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Sagarana PRENDERE O LASCIARE


Roberto Roversi


PRENDERE O LASCIARE



 

Una Poesia di Roberto Roversi apparsa su IL TACCUINO DI CARY (n 1, 16 aprile 1985)
Cara Pina, oggi mi comunichi che Roberto Roversi è morto. Il dolore è grande. Ma non posso che reagire con una sua poesia, conosciuta da pochi. Mi fu inviata da Roberto come contributo al primo numero della rivista di letteratura, teatro e politica Il Taccuino di Cary. Una rivistina autofinanziata, indipendente e stampata a Londra a meta’ degli anni ’80. Era prodotta da una micro-redazione che immeritatamente dirigevo. Quella rivista stampata in 300 copie svolgeva un’umile funzione di coordinamento; per scambi di idee e materiali cartacei realizzati grazie a un po’ di fondi messi assieme con sottoscrizioni e abbonamenti sulla fiducia. Quei denari li avevamo impiegati per acquistare un computer Epson, di seconda mano, per affittare un piccolo magazzino in disuso collocato presso i docks di Commercial Road. Era stata la tipografia   del Sindacato degli operai della Ford; poi messo a disposizione dei minatori scesi dalle miniere del nord per l’ultima grande serrata . L’unico scopo di quelle pagine stampate nottetempo era quello di resistere, di continuare ad ardere sotto la cenere di quello che veniva chiamato ‘riflusso’ della sinistra europea, o al tacherismo dilagante. Volevamo perlomeno traslocare e diffondere messaggi urgenti e un lavoro culturale militante, in inglese e in italiano; collegare corrispondenti disposti a dare il loro tempo gratuitamente, scrittori e poeti isolati, gruppi di lavoro sparsi al di qua e al di là dell’Oceano; per far conoscere testi , idee, esperienze e cronache della realtà per lettori attenti. Una rivista la cui vita è durata dodici mesi (non pochi, se si pensa alle condizioni e al periodo) ma con il conforto, l’esempio nobile ed emblematico di poeti, scrittori e intellettuali quali: Roberto Roversi, Eugenio Barba, Dario Fo, Franco Fortini, James Fenton, Stuart Hood, Ken Loach, Toni Morrison, Saadi Yousef, Ahmed Sadeq Saad, Jorghe Goldenberg, Fawzi Al Delmi, Alfonso Gatto e altri ancora.   Oggi, con la morte di Roberto Roversi il nostro paese perde non solo il poeta stimato da tutti, che ha scritto l’indimenticabile Dopo Campoformio; l’intellettuale che nell’immediato dopo Guerra ha contribuito significativamente all’esperienza e alla nascita della rivista Officina; l’ uomo umile e tenerissiomo che dalla Libreria Palma Verde ha continuato per anni a dialogare con Antonioni, con Tonino Guerra, con Franco Fortini e Pier Paolo Pasolini; ma anche con giovani ragazzi e ragazze sconosciute, altrettanto importanti. Ha insegnato a tutti noi, a un’intera generazione, la dignità del vero contrapposto all’ipocrisia, al servilismo e all’opportunismo; fosse esso editoriale, ideologico o religioso. Ci ha ricordato e ci ricorda ancora come non basta ‘il belato che strazia la lama dei coltelli in mano ai giovani carnefici’. Non basta.  ‘È oggi che dobbiamo contrastare’ con la voce e con la nostra persistente presenza: grazie Roberto, grazie per i tuoi versi, grazie per essere stato da Bologna poeta civile, umile e coraggioso, cittadino del mondo che si fa storia di tutti.
Walter Valeri
Boston , 15 settembre, 2012
 
 
 
“Prendere o lasciare”
1.      Corre l’indice sull’ultima mappa rimasta.
L’indice (il dito della sapienza, dell’orgoglio)
striscia
alla ricerca del suo oggi e del suo domani fugge dl suo
passato
alle volte è incerto
cerca il suo
sonno il suo trionfo il suo percorso e
poi fu notte
si also un vento agro
le città introno ai monti spensero I lumi
si accese un’alba verde gialla
promise sorprese.
Il dito sulla mappa continua a cercare cercare cercare
indica fiumi foreste frontiere.
 
 
2.      Oggi si promette speranza nello spaccio di birra vicino al porto
la speranza sarà mantenuta
poiché il mio indice (dito del viaggio, della saggezza)
finalmente si è fermato
sopra un luogo
-lì suona non una parola spagnola o italiana ma una parola inglese
che ancora non conosco.
Negli altri paesi del mondo è domenica.
Lasciato libero di decidere l’indice
( il dito più scontroso, freddo, il
dito imprevedibile) è fermo sulla mappa che indica le montagne
QUESTO È IL CUORE DEI DISTRETTI MINERARI
GROSSETO O BARNSLEY?
Siamo come la ciurma di una nave diceva calmo Davide Lazzaretti
cento anni fa
il contadino il minatore l’operaio il povero mentre
le frecce degli indiani lo trapassavano fra gli alberi
sui monti della Toscana – la terra sembrava un velo nel
mare.
PECCATO SE DEVO MORIRE dice oggi Davide Lazzaretti respirando a
fatica IO AMO LA MIA BARCA
COME FACCIO A SBARCARE
SAREBBE UN NAUFRAGIO poi ho conosciuto in miniera vestita da uomo
 
