Torna alla homepage

Sagarana CLARA


Brano tratto dal romanzo Denti bianchi


Zadie Smith


CLARA



 

(…) Tim Westleigh (più comunemente noto come Merlin) registrò finalmente l'insistente squillo di un campanello. Si tirò su dal pavimento della cucina, guadò attraverso un oceano di corpi supini e aprì la porta per trovarsi faccia a faccia con un uomo di mezza età vestito dalla testa ai piedi in velluto grigio a coste e con una moneta da dieci penny nel palmo aperto. Come avrebbe commentato più tardi nel raccontare l'incidente, Merlin riteneva che il velluto a coste fosse un tessuto sgradevole, a qualunque ora del giorno. Lo indossavano quelli che andavano a riscuotere gli affitti. Anche gli agenti del fisco. I professori di storia ci aggiungevano le toppe di pelle ai gomiti. Dover affrontare un'intera massa di velluto a coste alle nove di mattina del primo giorno dell'Anno Nuovo, era un'apparizione micidiale, carica di un'enorme quantità di vibrazioni negative. «Che cosa vendi, amico?»
Dalla soglia, Merlin batté le palpebre, guardando l'uomo in velluto a coste che se ne stava sui suoi gradini, illuminato dal sole invernale. «Enciclopedie o Dio?» Archie notò che il ragazzo aveva un modo irritante di enfatizzare certe parole girando la testa in un ampio movimento circolare, dalla spalla destra a quella sinistra per poi, completato il giro, fare diversi cenni d'assenso. «Perché se si tratta di enciclopedie, be', ne abbiamo abbastanza, di "informazioni"... se invece si tratta di Dio, hai scelto la casa sbagliata. Questo è un posto senz'anima. Capisci che cosa voglio dire?» concluse, facendo quei suoi cenni d'assenso e spostandosi per chiudere la porta. Archie scosse la testa, sorrise e rimase dov'era. «Mmm... ti senti bene?» chiese Merlin, con le dita sulla maniglia. «Posso fare qualcosa per te? Sei ubriaco o roba del genere?» «Ho visto il vostro cartello» disse Archie. Merlin tirò una boccata da uno spinello e parve divertito. «Quale cartello?» Piegò la testa per seguire lo sguardo di Archie. Il lenzuolo bianco appeso a una finestra del piano superiore. Messa di traverso sulla tela, in grandi lettere color arcobaleno, campeggiava la scritta: BENVENUTI AL PARTY DELLA "FINE DEL MONDO", 1975.
Merlin si strinse nelle spalle. «Già, peccato, amico. A quanto pare, la fine non è arrivata. E' stata una delusione. O una fortuna» aggiunse amabilmente. «Dipende dai punti di vista.» «Una fortuna» esclamò appassionatamente Archie. «Una fortuna al cento per cento.» «Allora, mmm, la scritta ti è piaciuta, eh?» chiese Merlin, facendo un passo indietro per allontanarsi dai gradini, in caso quel tipo fosse violento oltre che fuori di testa. «Sei uno che crede a certe cose? Si è trattato di uno scherzo, capisci, niente di serio.» «Ha attirato il mio sguardo, in un certo senso» spiegò Archie, con quel suo sorriso da folle. «Stavo passando in macchina alla ricerca di un posto, sa, un posto dove bere un goccio. In fondo, è Capodanno e come si suol dire, bisogna dare un calcio al passato... Fra l'altro, ho avuto una mattinata piuttosto difficile... e quella scritta mi ha proprio colpito. Ho buttato in aria una moneta e ho pensato, perché no?» Merlin sembrava perplesso per la piega presa dalla conversazione. «Mmm... la festa è praticamente finita, amico. Fra l'altro, penso che tu sia un po' troppo "avanti" con gli anni... Non so se capisci...» A questo punto, Merlin parve in difficoltà. Malgrado la sbruffoneria, in fondo era un bravo ragazzo della classe media, e gli era stato instillato il rispetto per gli anziani. «Voglio dire» esclamò dopo una pausa imbarazzata, «siamo un branco di persone più giovani di quelle che forse sei abituato a frequentare. Una specie di comune.» «But I was so much older then» cantò maliziosamente Archie, citando un disco di Dylan di dieci anni prima e allungando il collo per vedere oltre la porta. «I'm younger than that now.»
