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Sagarana LE DONNE DI SCANNO


Anne Macdonell


LE DONNE DI SCANNO



 

Ma a Scanno, tetra e antica, c’è un mormorio costante di vita. La vita parla a voce alta qui. I bambini vi pullulano. […] Scanno è un paese di donne. La loro reputazione di bellezza è ampiamente meritata. Quasi tutte sono graziose. Per quasi una su tre vale la pena voltarsi; ma lei risponderà al tuo sguardo con una serenità altera mentre cammina verso la fontana con la sua conca di rame sulla testa. La Scannese può essere bruna o bionda, dagli occhi azzurri o neri. Ma, scura o chiara, bello e fresco è il suo colore e gli occhi vagano lontani, sorprendentemente impavidi e sereni, ancor più se si tratti di una giovane. I suoi lineamenti sono spesso incisi con speciale finezza; sani i suoi denti, e il suo sorriso fuggitivo ma dolce. Non ha niente della ostentata, appariscente, sensuale bellezza delle donne romane; il suo è un fascino senz’altro più attraente per un occhio nordico. La sua riservatezza ha qualcosa di misterioso che si addice all’abbigliamento tetro e alle strade buie e malinconiche. Lei ti darà il benvenuto in modo silenzioso; ma dietro al suo sorriso ci sarà una non piccola indifferenza. Mostrerà una qualche curiosità circa il paese che ti sei lasciato alle spalle; ma raramente proverà invidia per una sorte che ritenga essere più lieve della propria. Lei è una montanara, orgogliosa, indipendente, largamente autosufficiente, una grande conservatrice della tradizione. Tu puoi non apprezzare tutte le consuetudini del suo paese, ma con una calma precisione, che pone fine alle questioni, lei è solita rispondere “Così si fa a Scanno”. Non dà segni di voler abbandonare il suo costume tipico, che oggi non viene indossato in nessun altro luogo. Consiste in una gonna (casacca) di colore verde scuro, quasi nero, di stoffa pesante, cucita in quella foggia che le donne conoscono come “pieghe a fisarmonica”. Sotto l’orlo c’è uno stretto bordo rosso, che appare quando la gonna ondeggia. Il corpetto (comodino) è di un azzurro intenso, attillato, con larghe maniche fittamente arricciate sulle spalle e ai polsi, e decorate con bottoni d’argento variamente ornati – i simboli religiosi sono tra i motivi preferiti – e disposti a gruppi con rigorosa precisione. L’ampio grembiule (mantera) è di solito di un tessuto di lana azzurra; ma la varietà di colore è ammessa, e lo si può vedere verde, porpora o marrone. Ai lati vi sono delle aperture (carafocce) nelle quali vengono infilate le mani quando fa freddo. Sul collo appare la guarnizione di pizzo della camicetta, fatta da chi la indossa e spesso di disegno delicato. Come per il grembiule, anche per le calze la scelta nel colore è concessa, e ad esse vengono fissate le suole di pelle di capra (scarfuoli).Ma la parte più caratteristica del costume scannese è il copricapo. Prima di tutto, per l’acconciatura. I capelli sono divisi in due lunghe trecce, ognuna delle quali intrecciata con una nastro (treccia). I nastri sono lunghi quattordici metri! Quelli per tutti i giorni sono di lana attorta, quelli indossati nelle feste sono di seta e di tutti i colori immaginabili – scarlatti, o rosa, o verde, o blu, o ruggine, o porpora. Così strettamente i nastri sono intrecciati con le ciocche da rendere invisibili i capelli. Le trecce attorte vengono fissate fermamente intorno alla testa, e poi scendono dietro, con una certa ampiezza, in una crocchia. Due o tre volte alla settimana – mai di venerdì – vengono rifatte. Sopra tutto questo sistemano il turbante (cappelletto), indossato sia dentro che fuori casa. Questo copricapo, di fatto orientale, è nero, aderente, dalla cima appiattita, con due piccole punte sul davanti che lasciano intravedere una toppa di stoffa bianca su ciascun lato, e una corta coda di tessuto nero che pende dietro la testa. Viene