Sara Ogan
o Molly Jackson
o Florence Reese
il mio indice verga sulle pareti di carbone la parola ATTESA
la parola DOMANI la parola PAZIENZA la parola MAI
e se c’è bisogno di soldi nessuno si nasconde
le caverne sell’Amiata assomigliano alle finestre dell’Olimpo
spalancate per le pulizie d’agosto.
Questa è la zona del marasma totale.
 
 
3.      Cresce una generazione che sa leggere bene perfino la
poesia ma cento anni fa
un giornale era una giornale non una cosa da poco. Sul giornale
c’è tutto anche oggi che indica
negli ultimi mesi del 1984 a Torino a Milano molti operai
suicidi (per disoccupazione).
Alle 5 della sera
La gente non esce più
le strade vuote se non c’è il sole
i vecchi aspettano con gli occhi aperti
ascoltano
qualche volta aprono la televisione.
OH QUANDO SI SCIOGLIE LA NEVE
OH QUANDO LE NUBI CHE CAMMINANO RITORNANO ROSSE
OH QUANDO POSSO FARE IL BAGNOALL’APERTO
FRA I RANOCCHI mentre sulle montagne
astri strani sibilando astri
esplodendo errando sulle montagne andando
anch’io vedo quel cielo scuro.
È AFFASCINANTE IPOTIZZARE IL FUTURO
SPECIALMENTE QUANDO SEMBRA PURA FANTASIA
Sheffield Barnsley Cortondown Pontefract sono oro colato
mentre i pesci nuotano nell’inchiostro
NON SI PUÒ ESSERE NEUTRALI
 
4.      HAI PASSATO LA VITA A INCOMINCIARE
il mio pozzo è la mia vita
DODICI BAMBINI SONO VOLATI DA WAKEFIELD
SUL MONTE AMIATA IN TOSCANA
lì Davide Lorenzetti raccoglie le ombre della sera sulla mano
e le porta nei boschi.
QUESTO È IL CUORE DEI DISTRETTI
MINERARI
si assomigliano tutti
dice il mio dito fermo sulla mappa
qua e là ci sono cieli senza nuvole
o sono punti e sembrano zero.
L’ULTIMATUM È PRENDERE O LASCIARE.
Un libro aperto sopra un muro incide le ore del giorno
fotografa il volo degli uccelli.
Le patate cuociono sotto la cenere.
Il carbone è gomma da masticare.
Andrò a teatro quando tutto sarà finito.
 
5.      Il mio dito si ferma.
LA GRANDE MISERIA CREA DI NUOVO LE GRANDI NECESSITÀ.
Non è possible rendere credibili le cose
possibili?
La risata di un bambino
tac tac tac cade si spezza per terra.
RICOMINCIAMO DA ZERO dato che
sono uno che vede l’oro anche dove c’è il buio.
 
ADDIO, ESTATE SENZA AUTUNNO.
 
 
 
Roberto Roversi
 
 
NOTA dell’Autore: Davide (Lazzaretti), nato nel novembre 1834, fu ucciso il 18 agosto 1878 sul monte Labbro in Toscana dalla polizia, mentre coi suoi discepoli (erano operai, pastori, contadini, minatori della montagna Toscana) compiva una processione in maschera piena di canti, di suoni, di preghiere. La processione era stata proibita dal Governo.
            Onesto, tenero, umanissimo; eppure intransigente e duro sino al sacrificio; coraggioso fino alla morte; Davide Lazzaretti prometteva a tutti un mondo di verità, di bene e di giustizia.
            Sempre ignorato (anche adesso) dalla cultura ufficiale, egli continua a darci una testimonianza vigorosa del valore morale che hanno le scelte di vita legate ai sentimenti e alle speranze vere dell’uomo. Perseguitato e braccato, Davide Lazzaretti non si è mai lasciato piegare o rassegnare.
            Per questo mi sembra un naturale compagno e amico – da tempi lontani – dei minatori inglesi di oggi. O degli operai napoletani.
 
