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Sagarana IL CONCORSO


Brano del saggio Le origini culturali del Terzo Reich


George L. Mosse


 

(…) Nel 1900, il ricco industriale Alfred Krupp patrocinò un concorso letterario sul tema: Che cosa possiamo ricavare dai principi del darwinismo, per applicarlo agli sviluppi politici interni e alle leggi dello stato? La maggior parte dei saggisti che vi parteciparono sostennero essere della massima importanza il criterio biologico, cornice entro la quale si sarebbero dovuti creare, onde assicurate la continuità dello stato, quadri di elementi razzialmente adatti. Il primo premio toccò a Wilhelm Schall­meyer, il quale vedeva i sistemi legali, il progresso tecnico, l'etica e perfino i concetti di bene e male in termini di lotta per la sopravvivenza, considerata una realtà di fatto cui bisognava armonizzare vita e morale. Tutto ciò che contribuisse alla salvaguardia del debole non avrebbe fatto che accelerare la degenerazione della razza bianca, fino a ridurla al livello degli aborigeni australiani, e ciò avrebbe comportato degradazioni mentali oltre che fisiche, dal momento che l'una e l'altra sfera erano razzial­mente determinate. Schallmeyer, medico e studioso, aveva per braccio destro il collega dottor A. Plötz, assertore della superiorità della razza caucasica eccezion fatta per gli ebrei. A suo giudizio, era la razza ariana a rappresentate l'apice dello sviluppo razziale; approfittando di una guer­ra, argomentava Plötz, sarebbe stato opportuno inviare i membri infe­riori della razza al fronte, per farne carne da cannone. Come ulteriore misura atta ad assicurare la validità fisica, PIötz suggeriva che un gruppo di medici giudicasse della idoneità alla sopravvivenza dei neonati. Un metodo di igiene razziale, questo, cui ineriva una spietatezza frutto dell'esaltazione della forza, inevitabile del resto finché si sostenesse che la sopravvivenza dell'uomo dipendeva dal rafforzamento di un'élite e dallo sterminio dei deboli: atteggiamento pernicioso, soprattutto perché le nazioni erano considerate razzialmente esclusive e giudicate col metro della superiorità o inferiorità biologica.
Un altro dei partecipanti al concorso, Ludwig Woltmann, se non riuscì a ottenere un premio, in compenso si garanti la possibilità di eser­citare una ben più duratura influenza. Woltmann maneggiava una spada dal doppio taglio, razziale e classica insieme; passato dalla destra marxista al darwinismo, si provò a sposare Marx, Darwin e Kant in un sistema ideologico i cui pilastri erano il conflitto di massa, l'esistenza di un avver­sario razziale e l'ispirazione metafisica. Nel complesso, il suo contributo consistette nella trasformazione della dialettica della lotta di classe in ideologia del conflitto razziale. Ma a indurlo ad attribuire importanza all'azione delle masse era pur sempre la sua fedeltà a un marxismo imba­stardito, tant'è che tutti i suoi scritti e teorie razziali erano caratterizzati da un penchant antiborghese.
Stando a Woltmann, le leggi biologiche di natura, scoperte da Dar­win, comandavano l'evoluzione dell'uomo al pari di quella di piante e animali; anzi, le leggi in questione agivano nel senso di equiparare svi­luppo razziale e progresso sociale. Servendosi di questa concezione come d'un criterio «scientifico», Woltmann approdava all'affermazione che i tedeschi erano all'avanguardia della specie Homo sapiens. Ma le prove addotte avevano carattere più estetico che scientifico.
Infatti, Woltmann sosteneva che criteri basilari per giudicare della razza dovevano essere ritenuti le proporzioni del corpo umano, i tratti del volto e altre caratteristiche fisiche. In una parola, le qualità estetiche, subordinate a presupposti razziali, venivano invocate a sostegno di teo­rie che si proclamavano basate sulle scienze naturali. Era quindi l'ideale nordico, ariano, di bellezza, a convalidare le pretese di Woltmann alla su­premazia dei tedeschi. Il tronco e la testa ben proporzionati dell'uomo nordico, l'interiore spiritualità che, Woltmann affermava, gli splendeva in volto conferendogli il suo aspetto caratteristico, tali le prove delle qua­lità della razza. Scendendo ai particolari, Woltmann giunse ad affermare che il rapporto tra gambe e natiche dell'uomo nordico corrispondeva alle «assolute proporzioni della bellezza architettonica" Mediante la sele­zione, la natura aveva, con l'uomo nordico, prodotto una struttura armo­nica che non soltanto era il risultato di un'interiore spiritualità e di una esteriore grazia, ma rifletteva anche le leggi dell'assoluto estetico. L'ideale estetico ariano e una pseudoscienza costituivano così, in ultima analisi, i pilastri della concezione di Woltmann e della sua opera che tanta influenza ebbe. La commistione, stando a Woltmann, avrebbe avuto per risul­tato la distruzione delle proporzioni fisiche e dell'armonia della razza, in una con la degenerazione delle facoltà spirituali. La bellezza della forma germanica in questo caso sarebbe stata sommersa da quello che Lapouge aveva definito il caos di forme e colori della Europa Centrale.
