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Sagarana SALADINO VA IN CITTà


Gassid Babilonia


SALADINO VA IN CITTà



Non sono arrivato con un gommone come rifugiato, ma con un aereo, come studente, e questo fa differenza. In quanto studente ho avuto un altro approccio con la realtà sociale italiana, ove i miei rapporti sono instaurati con individui colti e mentalmente aperti, che mi hanno accolto benevolmente. Ciononostante rimangono certi contrasti e incomprensioni di tipo socio-culturale, a causa della mentalità, anche se aperta, ma non cosmopolita. Ho avuto anche modo di incontrare e notare la realtà della presenza straniera in Italia su diversi piani sociali. La mia analisi sarà antropologica e socio-culturale basata sulla mia esperienza vissuta, e sulla mia osservazione personale.

Prima di esporre la mia esperienza vorrei sottolineare due cose importanti: quel che dirò, critiche e quant’altro, non riguarda soltanto la società occidentale, ma tutte le società. Ma poiché la cultura Occidentale è ambita da tutti, ed è quindi la cultura ospitante d’eccellenza, se non l’unica, allora si notano in essa, più di tutte, questi aspetti. L’altra cosa è che la mia analisi e la mia critica non sono da generalizzare su tutti, ma c’è l’eccezione di persone eccezionali che ho conosciuto durante il mio percorso.

Vorrei iniziare, invitando i lettori a rileggere una novella del Decameron di Boccaccio assai importante per il nostro discorso. È la penultima novella della decima giornata. I protagonisti sono il Saladino, l’emblema del mondo islamico medievale, e Misser Torello, un personaggio della Pavia italiana medievale. Il racconto narra il viaggio del Saladino in Occidente, in vesti di mercante, per esplorare la situazione del nemico che prepara la terza crociata contro il mondo musulmano. Incontra casualmente Misser Torello, il quale si ingegna in tutti i modi per accogliere lo straniero a casa sua, e infine lo ospita con magnifica generosità. Dopo di che scoppia la terza crociata, Misser Torello cade nella prigionia del Saladino, e dopo vari episodi, il Saladino lo riconosce e ricambia l’ospitalità con altrettanta magnificenza. (1)

In realtà l’incontro casuale e l’insistenza di Misser Torello per accogliere lo straniero segnano l’inizio di un rapporto interculturale tra i due personaggi. Alla luce di questa novella vorrei approfondire tre aspetti notevoli nel racconto. Il primo che salta agli occhi è l’accoglieza e l’ospitalità generose di Misser Torello al Saladino, che da questi viene, in un secondo momento, contraccambiata. Il secondo aspetto, che consegue dalla generosa accoglienza è la conoscenza approfondita reciproca da parte dei due personaggi. Tale conoscenza, non solo personale ma anche culturale, porta alla riuscita amicizia e a bruciare tutti i vincoli di inimicizia tra le due culture, e quindi al terzo aspetto: la convivenza pacifica. Misser Torello, trovandosi tanto bene nel regno del Saladino, arriva al punto di scordare la casa e la moglie, sino ad un certo momento.

Ciò che mi stupisce, ed è proprio uno degli elementi che ha fatto di Giovanni Boccaccio un personaggio meraviglioso, come è riuscita una persona, sette secoli or sono, a rendersi conto dell’importanza di tali aspetti, e non solo, ma a trattarli nei suoi scritti, in una società che del dialogo conosceva solo i colpi di spada? E ciò che mi stupisce ancora di più è: com’è che l’uomo non riesce ancora, e siamo nel terzo millennio, ad accettare il diverso e convivere con lui?

Vediamo ora che valore hanno oggi nella società occidentale questi tre aspetti che abbiamo sottolineato: L’ospitalità, la conoscenza approfondita e la convivenza pacifica.

Il problema di base degli occidentali, a mio avviso, è l’egocentrismo, il sentirsi avere una cultura illuminata e superiore, fondatrice della libertà e della democrazia, ed è quindi la cultura che deve essere esportata e generalizzata su tutti i popoli, considerandola il miglior modo di vita. Norberto Bobbio, filosofo, storico e politologo italiano, dice che “ogni popolo tende a considerare sé stesso come civile e a respingere gli altri popoli come barbari. La contrapposizione tra noi, civili, e gli altri (i non europei in genere) barbari, attraversa tutta la storia dell’Occidente” (2). Quest’aspetto si può scontrare nei tentativi dell’Occidente di esportare la propria cultura per acculturare gli altri popoli, soprattutto durante il colonialismo, e a tutto oggi. Tale tendenza la si incontra stando qui in Italia, come esempio dell’Occidente.

