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Sagarana UN ANIMALE ESOTICO


Brano tratto da Piccolo, rosso e altri racconti


Božidar Stanišić


UN ANIMALE ESOTICO



 

(...) Non avevo mai visto Nadja così infuriata come la volta che venne a sapere che una rivista letteraria romana mi aveva chiesto alcune pagine di autopresentazione. «E ti considerano uno scrittore migrante? Sarebbe stato meglio se avessero detto: un animale esotico!» cominciò a tuonare la mia farfalla senza togliersi il poncho. «Gli scrittori, caro mio, o sono scrittori o non lo sono! E si sa chi sono quelli veri…» Io continuai: «…quelli che scrivono vere storie d’amore!» I suoi occhi si inumidirono per la commozione suscitata dalle mie parole, che pur erano ironiche.
Alcuni giorni dopo le lessi dei frammenti di Qualcosa di simile ad una autopresentazione, mentre Nadja mi lanciava moniti, commenti e critiche taglienti, svolazzando, più che passeggiare, su e più per la stanza. Leggevo: Nel mio oggi friulano, quando scrivo, nessuna delle piante magiche che crescono lungo le velenose strade della nostalgia, è così viva come l’alberello gracile dell’igda (Elaeagnus angustifolia). Cresceva al centro del cortile della mia casa d’infanzia, e scintillava con fogliette argentee sotto il sole dei giorni d’estate; di notte era un’ombra azzurrognola ancorata alla pace del cortile... L’igda di un tempo ora la immagino come un albero carico di foglie in mezzo al mondo: ogni fogliolina sembra un volto, un destino fra la folla dei volti dispersi che avevo conosciuto, con i quali condividevo ciò che, così spesso semplificando, chiamiamo vita... L’avevo davanti agli occhi anche mentre scrivevo il mio racconto Il complice e l’avevo trasformato in Ygdrasil, il sacro albero sempreverde della mitologia nordica, cresciuto al centro della terra, che con le fronde raggiungeva il cielo e con le radici arrivava al mondo dei vivi e dei morti...
Mi ascoltò in silenzio, mentre sembrava che le sue dita sgranassero un rosario che solo lei vedeva. «Volevo essere sincero…» dissi. «Sincero? Certo, lo eri anche quando descrivevi l’immagine che vedi dalle finestre occidentali della tua casa di Z***!» gridò, in preda alla sua dolce rabbia, e afferrò di nuovo il suo libro. Ma poi saltò su e si impadronì del mio manoscritto. Oltre il campo di granoturco vedo il complesso del Centro di accoglienza per immigrati, quello stesso nel quale, assieme alla mia famiglia, all’inizio del mio esilio sono lentamente ritornato alla vita e alla sostanza delle cose semplici, ma care. Più lontano, agli estremi dell’orizzonte, vedo le vette del Piancavallo ai cui piedi si trova una grande base militare, conosciuta in tutto il mondo... Dunque, un’immaginaria linea d’aria lunga non più di cinquanta chilometri collega due luoghi emblematici della storia contemporanea: uno, che indica una possibilità di pace e di reale solidarietà, l’altro – che manda un chiaro messaggio di distruzione e di morte, lesse a voce alta, accompagnando ogni parole con gesti teatrali; poi tacque, chiaramente in attesa di un mio commento, per poter così stimolare la propria ira.
Tacevo anch’io. Lei mi fulminò con lo sguardo e continuò a leggere.
Dalle mie finestre orientali la vista si estende alle catene montuose delle Alpi slovene. È una parte del Paese in cui sono nato e da cui, all’inizio di una guerra fratricida, rifiutando qualsiasi divisa, sono fuggito. Sì, fuggito, accompagnato, come molti altri, dagli epiteti di fuggiasco, disertore, vigliacco, traditore… In Slovenia, all’inizio del mio esilio, ero privo di documenti validi. Dopo essere stato espulso da là, ho trascorso in Italia un anno intero come turista (così era scritto sul mio permesso di soggiorno, come su quello di tutti i bosniaci). Quindi molta acqua è passata lungo il torrente Cormor prima che diventassi un vero e proprio profugo. E molta più acqua è passata prima che iniziassi a comprendere che quel centro era un’isola, molto solitaria: bastava che mi allontanassi dalle sue rive per incontrare persone molto diverse, ostili e sospettose, fra cui non mancavano gli indifferenti, non solo verso la nostra, ma verso ogni tragedia. E quando si pronuncia quella parola, profugo, più esattamente le sue due prime sillabe, si produce una sorta di vento… Nadja depose il manoscritto e gridò: «E allora? A che scopo tutto questo?!» Stavo per dire che anche quello era un fatto, innegabile, perché non pubblicarlo? «Certo che è un fatto…» disse lei come se mi avesse letto nel pensiero. «Ma, caro mio, è un fatto più che complicato!» I suoi occhi cominciavano a manifestare una silenziosa disperazione e la sua voce rivelava la sua ben nota collera. «Sì, è anche un fatto che quei tuoi fatti non hanno proprio nulla a che fare con le storie d’amore!» Mi strinsi nelle spalle. «Sì, è così, Nadja Ivanovna…»
Ah, sarebbe stato meglio che non avessi aperto bocca!
«È così? Certo che è così! Ed è anche un fatto che in tutta quella tua commedia di autopresentazione non hai scritto di aver ricevuto ben pochi premi!» Ripetei il mio è così, ma sarebbe stato meglio di no. «Non sei neppure in grado di farti una foto decente, come per esempio quel famoso professore e scrittore del quale hai un libro!» Naturalmente, sapeva dov’era il libro, che prese subito in mano. «Ecco qui, caro mio. Guarda! La posa è significativa, come lo sguardo e naturalmente anche la pettinatura. Tu sulle foto sembri uno che al mattino deve ancora entrare in bagno…» Cercai di difendermi: «Ma… sono come sono, non so mettermi in posa e quanto ai capelli, ne ho sempre meno.» Mi guardò allibita. Pensai che mi dicesse di procurarmi una parrucca o almeno di iniziare a tingermi quel che restava delle mie chiome. Ma mi ingannavo. «I tipi come questo guadagnano meglio di te! Sai che lo chiamano Prof Milione? Lui non va da nessuna parte senza un milione di lire!» Mi limitati ad annuire, con una serenità che la fece di nuovo infuriare. «Tu… Tu… Tu! Ah, meglio che stia zitta…» sibilò, andandosene senza salutare. (...)






