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Sagarana QUATTRO POESIE


Tratte dalla raccolta poetica L’oceano e altri giorni


Tomaso Pieragnolo


QUATTRO POESIE



 

 
NICARAGUA - SUL CONFINE
 
Saliva nei tuoi occhi l’estensione
di un nome che la terra tratteneva,
l’aperto calore delle acque culminate
nella leggerezza della distanza,
il fuoco trattenuto dei vulcani
che fugava dai fiori la rugiada,
l’alba riunita sulla fronte delle madri
che si immergevano nel fiume,
l’orizzonte come una nuvola strisciata
sopra la linea nuda di una goccia
e quella goccia sola
era la mia bocca che ti baciava.
Amica mia, donna d’acqua, o costiera
dove attendere un giorno senza età,
fessura nel legno tardivo
dove mesi pazienti aumentarono
il miele dell’amore a ore ed ore
nella notte impassibile del bosco;
quando torneremo, un giorno,
dove siamo già nati,
saprai che il nostro mondo
è un rovescio di medaglie,
che un tempo più perfetto non esiste
e che i ricordi sono pesci negli acquari,
che un fiore tra i capelli può volare
se i giorni custoditi non si appurano;
saprai che gli universi sono millimetri,
che il tuo nome appartiene a tutto il mondo
e che l’amore resta un dono possibile
se una forte giogaia lo sostiene.
Saprai, quel giorno, forse tutto e forse niente
e come infine ci arrendemmo
nell’acqua interminabile di un bacio.
 
 
 
LE TARTARUGHE DI JUAN
 
Pescatore pentito d’esser uomo,
stagliato d’aria densa
nell’incavo del giorno
Juan depone le sue lance arteriose,
certe liane che fissarono selci,
le rapide reti d’ingegno vegetale
che strinsero in rochi canestri
il conflitto d’argenti in movimento.
Attende l’eruzione del tramonto
sul plumbeo galoppo oceanico,
il rombo verde del fogliame
che perpetua latitudini,
il volume del colore che cade
nel pozzo nero della notte,
rivelando lingue di fuoco azzurro
nelle dimore inabitate.
Solide teste come pietre nude
di tartarughe ruminanti
affiorano a tratti dall’acqua cupa
arenandosi arrese lungo costa;
silenzioso come la sabbia
sommerge tra i flutti incendiati
il piccolo uomo Juan,
pescatore pentito o nuovo pesce,
sparisce nello strapiombo del sale
appagando le sue metamorfosi,
gravemente incorporeo vola
aggrappato al guscio cieco
delle sue immense farfalle.
Ricordo che tornerà sulla riva
con la notte nella gravida bocca
e un dono per me che sono rimasto;
dalle abissali evoluzioni
un frammento di goccia, o guscio, o stella,
che reco come amuleto notturno
dopo tanti luoghi o secondi;
ma basterà questa fragranza nuda
per l’ombra di una sola eternità ?
 
 
 
EL TREN QUE NUNCA LLEGA
(IL TRENO CHE NON GIUNGE)
 
Fugge un rettile di scaglie ferrose
strisciato su rotaie interminate,
soffiando sommersi reami
che un tempo furono comete
nell’arco delle aperte praterie,
portandosi un gregge di nomi crudi
che mai appresero a parlare,
ad esser microbi delle miniere,
bestie aggiogate nelle piantagioni;
ma questo treno che non giunge,
che non parte, che più non viaggia
dove l’attendono irti ricordi
alla lotta del puro sole irreparati,
ipnotici meticci all’orizzonte
come severe statue conficcate,
donne dense con figli e polli
sulle schiene fibrose come tronchi,
bimbi che giocarono nudi,
legnose stazioni che marcirono
sotto l’acqua di secoli ellittici
e vecchi accovacciati sulle scarpe
che prestarono al vento puntuali
le loro orecchie rosicchiate
accogliendo fragori d’altre terre,
cani randagi, rugosi e insolenti,
compagni di provvisori padroni
nell’orma di binari ingurgitati,
fino a che il giorno iniquo non travagli
e nuvole inferme sciolgano
arco iris come pesci lucidi
nell’ora dell’arbitrio quotidiano
di questo treno che non giunge,
che non parte, che più non viaggia,
che anche noi attendemmo arresi
nella moltitudine silenziosa
di questa essenziale solitudine.
 