Merlin si tolse una sigaretta da dietro l'orecchio, l'accese, aggrottò la fronte. «Sta' a sentire, amico... non posso tirar su chiunque si presenti alla porta, capisci? Voglio dire, potresti essere un poliziotto, potresti essere un maniaco, potresti...» Ma qualcosa nella faccia di Archie - grossa, innocente, dolcemente ansiosa - ricordò a Tim ciò che quell'estraneo di suo padre, il vicario di Snarebrook, diceva tutte le domeniche dal pulpito sulla carità cristiana, «Oh, accidenti. Santo Cazzo, è Capodanno. Farai meglio a entrare.» Archie aggirò Merlin e si trovò in un lungo corridoio con quattro stanze dalle porte aperte che si diramavano sui due lati, una scala che portava a un altro piano e, in fondo, un giardino. Sul pavimento erano cosparsi avanzi di tutti i generi... animali, minerali, vegetali. Da un capo all'altro del corridoio si estendeva una grande massa di coperte sotto la quale dormivano molte persone, un mare rossastro che si apriva sbuffando ogni volta che Archie faceva un passo avanti. Dentro le stanze, in certi angoli, si poteva assistere al passaggio di liquidi corporali: attraverso i baci, l'allattamento al seno, le scopate, i vomiti... tutte le cose che ci si poteva aspettare di trovare in una comune, come aveva spiegato ad Archie il supplemento domenicale del suo giornale. Per un attimo, Archie giocò con l'idea di buttarsi nella mischia, di perdersi fra i corpi (aveva tutto quel "tempo" nuovo per le mani, masse e masse di tempo che gli scorrevano fra le dita), ma decise che era preferibile qualcosa di forte. Affrontò il corridoio e raggiunse l'altra estremità della casa, dalla quale sbucò nel giardino gelido, dove alcune persone, avendo rinunciato a trovare un posto nel calore della casa, avevano optato per il freddo del prato. Con in mente un whisky and tonic, Archie si diresse verso un tavolino sul quale, come un miraggio in un deserto di bottiglie vuote, era visibile qualcosa con il colore e la forma del Jack Daniels.
«Vi dispiace se...» Due tizi neri, una ragazza giapponese in topless e una donna bianca avvolta in una toga giocavano a ramino, seduti in cerchio su sedie da cucina di legno. Nell'attimo in cui Archie allungava la mano verso il Jack Daniels, la bianca scosse la testa, imitando il gesto dello spegnimento di una sigaretta. «Mare di tabacco, temo, carino. Qualche lurido bastardo ha ficcato il mozzicone in quel whisky più che accettabile. Qui c'è del Babycham e dell'altra inesorabile merda.» Archie sorrise di gratitudine per l'avvertimento e la gentile offerta. Si mise a sedere e si versò un bicchierone di Lieb frau milch. Molti bicchieri dopo, Archie non riusciva a ricordare un momento della sua vita in cui non avesse conosciuto, e intimamente, Clive e Leo, Wan Si e Petronia. Con le spalle voltate dall'altra parte e un pezzo di carboncino, sarebbe stato capace di disegnare ogni singolo puntino di pelle d'oca attorno ai capezzoli di Wan Si, ogni ciocca disordinata che cadeva sulla faccia di Petronia mentre lei parlava. Alle undici di mattina, li amava tutti teneramente, li considerava i figli che non aveva mai avuto. In cambio, loro gli dissero che possedeva un'anima unica per un uomo della sua età. Erano tutti d'accordo che dentro e attorno ad Archie circolasse un'energia karmica intensamente positiva, il tipo di cosa sufficientemente forte da spingere un macellaio a tirare giù il finestrino di una macchina nel momento critico. E risultò che Archie era il primo uomo sopra i quaranta mai invitato a entrare nella comune; e risultò che là dentro si discuteva da un po' di tempo della necessità di una presenza sessuale più matura per soddisfare alcune delle donne più avventurose. «Splendido» esclamò Archie. «Fantastico. Sarò io, quella presenza.» Si sentiva così vicino a loro che rimase confuso quando verso mezzogiorno il loro rapporto s'inacidì all'improvviso, e lui si trovò nella dolorosa morsa del dopo sbornia e dentro fino al collo in una discussione sulla Seconda guerra mondiale, nientemeno.