 
Bologna, aprile 1985




Roberto Roversi
Roberto Roversi, per Lucio Dalla era, anzitutto, cerbottana. Qualcuno da cui imparare. Per osmosi, per palingenesi. “Roversi mi ha insegnato cose ininsegnabili. Tirandomi da lontano delle freccine con la cerbottana, mi ha fatt o capire delle cose che non avrei mai capito né a scuola né da solo, né andando tre volte sul monte Sinai. Ho capito soprattutto l’organizzazione del pensiero della canzone, la parola, il segno, il senso, la forza”. Roberto Roversi, poeta dolce e indomabile, severo e risorgimentale, è morto. Ieri, a 89 anni. Il 2012 ha falcidiato Bologna: Dalla, Stefano Tassinari, Roversi. Nel suo ultimo libro, deliberatamente clandestino come gli altri, parla di una “Italia sepolta sotto la neve”. La parte conclusiva si intitola Trenta miserie d’Italia. “Appartengo alla schiera, non folta, convinta non solo che si possa, ma che si debba morire per la così detta “patria” (..) Dunque questo testo è un canzoniere d’amore incattivito da una rabbia rabbiosa per un tradimento che è in atto ma che deve passare”. Partigiano, poeta, paroliere. E soprattutto libraio. Dal 1948 al 2006, in Via de’ Poeti. Libreria Palmaverde, senza vetrina. “È legata a una scelta precisa. Non quella dell’alto antiquariato, ma del libro esaurito, un po’ raro e di cultura”. Trecentomila volumi passati di lì. Roversi se li ricordava tutti. “Vendere i libri è la parte più dolorosa del mestiere di libraio. Quante volte mi sono messo subito a cercarne uno identico per riempire il vuoto”. Così raccontava a Michele Smargiassi, uno dei suoi cantori migliori, nel 2010 per Repubblica: “Dai libri che partivano per l’estero, che dovevano affrontare un viaggio lungo e periglioso, mi congedavo con un rito speciale: scrivevo una piccola poesia per loro e la infilavo fra le pagine. I libri sono individui, parlano, cantano, profumano, si muovono secondo il vento e le stagioni. Quel che rimpiango di più è non aver abbastanza forza nelle gambe per andare in una libreria, aspirarne l’odore come quando si entra in un bosco, scaffali come alberi e libri come foglie, perché i libri non sono corpi morti”. Sei anni fa li mise all’asta, i proventi ai senzatetto. Roversi ha vissuto inseguendo una luce che, se proprio doveva, lo illuminasse di sghimbescio. “Che sorte avranno i miei libri? Forse la pattumiera della storia. La carta è riciclabile”. Dalla metà dei Sessanta pubblicava solo per case editrici piccolissime. Più spesso, fogli fotocopiati. “Ho sempre scritto su giornali di sinistra: più erano di sinistra, più ci scrivevo. Ho diretto Lotta continua, dopo Pasolini e Pannella: l’ho fatto perché pensavo che la libertà di stampa fosse in pericolo. Adesso non scrivo – si potrebbe dire – perché nessuno me lo chiede”. Amava il giornalismo più di quanto questo meritasse. “Sono immerso nella carta stampata da quando sono nato. Amo i giornali: mi piace leggerli, dissentire, arrabbiarmi. È solo che i giornali italiani sono per lo più scritti male. Il giornalista che scrive bene invece mi commuove, mi fa andare in brodo di giuggiole. Lo vado a cercare, lo inseguo”. Nelle interviste, ad esempio ad Angela Manganaro, citava “il grandissimo Marx” e Jovanotti. Antiberlusconiano sui generis (“L’accanimento contro di lui è stato impostato in un modo talmente viscerale, scorretto, e accanito da coprire la mancanza di argomenti alternativi ed efficaci da parte nostra”). Impietoso anzitutto con la sua parte: “La sinistra è debilitata, anchilosata, monca: gira con una gamba di legno appoggiata a un bastone, come i reduci di guerra. A volte fa tenerezza nella sua mancanza assoluta di potere comunicativo. Non corre più: dovesse correre dietro a qualcuno ruzzolerebbe per terra con la sua gamba di legno”. Aveva occhi buoni e barba, pure quella risorgimentale, a due punte. La moglie Elena, la casa al quarto piano di un palazzone bolognese. Curioso, anche musicalmente . Ha composto per gli Stadio, pensando a Maradona (Doma il mare, il mare doma) e chiedendosi chi fossero i Beatles. E poi Lucio Dalla. Tre dischi, dal 1973 al 1976: Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa, Automobili. Quest’ultimo lo firmò con uno pseudonimo: Norisso. Roversi voleva che nell’album confluissero tutti i brani dello spettacolo Il futuro dell’automobile e altre storie. Dalla – e casa discografica – scelsero solo quelli meno politici, tra cui Nuvolari. Roversi portò Dalla nei territori della sperimentazione. Dei media cannibali (Carmen Colon), del mercato (La Borsa valori), della delinquenza minorile (Mela di scarto). Delle gemme (Tu parlavi una lingua meravigliosa). L’anno successivo, Dalla incise Come è profondo il mare. Da solo. Roversi rimase in libreria. Quella dove era nata Officina, rivista fondata con Pasolini e Francesco Leonetti. Quella che frequentava Sciascia. Quella in cui si resisteva. E Dalla? “Un uomo colto. Diceva che avrebbe musicato anche l’elenco del telefono, se lo avessi scritto io. Poi giustamente s’accorse che le cose che scriveva da solo vendevano cento volte più delle nostre”.

Andrea Scanzi, su “Il Fatto Quotidiano”





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