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Sagarana LA CHIMICA DELLO GNOCCO


Maurizio Bardoni


LA CHIMICA DELLO GNOCCO



 

Non tutti sanno che la Via Lattea è chiamata anche ‘giardino d’inverno’, in svedese pre-katastrofe.

Che il sole è una tra i 400 miliardi di stelle della Via Lattea, che è la nostra galassia.
Che Nettuno è il pianeta più lontano del sistema solare, guardandolo col telescopio, si torna indietro di quasi cinque ore, che è il tempo di cui ha bisogno la sua immagine per arrivare a noi.
Che la luce ha una velocità di circa 300.000 chilometri al secondo.
Che non si può sapere come è l’universo in questo momento, alcune stelle possono essere scomparse 50.000 anni fa ed essere ancora visibili.
 
La terra è un pianeta vivo, anche se attualmente non sembrerebbe.
Una specie d’astronave bianca e sferica, schiacciata ai poli, che naviga intorno a un sole sempre meno incandescente, nel freddo mare dell’universo.
Anche noi essere umani siamo come barche cariche di geni che navighiamo nella vita.
Se riusciamo a portare questo carico al porto più vicino, la nostra vita non sarà stata vana.
Per questo io ho sedici figli, ma la parte più difficile l’ha fatta mia moglie, che poi sarebbe il porto.
 
Prima di compiere settant’anni, ero un tipo irrequieto e romantico, approfittando del fatto che non ero ancora sposato, ne ho approfittato per bere tanta birra, (anche se negli ultimi anni era sintetica) e per divertirmi come potevo.
Nel tempo libero ho scritto e pubblicato tanti di quei libri che non mi ricordo più quanti, o di cosa parlavano.
Ora i libri non esistono più, dal 2045 è tutto virtuale e on-line, ogni volume che si trova sepolto nel ghiaccio è un cimelio.
Ed è così tanto tempo che non scrivo, che mi pare di non averlo mai fatto.
Oppure che a scrivere fosse sempre stato un altro, magari uno che conoscevo, ma solo di vista e di certo molto più magro.
 
 
Forse ora è meglio che mi presenti: mi chiamo Gesù Bertuzzelli Bozzi, laureato in Chimica Culinaria, plurimaster in Scienze Gastronomiche Bresciane e di Bergamo Alta.
Il fatto è che in questi giorni che precedono il Santo Natale, che è anche il mio compleanno, sto cercando di ricollegare i fili della storia, non solo la mia.
Quella, la storia, è sempre mischiata con la geografia e un sacco di altre robe.
 Mentre si studia, uno spuntino o due non fanno mai male, magari pure un bel bicchierino di liquore di licheni.
 
Dicevo che a farmi ricominciare a scrivere è stato forse il pensiero insistente degli gnocchi, oggi chiamati gnokki o ynioki.
Quella gara che si svolse dentro il mio cervello e sottostante pancia, negli anni d’oro del mio mestiere di critico culinario per la rubrica “Abbuffatevi, sì,  ma con calma”, della rivista on-line “Ciccioni auspicabili”.
Durante tutti questi giri della terra intorno al sole, lo avrete capito da soli, la mia pancia ha distanziato sempre di più la tastiera del computer dai miei occhi.
I miei occhiali e le mie braccia non sono riuscite a seguirla, allora ci ho provato con un registratorino portatile, ma non era la stessa cosa.
La mia premiata ditta, a quel tempo constava di una unica grande persona, io.
Intanto, però, mi stavo dilatando come l’universo, così ho dovuto assumere un dipendente esterno, diciamo uno scrivano periferico.
Visto che mi ero nel frattempo sposato, è stata poi una scrivana, cioè mia moglie Assuntina, detta anche Cosciotta, la quale trovavasi all’epoca disoccupata e ancora quasi snella.
Disoccupata si fa per dire e snella per poco tempo, giacchè per riuscire a soddisfare, in quantità e in qualità, la mia famelica pancia cresciuta a dismisura a forza di piacevoli assaggi di lavoro, si dannava in cucina sedici ore al giorno e a forza di assaggiare le cose che faceva, era ingrassata anche lei e stava ingrassando ancora.
Non molto tempo dopo, per non scoppiare, optammo per un cambio di attività.
Di questo proprio non mi piace parlare.
Fino a oggi, però, devo dire, non abbiamo fatto che dimagrire, anche e soprattutto per altri motivi contingenti di cui parlerò diffusamente in seguito.
 
