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Sagarana LA TRIBù CON GLI OCCHI AL CIELO


Italo Calvino


LA TRIBù CON GLI OCCHI AL CIELO



Le notti sono belle e il cielo estivo è attraversato da missili.

La nostra tribù vive in capanne di paglia e fango. La sera, tornati dalla raccolta delle noci di cocco, stanchi, ci mettiamo sulle soglie, chi seduto sui calcagni, chi su una stuoia, con intorno i bambini dai buzzi rotondi come palloni che giocano per terra, e contempliamo il cielo. Da molto tempo, forse da sempre, gli occhi della nostra tribù, questi nostri poveri occhi infiammati dal tracoma, sono puntati al cielo: ma specialmente da quando per la volta stellata sopra il nostro villaggio trascorrono nuovi corpi celesti: aerei a reazione dalla scia biancastra, dischi volanti, proiettili razzo, e adesso questi missili atomici telecomandati, tanto alti e veloci che nemmeno più si vedono o si odono, ma solo, stando bene attenti, si può cogliere nel brillio della Croce del Sud come un brivido, un singhiozzo, e allora i più esperti dicono: “Ecco, è passato un missile a ventimila chilometri all’ora; un po’ più lento, se non sbaglio, di quello che è passato giovedì!”.

Ora, da quando c’è in aria questo missile, tanti di noi sono stati presi da una strana euforia. Alcuni degli stregoni del villaggio, infatti, hanno fatto capire, sotto sotto, che scaturendo questo bolide di là dal Kilimangiaro, è esso il segno annunciato dalla Grande Profezia, e perciò l’ora promessaci dagli Dei s’avvicina, e dopo secoli di servitù e miseria la nostra tribù regnerà su tutta la valle del Gran Fiume, e la savana incolta darà sorgo e mais. Quindi paiono questi stregoni sottintendere – non si stia ad almanaccare nuovi sistemi per uscire dalla nostra situazione; confidiamo nella Grande Profezia, stringiamoci attorno ai suoi soli retti interpreti, senza chiedere di più.

Va detto però che, anche se siamo una povera tribù di raccoglitori di noci di cocco, siamo ben informati su tutto quello che succede: un missile atomico sappiamo cos’è, come funziona, quanto costa; sappiamo che non saranno soltanto le città dei sahib bianchi a esser falciate come campi di sorgo, ma che per poco che si mettano a spararli davvero, quelli ti riducono tutta la crosta della terra crepata e spugnosa come un termitaio. Che il missile sia un’arma diabolica non lo dimentica mai nessuno, neanche quegli stregoni; anzi, continuano, secondo l’insegnamento degli Dei, a lanciare maledizioni contro di esso. Però, questo non toglie che sia comodo considerarlo anche in senso buono, come il bolide della profezia; magari non soffermandoci troppo il pensiero, ma solo lasciando nel cervello uno spiraglio aperto a quella possibilità, anche perché di lì ogni altra preoccupazione se ne esce.

Il guaio è che – l’abbiamo visto già diverse volte – dopo un po’ che nel cielo del nostro villaggio è apparsa una qualche diavoleria che proviene di là del Kilimangiaro come vuole la profezia, ecco che ne appare un’altra dalla parte opposta, ancora peggio, e fila via, e là oltre la cresta del Kilimangiaro va a sparire; segno infausto, dunque, e le speranze dell’approssimarsi della Grande Ora si deludono. Così, con alterni sentimenti, scrutiamo il cielo sempre più armato e micidiale, come un tempo leggevamo il destino nel sereno corso degli astri o di vaganti comete.

Nella nostra tribù non si discute ormai d’altro che di razzi teleguidati, e intanto continuiamo ad andare armati di rozze asce e lance e cerbottane. Perché preoccuparcene? Siamo l’ultimo villaggio al margine della giungla. Non cambierà nulla qui da noi, prima dello scoccare della Grande Ora dei profeti.

Eppure anche qui, non è più il tempo in cui a comprare noci di cocco arrivava ogni tanto un mercante bianco in piroga, e alle volte ci truffava sul prezzo, alle volte eravamo noi a fargliela in barba; adesso c’è la “Coccobello Corporation” che compra tutto il raccolto in blocco e impone i prezzi, e noi siamo obbligati a raccogliere noci a ritmi accelerati, con squadre che si alternano giorno e notte, per raggiungere la produzione prevista dal contratto.

Ciononostante c’è tra noi chi dice che i tempi promessi dalla Grande Profezia sono più maturi che mai, e non per via dei presagi celesti ma perché i miracoli annunciati dagli Dei ormai sono altrettanti problemi tecnici che solo noi potremmo risolvere, e non la “Coccobello Corporation”. E già: dicono niente! Intanto, valla a toccare la “Coccobello”! I suoi agenti, nei loro uffici dei docks sul Gran Fiume, con le gambe sul tavolo e il bicchiere di whisky in mano, pare abbiano solo paura che questo missile nuovo sia più grosso di quell’altro, insomma non parlano d’altro neanche loro. C’è coincidenza, in questo, tra ciò che dicono loro e ciò che dicono gli stregoni: è nella potenza dei bolidi celesti che risiede tutto il nostro destino!

Anch’io, seduto sulla soglia della capanna, guardo stelle e razzi apparire e sparire, penso alle esplosioni che avvelenano i pesci nel mare, e agli inchini che si scambiano, tra un’esplosione e l’altra, quelli che decidono le esplosioni. Vorrei capire di più; certo i voleri degli Dei si manifestano in questi segni, e v’è racchiusa anche la rovina o la fortuna della nostra tribù … Però un’idea ho in testa che nessuno mi leva: che una tribù che s’affida solo al volere dei bolidi celesti, per bene che le vada, continuerà sempre a vendere le sue noci di cocco sottocosto.







Racconto tratto da Prima che tu dica «Pronto», Palomar e Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1993.




Italo Calvino
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