(arco iris = arcobaleni)
 
 
DUE ALBERI
 
Oh esteso amore,
dal fondo della gola ti gridai
la fragranza taciturna e liquida
di un fascio di linfe incendiate,
l’aroma braccato dell’ombra
nel folto di un mondo perduto,
l’aria che esalava colmando
l’eredità inabitata del giorno,
un nuovo castigo o la spersa
dolcezza del mattino,
forse la tua lingua di fiamma azzurra
senz’altro nome che se stessa,
chiusa nell’arduo abitacolo
di un suono millenario.
Ma nell’assenza,
nella capigliatura della notte,
nel solco del silenzio sprofondato,
io nacqui nuovamente dai tuoi baci
e per la prima volta
la mia linea di pietra nuda
sorse dal peso delle tue carezze
e i fianchi sollevarono il legname
e il seme che invase il tuo corpo;
oh melagrana dischiusa,
diventai carne quando mi toccasti,
mi scorsi guardando i tuoi occhi,
viaggiando per le nette arterie
della tua inumana presenza.
Perché qui venimmo
per continuare a vivere,
dalla fine all’inizio cominciare
quest’ombra di nitida purezza;
forse noi fummo solo due alberi,
disordinati dai colpi del vento,
fortificati da solitudini,
cresciuti solamente insieme
per morire e continuare a vivere
ogni giorno.






Poesie tratte dalla raccolta L’oceano e altri giorni, del 2005.




Tomaso Pieragnolo
Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da vent’anni vive tra Italia e Costa Rica. Queste poesie sono tratte dal libro L’oceano e altri giorni, scritto durante gli anni novanta e pubblicato nel gennaio 2005 (già finalista al Premio Libero de Libero inedito 2003, finalista edito al Guido Gozzano di Belgirate e Ultima Frontiera di Volterra e vincitore del Premio Minturnae Giovani). La casa editrice Passigli di Firenze ha pubblicato il suo ultimo libro, il poema “nuovomondo”, finalista al Premio Palmi, Metauro, Minturnae, rosa finale del Premio Marazza e vincitore del Saturo d’Argento – Città di Leporano. Fra le sue più recenti pubblicazioni anche “Lettere lungo la strada” (2002, premiato al Città di Marineo e finalista al Guido Gozzano di Belgirate). Una selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). La sua attività di traduttore di poesia latinoamericana si svolge in collaborazione con la rivista Sagarana, nella quale dal 2007 propone principalmente autori del Costa Rica e del Centro America, mai tradotti in Italia, e con alcune case editrici, che hanno pubblicato la prima traduzione italiana di Eunice Odio (“Questo è il bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, Menzione Speciale Camaiore per la traduzione) e la prima traduzione italiana di Laureano Albán, (“Gli infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”, Passigli 2011, finalista Premio Internazionale Camaiore, rosa finale Premio Marazza per la traduzione).