 
 
Tornando a noi, gli gnocchi sono stati, per tutti questi anni, i nostri veicoli di benestare, di lavoro e di passatempo.
Ne siamo diventati artefici e ideatori, fabbricatori e impacchettatori, divulgatori e esportatori.
Poi ce li mangiamo anche.
Qui mi fermo e passo ai particolari della storia che in questi anni mi ha ossessionato, ma anche stimolato, perché in maniera non del tutto negativa.
A quei tempi, forse per caso o forse no, avevo quattro modelli di gnocchi in famiglia, trai quali non riuscivo a capire quale fosse il migliore, giacché erano tutti fenomenali.
Da una parte mia nonna, che aveva insegnato a mia madre, dall’altra mia moglie e sua madre, che era stata la sua maestra.
Erano le quattro cuoche che avevano portato al mio palato quei quattro modelli, tanto buoni che non sapevo decidermi.
Il quesito si era sviluppato alle mie spalle, in un giorno in cui le quattro dannate si erano riunite per cucinare contemporaneamente i loro gnocchi e farmeli assaggiare, caldi-caldi, affinché, finalmente mi decidessi.
Certo il mio palato era sopraffino, conosciuto nel mondo, facevo prove di gusto davanti a milioni di telespettatori e non fallivo mai.
A quei tempi era nato perfino anche un gioco alla televisione, in cui i concorrenti si cimentavano nell’imitare le mie capacità, io ne ero l’ideatore e giudice unico.
Tutto finì quando un giornalista svelò il mio segreto, non so come lo era venuto a sapere, ma non ebbi più il coraggio di ripresentarmi.
Macchinette minuscole o no, io ero unico nel mio genere.
Come nessuno assaporavo e catalogavo gusti e retrogusti, oramai ero famoso in tutto il mondo, quindi le quattro donne volevano un responso che io non riuscii mai a dargli, fino all’esaurimento nervoso e conseguente cambio di attività.
Di questo non mi piace parlare.
Comunque sia, di queste donne, tre su quattro, sono morte, Cosciotta è diventata Coscetta, o Coscina, forse meglio Koscina, come Silva, quell’attrice più che bòna, degli anni sessanta, epoca pre-katastrofe.
 
La visione antropocentrica del mondo, era cambiata già da tempo prima della suddetta calamità.
Nostro malgrado, il giocoforza delle notizie a noi giunte, aveva rivoluzionato, in varie fasi essenziali, tutto ciò in cui si credeva fermamente da tempo.
Prima quel Niccolò, di cognome Copernico, il quale aveva tolto la Terra– e l’uomo – dal centro dell’Universo per sostituirvi il Sole.
Tre secoli dopo si era scoperto che neanche il Sole è al centro dell’Universo, anzi.
Abbiamo dovuto passare faticosamente, per i nostri boriosi cervelli, dall’eliocentrismo al galattocentrismo.
Le osservazioni astronomiche, già alla fine del secondo millennio, ci hanno fatto notare che le galassie si allontanano sempre di più le une dalle altre.
L’idea stessa di un centro è da escludersi del tutto.
E l’uomo si è perso nello sconfinato Universo, senza alcun punto di riferimento.
Relegato in periferia tra i miliardi di stelle già nella sua stessa Via Lattea, è considerato una recente, e magari effimera manifestazione, nell’eternità cosmica.
Finalmente siamo stati riportati alla realtà, alla quale non vogliamo ancora credere, ma è questa la vera condizione in cui siamo... e siamo sempre stati.
La terra è una macchiolina fatta da una mosca maleducata sulla mappa dell’infinito.
 