Ma, per Woltmann, al concetto di razza ineriva anche un altro ele­mento, che aveva larga presa sul suo pubblico. L'energia razziale interiore doveva trovare un compito proporzionato: una razza, qualora si trattasse di una razza dominatrice, doveva materialmente conquistare i paesi che le occorrevano per il proprio sviluppo e, a sostegno del suo asserto, Woltmann si rifaceva all'esempio dei germani sopravvissuti all'era gla­ciale e dei loro discendenti che, millenni dopo, avevano saputo resistere alle durezze delle grandi migrazioni medioevali. Asserzioni già fatte da Guido von List: ma Woltmann si spinse più in là, asserendo che la «razza germanica è stata prescelta a dominare la terra». Partendo dalla bellezza e dalle perfette proporzioni, eccolo dunque approdare al pro­gramma di dominio del mondo: il pangermanesimo era un'estensione logica, fatale, dei suoi presupposti razziali.
Il marxismo, di cui era stato adepto in gioventù, nei suoi scritti ac­quisiva precise coloriture razziali: l'internazionalismo della lotta di classe marxista si tramutava in universale lotta di razze, le differenze di classe venivano orpellate di connotazioni razziali, i criteri economici assumevano un contenuto biologico. Quanto del marxismo restava — l'interesse per i lavoratori tedeschi — veniva obnubilato da motivazioni razziali e germaniche. La proposta di Woltmann, che il partito socialdemocratico entrasse a far parte del governo, ad esempio, derivava principalmente dal desiderio di porne in liquidazione la dottrina rivoluzionaria e l'inter­nazionalismo, imponendogli il giogo della disciplina nazionale. L'atteg­giamento di Woltmann nei confronti del moderno industrialismo può dirsi nel complesso negativo: a suo giudizio, il passaggio da una società agricola a una industriale aveva accelerato il declino della razza. Le grandi città erano negatrici della natura, madre delle forme armoniose proprie del germanesimo, ed erano diaboliche e inorganiche, distruttive delle virtú della razza. Si trattava di uno sviluppo in armonia con le teorie di Darwin, e che tuttavia sempre in obbedienza a queste, prepa­rava la strada all'emergere di una forza ancor più vitale: i lavoratori tedeschi razzialmente adatti.
Woltmann, di conseguenza, rifiutava le rigide strutture di classe, mo­derne o medioevali che fossero, sostenute invece da altri teorici della razza e del Volk, e come se non bastasse affermava che costoro si sbagliavano se ritenevano immutabile l'attuale struttura sociale: non era forse la vita, secondo le leggi di natura, un'incessante lotta per la soprav­vivenza, la cui conclusione era imprevedibile? I conflitti di classe ne costituivano la manifestazione più recente, e i lavoratori tedeschi che lottavano per la propria libertà e indipendenza, lo facevano in piena con­formità a tali principi, esattamente come i loro padroni, i borghesi, un tempo avevano combattuto l'aristocrazia. Ma neppure qui le simpatie di Woltmann andavano alle teorie socialiste assertrici dell'eliminazione delle differenze di classe e di una maggiore uguaglianza; al contrario, Woltmann propugnava quella che affermava essere la vera ambizione del proletariato tedesco, vale a dire la creazione di una nazione di elementi razzialmente puri. Una razza sana non poteva erigersi sul fondamento di una struttura di classe dominata dagli elementi economicamente più forti, ma solo sulle capacità ereditate tramite la famiglia, il Volk e il sangue.
Non era l'uguaglianza, lo scopo di Woltmann, il quale riteneva che la borghesia, pur lanciando l'appello alla libertà, uguaglianza e fratellanza, avesse conservato i privilegi della ricchezza, in pari tempo però ignoran­do le differenze naturali tra il forte e il debole, tra l'intelligente e lo stupido, in una parola il «naturale» divario tra padrone e servo. Wolt­mann desiderava che fossero eliminati tutti gli ostacoli lungo il cammino dello sviluppo razziale, in quanto limitanti la naturale superiorità dei razzialmente adatti. Quale fosse il suo ambiente originario, ogni tedesco che dimostrasse di possedere la necessaria forza razziale, doveva automa­ticamente essere posto all'avanguardia del Volk; all'inizio, ammetteva Woltmann, il capitalismo si era dimostrato un ottimo sistema di sele­zione sociale, poi, però, era degenerato, trasformandosi in dominio economico esercitato da una ristretta casta, e in questo era contenuto il seme della distruzione della razza. Era dunque imperativo che nuovi metri di misura, espressione dei giusti criteri razziali, servissero da guida e da trampolino per quei talenti individuali, per quegli uomini di genio cui sempre si deve affidare la guida della società. Il buon ceppo razziale, non già l'abilità economica, era essenziale alla continuità e alla vitalità della razza germanica.
L'adozione dell'azione rivoluzionaria da parte di Woltmann era in piena armonia con 1a sua analisi della struttura sociale come entità raz­zialmente determinata. Ancora una volta, a promuovere gli eventi deci­sivi non erano gli incentivi economici, ma piuttosto il fatto che la sovra­struttura sociale e intellettuale più non corrispondeva all'organica natura del Volk, della razza. La dinamica dell'antropologia politica woltman­niana trovava applicazione, non solo all'ambito della razza, bensì anche alla sfera dei rapporti di questa con altre razze inferiori: all'interno, vio­lenza rivoluzionaria; all'esterno, espansionismo aggressivo, imperialistico.
