente siempre
llamando las distancias.
Yo me acerco y lo nombro.
Yo me acerco y lo abrazo.
 
Pero él corre por prados de lunas espejeantes,
por bosques donde el cielo es un árbol azul,
por nieblas donde el tiempo es una fruta pálida.
Entra y sale del día
con la inocencia rápida
de la flor en la lluvia.
 
Alguien lo está llamando
desde lejanas lámparas.
Y él corre sin saber
que no sale de la única
tierra de la memoria.
 
Que el espacio terrestre
siempre será el primero,
inagotable día convocado.
Que no cambia la luz
primera entre los ojos.
Sólo cambian la sombra,
el sueño y sus espadas.
Que sólo vive el hombre
por amor a la tierra,
y la tierra lo sabe.
 
Pero él sigue corriendo
la esfera transparente
de la primera dicha,
hacia las hondas casas
de la luz invisible,
porque alguien lo está llamando
y él lleva en las manos
un puñado de tierra
hasta lo azul amado.






Dalla prima antologia italiana di Laureano Albán “Poesie imperdonabili”, a cura e traduzione di Tomaso Pieragnolo, Passigli Editori 2010




Laureano Albán
Laureano Albán è nato a Turrialba, in Costa Rica, nel 1942. Più volte proposto come candidato al Nobel, ha studiato Filologia e Linguistica all’Università di San José e si è laureato a New York. È stato fondatore di importanti associazioni di scrittori, come il Círculo de Poetas Costarricenses (1960) e il Movimiento Literario Trascendentalista (1973). Professore di Teoria e Pratica della Creazione Letteraria all’Università di Costa Rica (1990-1998) e Membro Permanente della Academia de la Lengua Española, ha svolto diversi incarichi diplomatici per il suo paese: Ministro Consigliere all’ambasciata di Madrid (1981-1983), ambasciatore presso le Nazioni Unite a New York (1983-1986), ambasciatore Plenipotenziario in Israele (1987-1990), ambasciatore presso l’UNESCO a Parigi (1998-2002). E’ coautore del “Manifiesto trascendentalista” (1974). Ha ottenuto riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui il premio Adonais (Madrid, 1979), il premio Nazionale di Poesia (1980 e 1993), il Premio di Cultura Ispanica (Madrid, 1981), il premio Ispanoamericano di Letteratura (Huelva, Spagna, 1982), il premio della VII biennale di Poesia (León, 1983). Nel 2006 ha ottenuto il premio Nazionale di Cultura Magón, il maggiore riconoscimento dato dal governo del Costa Rica per una vita dedicata alla cultura.. I suoi libri più importanti sono Herencia del otoño (1980), Geografia invisible de america (1982), Aunque es de noche (1983), Autorretrato y transfiguraciones (1983), El viaje interminable (1983), Suma de claridades (1992) e la vasta Enciclopedia de maravillas, in edizione bilingue inglese e spagnolo, iniziata più di vent’anni fa e composta a tutt’oggi da 4 volumi con più di 2000 poesie illustrate da oltre trecento artisti latinoamericani. Questa prima antologia italiana “Poesie Imperdonabili” è risultata finalista al Premio Internazionale Camaiore 2012 e nella rosa finale del Premio Marazza 2012. Come chi sente che la poesia è un destino inevitabile alla cui domanda non ha potuto sottrarsi, Laureano Albán da mezzo secolo perpetua un’opera quotidiana, perseguita nella gioia e nell’angoscia, in un’aura di sospensione metafisica; per lui la poesia è la condizione più alta dello spirito, è lo strumento puro della conoscenza ontologica, si dirige inequivocabilmente verso la somma dell’immortalità umana. Con un rigore monastico e nell’interezza della consegna, senza compiacimento né egotismo, Albán insegue con dedizione il proprio rapporto metafisico con il mondo, con la storia umana e con la propria esistenza, nell’idea rigenerante che l’incognita della creazione mai si esaurisca e che l’identità non sia mai completamente raggiunta. Un lavoro continuo, assoluto, che non rifiuta il mistero dell’uomo e l’inconoscibilità del cosmo, ricevendo la vita in una concezione di vasta trasparenza, come simbolo certo di una superiore entità che tutto permea e conferma. E questo modo di sentire e vivere la poesia è come mantenersi in una dimensione che sempre tende al vero, in quella parte incorrotta d’infinità che nutre il nostro effimero futuro.




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