Brano tratto dalla raccolta Piccolo, rosso e altri racconti, Cosmo iannone editore, Isernia, 2012. L'illustrazione del brano č un dipinto di Evaristo Cian.




Božidar Stanišić
Božidar Stanišić Nasce a Visoko (Bosnia) nel 1956. Nel suo Paese, la ex-Jugoslavia, č saggista, critico letterario, autore di testi radiofonici e di racconti per infanzia. Agli inizi degli anni Novanta fugge dalla guerra civile in Bosnia, rifiutandosi di vestire alcuna divisa, e si stabilisce con la famiglia in Italia, a Zugliano (Udine). Nel 1993 pubblica I buchi neri di Sarajevo (Trieste, MGS Press, 1993), con una prefazione di Paolo Rumiz. Un racconto di questa raccolta č stato inserito anche nel Dizionario di un Paese che scompare, a cura di Nicole Janigro, Roma, Manifestolibri, 1994. Collabora attivamente con l’Associazione “Ernesto Balducci” di Zugliano, con la quale ha dato alle stampe tre raccolte poetiche, Primavera a Zugliano (1994), Non-poesie (1996) e Metamorfosi di finestre (1998), e il libro di prosa Tre racconti<(em> (2002). Del 2003 č il suo terzo libro di narrativa Bon Voyage (Portogruaro, Nuova Dimensione), mentre fra le piů recenti pubblicazioni troviamo Il cane alato e altri racconti (Verona, Perosini, 2007), La chiave in mano/Ključ na dlanu (Udine, Campanotto editore, 2008), La cicala e la piccola formica (Trieste, Bohem Press Italia, 2011). Diverse prose e poesie sono apparse in antologie italiane e straniere. Č autore del testo teatrale Il sogno di Orlando, edito in edizione privata nel 2006 e poi pubblicato sulla rivista on line Kúmá. Creolizzare l’Europa, n.13, 2007.




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