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Sagarana I VOLTI CHE SEI ANDATO ABBANDONANDO


Roberto Juarroz


I VOLTI CHE SEI ANDATO ABBANDONANDO



 

I volti che sei andato abbandonando
sono rimasti sotto il tuo volto
e a volte riemergono e ti si sovrappongono
come se la tua pelle non bastasse per tutti.
Le mani che sei andato abbandonando
ti radunano a volte nella mano
e assorbono le tue cose o le rilasciano
come spugne crescenti.
Le vite che sei andato abbandonando
ti sopravvivono nella tua propria ombra
e un giorno ti assaliranno come una vita,
magari per morire una volta soltanto.
 
 
 
___________________________
 
In lingua originale:
 
LOS ROSTROS QUE HAS IDO ABANDONANDO
 
Roberto Juarroz
 
 
Los rostros que has ido abandonando
se han quedado debajo de tu rostro
y a veces te sobresalen
como si tu piel no alcanzara para todos.
Las manos que has ido abandonando
te abultan a veces en la mano
y te absorben las cosas o las sueltan
como esponjas crecientes.
Las vidas que has ido abandonando
te sobreviven en tu propia sombra
y algún día te asaltarán como una vida,
tal vez para morir una vez sola.






Poesia tratta dalla raccolta Poesía Vertical, traduzione di Alessandro Prusso e cura di Benedetta Maestrelli Picchiotti. Per trovare la raccolta completa, il link è: http://www.lulu.com/shop/roberto-juarroz/poes%C3%ADa-vertical/paperback/product-20320585.html




Roberto Juarroz
Roberto Juarroz nasce a Coronel Dorrego, nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore a Tempereley, il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosissima università ottenne, successivamente l’incarico di professore ordinario. E divenne quindi titolare del dipartimento di Bibliotecologia e Documentazione, della stessa università francese, dove insegnò per circa trent’anni. All'arrivo al potere del generale Juan Domingo Peron, Juarroz si consegnerà a una specie di volontario auto-esilio in Francia... similmente a quello che accadde a Cortázar. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía=Poesía. Si incaricò della pagina culturale del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), e divenne critico cinematografico della rivista Esto es (Buenos Aires 1956-1958). Si dedicò alla traduzione di vari libri di poesia in spagnolo, in particolare Antonin Artaud, la cui opera sedusse pure, Alejandra Pizarnik, che a sua volta lo tradusse meravigliosamente. Nell'estate del 1980 fu invitato a Parigi per la presentazione della più importante traduzione francese della sua opera poetica, editata per i tipi di Fayard. E dal luglio del 1984 divenne membro permanente dell’Accademia Argentina delle Letteratura. Ricevette, tra le tante onorificenze e distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría, concesso annualmente dall’associazione Gente de Letras de Buenos Aires. In Francia ottene il premio Jean Malrieu de Marsella (1992) e in Belgio il premio della Biennale Internazionale di Poesia, Liegi, (1992). Notevoli sono gli studi critici che lo riguardano e molteplici le traduzioni ad altre lingue tra le quali stupenda quella all’inglese del suo amico e poeta W. S. Merwin. Juarroz si dedicò inoltre agli studi pittorici, al seguito del pittore e intellettuale Juan Battle Planas, ed è ritenuto assieme a Borges, il più grande poeta metafisico argentino, e tale rimane, senza dubbio, anche a livello mondiale. La bibliografia poetica di Roberto Juarroz si dipana praticamente nella stesura di un continuo e organico testo poetico, di poesia "verticale", ossia poesia caratterizzata dalla trascendenza, dalla metafisica, a partire dal mistero insito nelle realtà quotidiane, e minimali. Poesía vertical uno, Poesía vertical dos, Poesía vertical tres, e a seguire: quattordici testi, a partire dal 1958, fino ad arrivare a gli ultimi giorni della sua vita. Una creazione poetica quotidiana e unica, superlativa, incessante... mettendo così fattualmente in atto la sua concezione propria di una poesia senza soluzione di continuità, di poesia-sempre, di un testo che è, e che diventa, a sua volta, l’intima equivalenza e la corrispondenza inevitabile dell’essere.




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