Oggi è facile dire che il mondo sia messo male, basta chiudere gli occhi e fiutare la sua mancanza completa di odori, sentire il gelo che penetra dolorosamente nelle nostre narici arrossate.
Non potrebbe andare peggio di così, si è tentati di dire, ma è meglio non farlo.
 
Fare un riassuntino di quello che è stata la nostra storia, forse può far capire perché, a questo punto, noi ci troviamo qui dove siamo ora, cioè a Brescia.
Oggi però si chiama Broskoli, nota base di partenze interplanetarie.
 
Prima c’era la Preistoria, gli uomini primitivi avevano le mascelle più forti e la fronte bassa, quindi pensavano meno e mordevano con più forza.
L’Evo Antico inizia circa il 4000 avanti Cristo, l’età del bronzo fa da spartiaque, con l’inizio di quella del ferro ecco che qualcosa cambia, ma non si capisce cosa.
I cambiamenti, come diceva il vecchio ma buon Toffler, sono stati lentissimi nel passato, per diventare progressivamente sempre più rapidi.
Pare che Gesù Cristo sia nato il 6 Avanti Cristo, secondo il nostro calendario gregoriano.
(Trattavasi di Gregorio XIII°, quello dei canti era invece Gregorio I°, tutti e due papi.)
Quattrocento anni prima i greci, che però a quell’epoca abitavano in Turchia e precisamente a Mileto, iniziavano a pensare al senso della vita.
Chi glielo fece fare?
Forse la schiavitù degli altri e il loro conseguente ozio.
Poco dopo e sempre in quella zona, Costantino si tira dietro l’impero romano e tutti diventano improvvisamente cristiani, dopo averli massacrati volentieri nei vari ‘Colossei’.
Anche il Medio Evo inizia senza preavviso, nel 476 dopo Cristo, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, ma era inevitabile, a quel punto.
 Come prima regola era vietato ridere e si doveva pensare costantemente alla morte, alla fine del mondo, che però quando scoccò l’anno mille non arrivò e tutti ci rimasero fregati.
Da notare che l’Impero Romano d’Oriente cadde solo nel 1453, (quasi mille anni dopo l’Occidentale,) con la fine dell’assedio di Costantinopoli.
Nel 1492, con la scoperta dell’America, ecco l’Evo Moderno, anche se, lì per lì, non se ne resero conto.
Il suddetto Evo finì nel 1789 con la Rivoluzione Francese e cominciò la Storia Contemporanea.
La Coca Cola s’impadronì della leggenda di Babbo Natale e la modificò, Billy Gates rubò i computer alla Apple e ne perfezionò i virus.
Nel 2000 di nuovo una fine del mondo annunciata, ma il bug del millennio si rivela un’ennesima baggianata.
Ricapitolando: dopo la bellezza di quasi 9000 anni di agricoltura, (che era iniziata nella Nuova Guinea nel 7000 Avanti Cristo,) ecco la Rivoluzione Industriale.
In duecentocinquant’anni siamo già nell’epoca dell’internet, dove il virtuale vale di più dei beni materiali.
Oggigiorno, però, i beni materiali non esistono più e il virtuale è troppo congelato per funzionare bene.
 