Se questo concetto di razza aveva giustificazioni scientifiche ed este­tiche, non mancavano neppure i riferimenti storici. Al pari di altri autori nazional-patriottici, Woltmann proclamava che tutti i grandi eventi della storia dell'Occidente si dovevano a uomini di razza nordica: germanici erano i grandi papi (a questo Woltmann teneva particolarmente, pur detestando quella che definiva la cospirazione cattolica internazionale), germanici i capi della rivoluzione francese. La sua simpatia per la rivolu­zione in questione non era di solito condivisa dagli altri teorici del Volk, ma Woltmann difendeva le sue idee in proposito per mezzo di argomenti razziali, sostenendo che l'ottantanove aveva segnato in Francia l'affer­mazione di quegli elementi nordici che sentivano le proprie capacità strangolate dalle restrizioni imposte dall'ancien régime.
In Die Germanen und die Renaissance in Italien (I germani e il Ri­nascimento in Italia, 1905), Woltmann esponeva una storia della razza germanica fondata quasi esclusivamente su elementi visuali. I criteri esteriori di bellezza nordica avevano una parte di primo piano, e il libro era corredato da di cento riproduzioni di ritratti. Tema centrale: gli esponenti del Rinascimento italiano erano discendenti, non dei ro­mani, bensì di goti e longobardi. Ad esempio, valendosi dei ritratti di Dante e di Michelangelo, Woltmann fondava questa sua asserzione sulle caratteristiche fisiognomiche, le proporzioni fisiche, il colore o la grana della pelle. Ancora una volta, ci ritroviamo, con palmare evidenza, di fronte all'irrazionale distorsione dei dati scientifici, atteggiamento tipico di tutte le combinazioni di ideologie razziali e neoromantiche.
Il fatto che il nazionalsocialismo non abbia mai accettato completamente le idee di Woltmann, si spiega in vari modi: in primo luogo, nei suoi scritti e nelle sue idee mancava la componente dell'antisemitismo, ed è interessante notare come tale carenza fosse dovuta all'opinione di Woltmann, che gli aspetti positivi del progresso razziale si sarebbero manifestati anche in assenza di un avversario interno. In altre parole, la razza germanica secondo Woltmann recava in sé il seme di eventuali successi o fallimenti. Un altro fattore che ostacolò l'accettazione incondizionata, delle sue idee da parte dei nazisti, fu la loro rigida derivazione dal darwinismo, mentre erano molti i teorici nazional-patriottici e nazisti che rifiutavano le idee dello scienziato britannico, da essi definite la "malattia inglese". Perfino durante il Terzo Reich, allorché fu intrapresa la pubblicazione dell'opera omnia woltmanniana, l'editore nazionalsocialista si trovò nella necessità di avvertire espressamente che la selezione naturale non produceva di per sé nuove qualità ereditarie.
Gli articoli pubblicati sui giornali nazionalsocialisti a commento dell'opera di Woltmann, rivelano chiaramente l'atteggiamento dei nazisti nei confronti del darwinismo: vi si legge che quella di evoluzione è un'idea da respingere. essendo suo postulato una fase iniziale, primitiva ed elementare, per tutte le razze senza eccezione; inoltre, il concetto di evoluzione è in potenza negatore di ogni inerente virtù razziale o di un'implicita superiorità. I nazisti asserivano infatti che, quanto più solide erano le radici razziali, tanto minore effetto aveva su di esse la selezione naturale. Nazionalsocialismo e movimento nazional-patriottico proclamavano che la razza germanica era la perfezione incarnata, che immutata ne era la grandezza: andava quindi respinta l'idea di evoluzione e progresso razziali. “La razza, ora come mille anni fa”, diceva la didascalia sotto l'immagine di un busto romano accostato al volto di un moderno tedesco, apparsa su un foglio nazionalsocialista. In tale contesto, è chiaro che il darvinismo di Woltmann non poteva che essere un corpo estraneo, anche se la sua idea di lotta, il suo concetto di rivoluzione interna e di espan­sione esterna vennero integrate, in una con i suoi criteri estetici, nelle successive dottrine razziali e nazional-patriottiche. (…)




Brano tratto dal saggio Le origini culturali del Terzo Reich, Il Saggiatore Tascabili, Milano, 2008. Traduzione di Francesco Saba-Sardi.




George L. Mosse
George L. Mosse (1918 – 1999), storico tedesco di origini ebraiche, si è trasferito negli Stati Uniti in seguito alle leggi razziali. Per molti anni è stato docente all’Università di Wisconsin e all’Università ebraica di Gerusalemme. È autore di studi innovativi sulla storia del Novecento e sulle origini culturali e psicologiche del nazionalsocialismo, come Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti. La nazionalizzazione delle masse. Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto.




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