«Non riesco a capire come ci siamo arrivati» borbottò Wan Si, che finalmente, proprio quando avevano deciso di entrare in casa, si era coperta, con la giacca di velluto di Archie avvolta attorno alle spalle esili. «Non cominciamo con questo argomento. Preferisco andare a letto, piuttosto che cominciare con questo argomento.» «Ma abbiamo già cominciato, abbiamo già cominciato» sbraitò Clive. «Questo è il problema con la sua generazione, pensano di poter sbandierare la guerra come se fosse una specie...» Archie fu grato a Leo, quando interruppe Clive e trascinò la discussione verso una ramificazione secondaria dell'originale, quella che Archie aveva cominciato (un commento azzardato sul servizio militare che rafforza il carattere dei giovani, pronunciato tre quarti d'ora prima) per poi pentirsene immediatamente, quando si era trovato a doversi difendere a intervalli regolari.
Finalmente libero da questo obbligo, si mise a sedere sulle scale, lasciando che di sopra continuasse la lite, mentre lui si stringeva la testa fra le mani. Peccato. Gli sarebbe piaciuto fare parte di una comune. Se avesse giocato bene le sue carte, invece di mettere in piedi quell'iradiddio, avrebbe potuto avere a sua disposizione amore libero e seni nudi, e magari, anche una stanza nella casa. Per un po' (verso le due di notte, mentre raccontava a Wan Si della propria infanzia) era parso che quella nuova vita potesse essere favolosa, che da quel momento in poi lui avrebbe sempre detto la cosa giusta al momento giusto, e ovunque fosse andato, gli avrebbero voluto bene. "Non è colpa di nessuno" pensò Archie, meditando su quel pasticcio. "E' solo colpa mia." Ma si chiese se in tutto questo non potesse esserci un disegno più alto. Forse ci sarebbero sempre stati uomini che dicono la cosa giusta al momento giusto e che, come Tespi, spuntano nella storia nell'attimo richiesto, e poi gli altri, quelli come Archie Jones, che servono semplicemente per far numero. O, ancora peggio, che si vedono offrire la loro grande occasione solo per uscire su battuta e morire la loro morte là, al centro del palcoscenico, sotto gli occhi di tutti. Ora si potrebbe tracciare una linea nera sull'intero incidente, sull'intera dolorosa giornata, se non fosse successo qualcosa che portò alla trasformazione di Archie Jones in ogni particolare in cui un uomo può essere trasformato; non fu dovuto a nessuno sforzo particolare da parte sua, ma all'incontro fortuito, veramente casuale, di una persona con un'altra. Qualcosa accadde per caso. Quel qualcosa fu Clara Bowden.
Ma, prima, una descrizione: Clara Bowden era bella in tutti i sensi, tranne forse, nel senso classico, dato che era di colore. Clara Bowden era meravigliosamente alta, nera come l'ebano e la pelle di zibellino, con i capelli acconciati in una coda di cavallo che puntava in su quando Clara si sentiva fortunata, e in giù quando era depressa. In quel momento era in su. E' difficile stabilire se questo fu significativo. Clara non aveva bisogno di reggiseno - era indipendente perfino dalla legge di gravità - indossava un maglioncino che le arrivava sopra la
vita, e sotto indossava il proprio ombelico (splendidamente) e sotto ancora jeans gialli molto attillati. In fondo a tutto, scarpe dal tacco alto, marrone chiaro e con il cinturino, e su quelle scarpe lei scese giù per la scala, simile a una visione o, così sembrò ad Archie quando si voltò a osservarla, come un purosangue ben addestrato. Ora, da quanto risultava ad Archie, al cinema o roba del genere capita spesso che qualcuno sia tanto notevole che quando scende una scala la gente si ammutolisce. Nella vita reale, Archie non l'aveva mai visto. Ma accadde con Clara Bowden. Scese la scala al rallentatore, circondata da una luce indiretta e diffusa. E non solo era la cosa più bella che lui avesse mai visto, ma era anche la donna più confortante che gli fosse stato dato