Sì, il clima iniziò a cambiare più o meno violentemente nel 2010.
Gli scienziati dichiararono che il mondo si stava scaldando, che i ghiacci si stavano sciogliendo.
Infatti, ecco puntuale la glaciazione.
Pare che il calore che arrivava dal sole sulla terra si fosse leggermente raffreddato.
Per un effetto a catena di riflessione del sole sui ghiacci polari in aumento, nel giro di poco tempo anche l’equatore è andato sotto zero.
Sono scomparse le piante e gli animali, la maggior parte degli esseri umani, la bibita più diffusa è la granita ai licheni.
Il mondo non era mai apparso così come è oggi e, detto tra noi, non appare nemmeno.
Non si vede nulla di nulla, è una palla bianca, coperta di nuvole e nebbia.
Non si sa nemmeno più dove iniziano le nuvole e dove finisce la nebbia, dove finisce la neve e inizia il ghiaccio.
Non riesco a ricordare quando è stato che ho visto il cielo, da qua, per l’ultima volta, ma non riesco nemmeno a dimenticarmi che era azzurro, screziato da pochi straccetti di nuvole.
 
Gli scienziati non fanno più previsioni, che tanto nessuno ci crederebbe, o forse non ci sono più nemmeno gli scienziati.
Il presente fa schifo, d’accordo, ma in compenso il futuro ci appare basato su un disegno che ancora ci sfugge... e forse è meglio così.
 
La gente non può nemmeno più mangiare decentemente, visto che tutto ciò che era organico è sparito dalla circolazione.
Meno male che io ho continuato imperterrito le mie ricerche e oggi produco alimenti che, sebbene siano fatti con componenti chimiche differenti, otteniamo quasi gli stessi sapori, con proprietà organolettiche anche pregevoli.
Insomma raccogliamo in giro entusiasmo, calore umano e disumano, ringraziamenti e crediti interplanet, una bellezza.
 
Oggi la popolazione della terra si stima inferiore al milione di persone, più approssimativamente altre ottocentomila sparse per le varie basi interplanetarie.
La lingua Crock ormai è l’unica ufficiale, ma ognuno nel suo nucleo cerca di conservare la sua, prima della catastrofe, che per me è l’italiano.
I nuovi pianeti abitati da esseri disumani sono catalogati con due lettere dell’alfabeto, in ordine di scoperta.
Per conto mio faccio la spola, da un anno, da Broskoli al pianeta ZX, uno degli ultimi arrivati nella nostra folta schiera.
La gente non credeva molto alle possibilità di ZX, perché apparentemente era come la Terra, coperto di gelo.
Però là c’è il Petronio, che si usa come carburante per le astronavi piccole, poi sotto la superficie c’è assai più vita, tra cui forme intelligenti e nuove, come i Dusran, raccontatori di barzellette tristi, i Bonameu, detti i sorridenti intelleggibili  col cappello e poi gli Gniiioms, i pacchiani di classe, di cui vi parlerò dopo.
 
Per non soccombere alla nostra bianca e fredda tristezza, alla progressiva mancanza di speranza, noi umani navighiamo su e giù per la via Lattea e, da un po’ di tempo,  ce ne usciamo anche fuori.
Tutte le risorse umane, che non sono molte, ma stanno aumentando, sono impiegate nel viaggio spaziale, per scoprire nuovi mondi, che però finora non abbiamo trovato.
Almeno non come volevamo.
È vero che siamo assai esigenti.
Se la donna ideale, per un uomo, assomiglia troppo alla mamma, per noi terrestri il pianeta ideale è il ritratto della Terra
Come era prima, però.
D’accordo, ne abbiamo trovato di altri tipi, con delle creature a bordo di notevoli capacità.
Gli Weew di GH sono simili ai cani, per esempio, ma cinguettano come ornitorinchi col labbro leporino e hanno la mania del calcolo orale, per cui nessuna operazione matematica o di algebra gli è estranea e te la risolvono in frazioni di secondi.
Impossibile capirli quando parlano, meno male che sanno scrivere.
 