Le persone che ti stanno intorno, per quanto siano colti, aperti e affabili, ti rispettano e ti stimano, ma cercano in te l’aspetto italiano, quell’aspetto vicino ai loro ideali e principi, ignorando l’altro aspetto che ti differisce da loro, non sapendo quasi nulla della tua cultura. Tant’è vero che, per fare un esempio banale, tanti italiani, dopo mille e quattrocento anni di Islam, e con i migliaia di musulmani che incontri in Italia ovunque ti volti, mi chiedono ancora: perché non bevi il vino? O perché non mangi il maiale?

Quell’aspetto diverso appena esce fuori non viene accolto come differenza di idee che vanno rispettate, ma come diversità ostile e malaccolta.

La mala accoglienza del diverso e della diversità, e la xenofobia influenzano in modo negativo sull’immigrato e sui suoi comportamenti. L’accoglienza nella società italiana è accompagnata dall’acculturazione, ma il problema è che l’acculturazione è intesa dagli italiani come interculturalità, quel processo che dovrebbe essere “interazione, integrazione e scambio delle culture di popolazioni o gruppi sociali diversi” diventa “costringere chi proviene da un’altra cultura ad assimilare la cultura italiana”, in altre parole negare la propria cultura. Questa percezione sbagliata dell’interculturalità costringe l’immigrato ad abbandonare e negare le sue tradizioni culturali, per sentirsi meno inferiore e per essere integrato nella società, affievolendo progressivamente il riferimento ai propri modelli culturali. Tale assimilazione forzata dai sistemi sociali porta l’immigrato, col passare del tempo, a stare davanti a un bivio: o espellere la propria cultura e indossare quella ospitante, oppure, ed e' un fenomeno abbastanza diffuso, aggrapparsi alle proprie tradizioni, temendo la perdita della sua identità, e chiudersi in un cerchio con i suoi simili creando un apartheid etnico o culturale. Infatti, l’apartheid lo si incontra ovunque in Italia: raggruppamenti etnici chiusi su se stessi, o persino quartieri formati da una, o variate, etnie. Questo ha portato l’Italia a diventare un paese multiculturale, ma non interculturale.

La cosa ridicola è che lo stesso immigrato, quando rinuncia alla sua tradizione culturale, diviene simile alla società ospitante, e comincia a disprezzare la propria cultura e le culture altrui, e diventa ancora più estremista degli stessi italiani. Nega il diritto agli altri di manifestare le loro tradizioni, e se fosse dato a lui avrebbe rimandato a casa tutti, anche i suoi compaesani.

Ora che abbiamo visto com’è il concetto di accoglienza ci risulta facile immaginare la conseguenza: la non conoscenza approfondita. È un istinto umano aver paura e timore dal diverso, chiunque sia, straniero, disabile, menomato ecc. Una volta che ci avviciniamo a quella persona e la conosciamo in modo approfonditotutto cambia. Ma la conoscenza di una persona o di una cultura, ostacolata dalla mal accoglienza o filtrata dai pregiudizi, diventa superficiale e basata su stereotipi, e crea, quindi, la xenofobia. Se non si osa scoprire l’altro, allora l’altro rimane un enigma, un mistero, un diverso che evoca paura, e da cui conviene tenersi lontani. Tale fattore impedisce di conseguenza la creazione di rapporti amichevoli, e infine l’impossibilità della convivenza.

 

Per riassumere i due diversi processi possiamo fare queste schematizzazioni contrastanti:

Accoglienza Conoscenza Approfondita Convivenza Pacifica

Mala accoglienza Conoscenza Superficiale (basata su pregiudizi e stereotipi) Impossibilità della convivenza.

Qualcuno forse obietta su questa logica consequenziale e dice: se sopra si afferma che seppure si è ben accolti, ciononostante quando esce fuori l’aspetto diverso gli italiani accolgono male la diversità e si distaccano, allora l’accoglienza cos’è? Ci sono due tipi di accoglienza?