d'incontrare. La sua bellezza non era un aggressivo, gelido bene di consumo. Odorava lievemente di muffa, e di femminilità, come un mucchietto dei vostri indumenti preferiti. Malgrado fosse fisicamente disorganizzata - le gambe e le braccia parlavano un dialetto leggermente diverso da quello del sistema nervoso centrale - Archie trovava eccezionalmente elegante perfino la sua andatura dinoccolata. Clara indossava la propria sensualità con la disinvoltura di una donna più vecchia, e non (così era con la maggior parte delle ragazze che Archie aveva conosciuto in passato) come una borsetta ingombrante che non si sapeva reggere, dove attaccare o quando mettere giù. «Alleegro, ragaazzo» esclamò Clara con un cantilenante accento caraibico che ricordò ad Archie un famoso giocatore di cricket della Giamaica, «magari non succede.»
«Credo che sia già successo.» Archie aveva appena lasciato cadere dalla bocca una sigaretta che, tanto, ormai era bruciata quasi fino in fondo, e ora vide Clara schiacciarla in fretta sotto un piede. Lei gli dedicò un gran sorriso che rivelò quella che forse era la sua unica imperfezione. L'assenza completa di denti nella parte superiore della bocca. «Me li haanno buttaati giù» spiegò, notando la sua sorpresa. «Ma io dico, se anche viene la fine del mondo, il Signore forse si preoccupa se non ho i denti?» Emise una risatina soffocata. «Archie Jones» si presentò Archie, offrendole una Marlboro. «Clara.» Fischiò inavvertitamente, quando sorrise, aspirando il fumo. «Archie Jones, hai una faccia proprio come mi sento io. Clive e quell'altra gente ti si sono comportati da stupidi? Clive, hai giocato di brutto con questo poveretto?» Clive sbuffò, - il ricordo di Archie non era affatto scomparso con gli effetti del vino - e ricominciò da dove aveva smesso, accusando Leo di non capire la differenza fra il sacrificio politico e quello fisico. «Oh, no... niente di serio» biascicò Archie, paralizzato dalla faccia mirabile di Clara. «Un lieve dissenso, tutto qui. Io e Clive la pensiamo diversamente su un paio di cose. Gap generazionale, penso.» Clara gli dette uno schiaffetto sulla mano. «Piantala. Non sei poi così vecchio. Ne conosco di più vecchi.» «Lo sono abbastanza» ribatté Archie, e poi, solo perché aveva voglia di dirglielo, aggiunse: «Non mi crederai, ma oggi sono stato sul punto di morire». Clara inarcò un sopracciglio. «Non me lo dire! Be', vieni, entra a far parte del club. Siamo in molti, stamattina. Che strana festa! Sai» aggiunse, passandogli la lunga mano sulla chierica, «mi sembra che stai piuttosto bene per uno che è andato tanto vicino alla Porta di San Pietro. Lo vuoi un consiglio?» Archie annuì con forza. Voleva sempre consigli, era un grande fan dei consulti. Ecco perché non andava da nessuna parte senza una moneta da dieci penny. «Vai a casa e riposati un po'. La mattina il mondo è nuovo, tutte le volte. Amico... la vita non è facile.» Quale casa? pensò Archie. Si era sganciato dalla vecchia vita e si stava addentrando in un nuovo territorio. «Amico...» ripeté Clara, battendogli la mano sulla spalla «... la vita non è facile.» Emise un altro lungo fischio e una risata malinconica e, a meno che non stesse veramente impazzendo, Archie vide un'espressione "affidati a me" identica a quella di Daria, tinta di una specie di tristezza, di disappunto, come se non ci fossero poi molte altre scelte. Clara aveva diciannove anni, Archibald quarantasette. Sei settimane dopo erano sposati.






Brano tratto dal romanzo Denti bianchi, Traduzione di Chiara Grimaldi. Arnoldo Mondadori editori, Milano, 2000. Traduzione di Laura Grimaldi.




Zadie Smith
Zadie Smith (27 ottobre 1975) č una scrittrice inglese. Fino ad ora ha scritto tre romanzi ambientati perlopių a Londra. Negli ultimi anni č stata celebrata come una delle giovani autrici inglesi di maggior talento.




    Torna alla homepage copertina I Saggi La Narrativa La Poesia Vento Nuovo Nuovi Libri