Siamo commercianti interspaziali,  io e mia moglie, più i miei sedici figli, sei maschi e dieci femmine, che lavorano tutti nella nostra impresa, la Kuli-Kuli-N’Aria.
Estraiamo componenti chimici, progettiamo ricette, fabbrichiamo e finalmente vendiamo alimenti alle basi dei vari pianeti, oltre che sulla terra.
Insomma ci diamo da fare.
A suo tempo, si era tentato di coltivare alcune piante di valore alimentare in serre riscaldate sottoterra, ma costavano troppo e le scoperte extraterras parevano più urgenti.
Oggi ce ne pentiamo amaramente e lo zucchero chimico è una delle peggiori cose che si possano immaginare.
Su questi pianeti troviamo anche e soprattutto le sostanze per produrre cibo chimico, che sulla terra sono diventate di difficile se non impossibile estrazione, per via del gelo.
Finalmente, lontano dalla terra, si trovano poi anche cose organiche e si possono tentare i primi esperimenti alimentari, abbiamo già dei discreti successi, anche se molti assaggiatori Gniiioms sono morti per una causa comune e importante.
Certo che la mia cimicetta, o macchinetta per assaggiare, era geniale all’epoca, sentiva il veleno assai prima del corpo umano.
Come una minuscola monetina, si metteva sotto la lingua, ma era collegata a un potenziometro a vibrazioni che potevo tenere nel taschino.
Certo che bisognava stare sempre attenti a non masticarla.
Con il clima freddo-secco di adesso, però, non funziona più e io sono affetto da attacchi di tonsilliti glaciali, i miei viaggi non aiutano affatto a migliorare e poi ho sulle spalle i miei annetti, che non sono pochi.
Dopo aver provato varie nuove tecniche e tecnologie, costruito complicati robot che non hanno mai funzionato bene, visto che in fondo in fondo del cibo se ne fregavano, abbiamo scoperto gli Gniiioms.
Sono degli extraterrestri così intelligenti che sembrano totalmente idioti e inerti.
Ultimamente ne hanno trovati anche sulla terra, chi ce li ha portati?
(Forse io stesso, ma non mi ricordo, qui non servono a granché, poi)
Ce ne sono anche su AG e su RD, pianeti dalle caratteristiche climatiche completamente differenti tra di loro, ma specialmente da ZX e dalla Terra.
AG è arido e caldo e RD umidissimo e tiepido, con una differenza di temperatura dal giorno alla notte di 400 gradi.
Quest’ultimo è disabitato, l’altro affollatissimo e quasi senza cibo decente in giro.
Gli Gniiioms non si sa da dove vengono e che cozza - muscolo o mitilo - ci sono venuti a fare qui, ma pare proprio che gli ci piaccia, a loro.
Difficile credere che dove stavano prima fosse peggio, ma ora sono il tipo di extraterras più diffuso in giro.
Solo che loro non hanno astronavi né utensili di qualsiasi tipo.
Non sentono il freddo, rimangono immobili per ore con la neve che gli scende addosso fino a coprirli.
Però riconoscono i sapori come nessuno, in più cantano delle canzoncine che sembrano in antiko dialetto sardo, però più melodiche.
Se non ci piacciono i loro canti, a padellate glielo si fa capire, all’inizio loro alzano il volume, magari per scherzare, ma poi smettono.
Il problema, come spesso succede in questi casi, fino a poco tempo fa, era riuscire a comunicare con loro.
Finché mia moglie ha scoperto due cose meravigliose.
Primo, che gli piacciono gli gnocchi, specialmente se crudi e di conseguenza sono disposti a collaborare.
Se gliene diamo uno, diciamo di circa tre grammi, ci concedono un’autonomia di collaborazione negli assaggi di un’ora circa.
La seconda cosa che mia moglie ha scoperto è che, anche se di solito fingono abilmente di no, parlano benissimo le nostre lingue pre-katastrofe.
Devi sentire come snocciolano l’antiko dialetto bergamasco e sanno spiegare i sapori, usando termini come la bèstcia blé (l’autobus), la curridura (la bicicletta) e altri ancora.
 