Il dato biografico dell’esperienza costaricana di Tomaso Pieragnolo è importante per capire la sua poetica ne L’oceano e altri giorni: infatti in questo libro raccoglie l’esperienza umana oggettiva ed intima della sua ventennale permanenza in Costa Rica, in un piccolo villaggio di pescatori dell’Oceano Pacifico, lontano dalle vie principali di comunicazione con il mondo “civile”, immerso nella giungla vergine della penisola nicoyana. Il testo non è scandito, ha un tono vagamente poematico e il filo rosso che lega tutti i componimenti è la natura, rivelata nei paesaggi, negli animali e nelle piante. Il tono di questo libro è fortemente lirico e, nel tessuto chiaro e cristallino, spiccano accensioni metaforiche e sinestesiche di grande efficacia. Il tema del viaggio, del movimento inteso come inevitabile cambiamento, della tensione interiore causata dallo scorrere di tempi paralleli e profondamente distanti, della riscoperta di una dimensione primigenia ed onirica fortemente presente nel paese centroamericano, vengono trasfigurati nella percezione di un limite umano persistente e necessario, rinnovato dalla presenza immanente di una natura primitiva che diviene simbolo e mito nel ricordo e nell’assenza. Subito nelle due poesie iniziali, Nascita di un’isola e Gracias, incontriamo una figura femminile che si fonde con la natura incontaminata e sorgiva del Costa Rica; così leggiamo in Nascita di un’isola: “Il tuo corpo nudo di giogaia inabitata/ardeva come un luogo di ripide memorie,/sulla tua pelle estesa di labbra ultramarine/la notte fu colmata nell’orbita reclusa/di stelle rifondate e smarrite farine,/i tuoi fianchi imposero alle onde scomposte/ la grazia di fiore, o palpebra, o legno accresciuto;/l’oceano ti accolse con le sue mani esperte/ d’acque e schiume e formule d’azzurro.../” Il tono ha una forte dose di narratività ed anche una certa magia: pare di scorgere nella descrizione del poeta, che realizza immagini incantevoli, l’amata in un paesaggio bellissimo che la incornicia stagliandola in un sembiante fatto di stelle o di immagini di amniotico mare; sembra di assistere a una genesi, a una nascita, in una trasfigurazione ardente, indissolubilmente unita all’incantato e iridato paesaggio. La descrizione è debordante e rivela lo stupore primevo del poeta, stupore che un amante difficilmente potrebbe provare nell’asettico mondo “civile”, postmoderno occidentale;la bellezza dell’amata viene esaltata fondendo il suo corpo con la natura in una certa espressione di classicità. C’é in tutta la raccolta l’aura di un tono sognante e, a volte, una certa visionarietà. Il sogno nella poesia di Pieragnolo è fatto di vita intensa ed interiore e tutte le emozioni vengono perfettamente dominate; a volte pare che la realtà onirica e sognante che il poeta ci presenta sia collegata alla realtà materiale del corpo, dell’aria e dell’acqua marina, in un sogno ad occhi aperti. Tutto appare indeterminato, sfumato ad una prima lettura, mentre poi, dopo la rilettura, tutto diviene nitido e chiaro, sicuramente pregevole. Così nelle pagine di questo testo, con la sua vena delicata eppure incisiva, l’autore incontra paesaggi senza nome né tempo, persone disperse che nessuno cerca, silenziosi animali selvatici che nella loro immutabile bellezza ripropongono il costante quesito sulla natura umana e sull’origine della vita e del mondo. Ogni componimento poetico è formato da molti versi, che sgorgano in lunga e ininterrotta sequenza con pochi segni d’interpunzione; la materia è fluida, magmatica ed incandescente, e il lettore pare affondare nella pagina. Tuttavia nel versificare di Tomaso Pieragnolo non c’è niente di barocco, tutta la sua scrittura è molto sorvegliata e calibrata, densa ed icastica e, nello stesso tempo, leggera. C’è anche un certo cromatismo nei versi di questo L’oceano e altri giorni, nelle raffigurazioni naturalistiche e nella sublimazione dell’eros; emblematica, a questo proposito, la poesia intitolata Colori, dedicata ad un pittore costaricano: “...ci sorprese l’adunca radice/ della tua senilità,/ il mercato vivo dei colori/ stesi come spezie sull’arena,/ il sussurro inverso della tua solitudine/ che cresceva fino ad apprendere/ l’anima segreta degli uccelli.../” È incontrovertibile che questo libro non sarebbe nato senza l’esperienza biografica dell’autore che interiorizza un mondo e, come un pittore, ne trasfigura il dato empirico con il suo poiein, cercando di continuo un etimo, una radice della vita; la risposta arriva dal paesaggio di un piccolo villaggio del Costa Rica, in ogni sua minima espressione di vita, una vita affascinante e dura, fuori dal tempo; ed è proprio la percezione della temporalità ad avere una forte valenza in questo libro, come possono esemplificare questi versi tratti dalla poesia Secoli o grani: “...Ma tuttavia, dopo secoli o grani,/continuo a nascere dal sangue di ogni giorno,/ ogni giorno a generare nel sangue/ che la vita ci chiede per restare/ nel tempo che è totale imbarcazione./” Testo originale e ben strutturato, questo di Tomaso Pieragnolo, che ci porta a condividere con l’io poetante incanti che l’uomo occidentale, nella sua scissione con la natura, pare avere perso. (fonte Vico Acitillo, dicembre 2007 - Raffaele Piazza)





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