indossato piegato molto corto. Guardalo con attenzione, e troverai che è fatto di due parti: la prima è costituita da rotoli di lino bianco tessuto a mano, avvolti intorno alla testa, poi un fazzoletto di lana merino nera (fasciatojo), piegato e fissato in modo da coprire la parte anteriore della tesa, la corona, e da formare la coda dietro. Nelle occasioni di lutto, il lino bianco è velato di nero. Un ulteriore segno di dolore – forse il ricordo di un velo orientale - è il pesante fazzoletto nero (abbruodaturo) avvolto attorno al mento a nascondere la bocca e legato in alto sopra il turbante; questa scomoda foggia è usata anche come protezione contro il freddo in inverno. Con queste cupe sembianze, che sono per loro di rigore più o meno da quando compiono dieci anni, inverno ed estate, domenica e giorni feriali – tranne che ai matrimoni e nella più importanti feste della Chiesa – le Scannesi attendono alle proprie faccende quotidiane.
L’antico costume, indossato fino a meno di un secolo fa, era ancor più complesso. Ne ho visto un bell’esemplare: un vestito di panno scarlatto, bordato con velluto dai motivi verde muschio, le maniche aperte e guarnite con nastri arricciati verdi e rossi, il grembiule ricamato ad arazzo con i legacci arricchiti di bei ricami, il turbante di seta operata e variopinta. I gioielli dell’epoca, collane e crocifissi, erano massicci e finemente lavorati. Oggi le spose, e tutte le donne in occasione di feste importanti come uno sposalizio, sono un’esplosione di colori nei loro turbanti e grembiuli; e le fanciulle nel giorno della comunione indossano il gaio costume invece del tradizionale abito bianco con il velo. La maggior parte delle donne benestanti possiede un ciondolo d’oro con la sigla IHS incisa al centro, circondata dai raggi del sole. Viene di solito indossato sotto il vestito, in particolar modo dalle madri che allattano, come un amuleto. Dal suo disegno è sorta una tradizione secondo la quale sarebbe stato fatto per la prima volta per commemorare San Bernardino da Siena che, nella credenza comune, predicò per una intera Quaresima qui nella chiesa di San Rocco.
Per poter svolgere i lavori quotidiani le donne alzano le loro gonne pieghettate drappeggiandole sui fianchi con una larga cintura tessuta al telaio. La loro andatura lungo le strade di montagna, con fascine sulla testa, o lungo le vie sassose con le loro brocche d’acqua, è del tutto peculiare: erette, con le mani sui fianchi o sotto i grembiuli, i piedi verso l’interno, con un movimento oscillante e ondeggiante. Bimbette di tre anni si cingono i loro grembiulini e traballano a imitazione dell’eleganza adulta. La forza di queste donne è sorprendente. Portano con facilità fardelli sotto i quali un facchino di Londra barcollerebbe. Ed è curioso, alla prima esperienza, vedere i vostri bagagli raggiungere la vostra stanza sul capo di una signora di età avanzata. Sarebbe troppo lunga una lista completa degli oggetti improbabili che ho visto portare sulla testa dalle donne di Scanno, oltretutto con incedere maestoso; ma l’elenco dovrebbe includere fascine di legna da ardere che una persona normale non riuscirebbe a sollevare di mezzo piede da terra, enormi sacchi d’erba, grandi balle di biancheria di lino tessuto a mano, sufficienti a riempire un grande baule, tinozze di rame colme del bucato della famiglia, una carriola, barili di vino, un aratro di legno, una caldaia per lavare, un materasso di piume, una lettiera di ferro! Questi pesi rendono tozzo il collo; ma non ci sono schiene curve tra le donne di Scanno.






Tratto da In the Abruzzi, with twelve illustrations after water-colour drawings by Amy Atkinson. – London : Chatto & Windus , 1908; nota e scelta di M. M. Cappellini, traduzione con Priscilla Rosi. Nell’illustrazione, acquarello di Amy Atkinson.





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