Dal filo strampalato del mio discorso avrete capito che la mia senilità è avanzata.
L’aspettativa di vita, poco più di un secolo fa era inferiore ai 30 anni.
 Ecco che io compio 144 anni il prossimo 25 di dicembre, cioè domani l’altro.
E tra le cose che voglio fare, prima di lasciare questo sconfinato universo, c’è quella di riuscire a produrre degli gnocchi di patate come li faceva mia madre.
Fuori dalla nostra zoppicante memoria, naturalmente, le patate non esistono più da decenni.
Però ho finalmente scoperto, non attraverso il gusto, ma piuttosto con l’aiuto della logica e dei ricordi, che quelli erano i migliori.
 
C’è da dire che come buongustaio mio padre era pieno di fissazioni, ma non tutte prive di senso.
Mangiava poco e digeriva male, dopo cena girava per le stanze, ore e ore, massaggiandosi la pancia con la mano.
Mia nonna, madre di mia madre, lassù sulle montagne, faceva un ragù più rozzo, con addirittura le bucce dei pomodori dentro.
Sacrilegio.
Il ragù di mia madre Gianna dovette adeguarsi a una più raffinata tritatura degli ingredienti e anche gli gnocchi diventarono più piccoli e più saporiti.
Quelli di mia nonna erano degli gnocconi enormi, scuri e minacciosi, tre erano già una porzione abbondante.
Mia moglie cucina bene assai e sua madre anche era una maestra in alcuni manicaretti.
 Per gli gnocchi, credo, si rifacesse a dei canoni meno raffinati di quelli di mia madre, però, la cui smisurata classe veniva fuori dal fatto che doveva rendere conto a un rompicoglioni come mio padre.
Il padre di mia moglie, Annibale, mangiava qualsiasi cosa, si sparava in gola perfino il fegato e la trippa, figurarsi che era addirittura appassionato per i sanguinacci.
Nello, invece, mio padre, scartava già il cinquanta per cento del disponibile, senza averlo nemmeno mai assaggiato, solo per motivi psicologici o etici.
Per il restante cinquanta il procedimento però era piuttosto complicato.
Alla fine si salvava forse un dieci per cento scarso, ma quello non aveva difetti, né per lui, né per nessun’altro.
Sennò s’arrabbiava.
 
Comunque, viste le cose con quel famoso senno di poi, che dicono sia una scienza esatta, non sono le caratteristiche del gusto in sé, che sono decisive, per il mio responso finale e inappellabile.
Mia madre è ancora insuperabile perché sono cresciuto con quei sapori, nei miei migliori anni, quelli della gioventù.
Figurarsi che allora, quando nevicava, per me era una festa, mi ci divertivo come una piccola ruspa cingolata.




Maurizio Bardoni
Maurizio Bardoni è un professore d'italiano che vive e lavora, il meno possibile, a Porto Alegre, nel sud del Brasile. Nato a Lucca, nel giugno del 1959, se ne è scappato appena se ne è accorto. Padre neuro-psichiatra, morto d’infarto nel 1996, madre insegnante elementare in pensione, un fratello designer, l’altro commercialista, entrambi più giovani di lui. Ha viaggiato abbastanza per convincersi che vuole viaggiare ancora. Conosce diverse lingue, ma alcune solo di vista. Secondo una delle sue bizzarre teorie, la lingua sarebbe uno dei modi più usati dagli umani per comunicare. Vive dal novembre del 1994 nel Rio Grande do Sul, e anche qui ha percorso in lungo e in largo lo stato per dare lezioni della sua prima lingua. La sua storia è stata densa di spostamenti e viaggi, pendolarismi di vario tipo, con ogni mezzo di trasporto, ma raramente in elicottero. Ha vissuto due anni a Berlino, gli ultimi del Muro, il quale poi è crollato, magari per caso, ma proprio quando lui se n'è tornato in Italia. Insomma la sua storia è quella di un emigrante alternativo, cioè uno di quelli usciti dall'Italia non solo per mancanza di soldi, forse più per rendersi conto di quello che c’era fuori.




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