In realtà l’accoglienza non è dare il benvenuto, o sorridere a un diverso, oppure offrire una tazza di caffè, ma “è l’atteggiamento più idoneo nei confronti di una cultura altra” (3) è, quindi, accettare l’altro, comprenderlo e stimarlo per quello che è. Per questo è importante parlare di “decentramento” che “e' l'esperienza di guardare sé stessi, la propria cultura, con lo sguardo di un'altra cultura” (4). Questa esperienza io l’ho vissuta in prima persona vivendo nella cultura Occidentale. Mi sento possedere la mia mente, e non averla immersa totalmente negli schemi tradizionali della mia cultura, mi sento padrone della mia cultura e non schiavo. Il decentramento è anche, aggiungerei io, guardare l’altra cultura, non dal punto di vista della propria, ma con lo sguardo dell’altra  cultura stessa. È uno dei grandi problemi guardare le altre culture con il filtro della propria, il che vuol dire considerare sbagliate le tradizione diverse. Per poter evitare tale fenomeno bisogna diffondere anche la “decostruzione”, quell’ “atteggiamento critico nei confronti delle forme totalizzanti e assolutizzanti di ogni tradizione culturale, […] Nella decostruzione c'e' sempre la disponibilità a compiere l'esperienza di decentramento di fuoriuscire dalle proprie certezze”(5). Bisogna dunque uscire dalle proprie certezza per riuscire a dare ragione agli altri, ma finché siamo assolutamente convinti d’avere le certezze assolute, gli altri saranno sempre nel torto, e quindi sempre inferiori a noi.

I pregiudizi e gli stereotipi sono un prodotto della politica, dei mass media e della stampa, che hanno i loro vantaggi nel divulgare ciò, e rendono alla fine l’uomo stesso un prodotto della loro mentalità. Diffondere queste malattie non impedisce solo la conoscenza dell'altro, ma anche la conoscenza di sé stessi, giacché l'altro funge da specchio per noi, e in cui conosciamo e riconosciamo noi stessi e scopriamo le nostre parti belle ma anche le nostre bruttezze e i nostri difetti.

Creare l’altro, lo straniero, il diverso, il nemico, fa chiudere l'individuo nella sua corazza, lo rende impermeabile agli altri modelli di vita, e questo è assai grave, perché una delle cose più importanti al mondo che fa crescere l'individuo è il confronto. Senza confronto, e con il problema del pensiero unico, il mondo rimane in bianco e nero. Se per ognuno c’è una sola cultura, e cioè la sua, il mondo viene ridotto a un solo colore monotono e noioso, e ciò vuol dire privarsi della bellezza di ammirare i colori delle altre culture, e prenderne quello che più piace.

Vorrei dire, infine, che la cultura, l’essere colto, è l’unica speranza salvifica. La parola “Cultura” viene dal latino “colere”e significa coltivare il terreno. Infatti, Cultura animi, vuol dire “coltivare lo spirito”, e viene a disegnare il processo formativo personale dell’individuo. Se “uomo di cultura” vuol dire uomo di saperi, uomo con un patrimonio di conoscenze, allora che uomo sarebbe se fosse “uomo di culture” e non di una sola?

Dobbiamo, quindi, vedere le altre culture come terreni fertili da coltivare, dobbiamo raccogliere da questi terreni diversi cibi per l’anima e la mente, per renderle più sane, più umane, perfette e sublimi.







Questo articolo è stato pubblicato inizialmente sulla rivista cartacea “I Martedì”, numero 3 – Anno 37.

NOTE
1- G. Boccaccio, Decameron, nona novella della decima giornata.
2- A. Nanni – S. Abbruciati, Per capire l’interculturalità, Parole – chiave, Editrice Missionaria Italiana, 2001, p. 17.
3- ivi p. 7
4- ivi p. 27.
5- Ivi p. 28.




Gassid Babilonia

Gassid Babilonia (Kassad Hoseini), nato a Babilonia, dove passa anche la sua infanzia e gioventù, in campagna, nella natura viva, lontano dai massi di cemento e pietre morti dei centri città! Dopo aver conseguito la laurea a Baghdad, vive ora a Bologna, continuando i suoi studio e le sue attività culturali e letterarie.





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