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Sagarana LA VOLONTà DI ANDARE


Egeria


LA VOLONTà DI ANDARE



Partendo da Tarso sono arrivata a una città che si trova sul mare, ancora in Cilicia, chiamata Pompeiopoli. Entrata poi nel territorio dell’Isauria, feci tappa in una città che è chiamata Corico, e il terzo giorno sono arrivata in una città che si chiama Seleucia di Isauria. Giunta lì, sono andata dal vescovo, veramente santo e antico monaco; vidi anche in quella città una chiesa molto bella. E poiché da lì a Santa Tecla, luogo che si trova oltre la città, su un altopiano in collina, c’erano circa millecinquecento passi, preferii dirigermi là, per fare lì la tappa che avevo intenzione di fare. In quel luogo, nei pressi della santa chiesa, non c’era niente altro se non monasteri innumerevoli di uomini e di donne. E vi trovai una mia amica carissima, alla quale in Oriente tutti rendevano testimonianza per la sua vita, la santa diaconessa Marthana, che avevo conosciuta a Gerusalemme, dove si era recata per pregare; essa dirigeva dei monasteri di apotattiti e di vergini. Quando mi vide, quale poté essere la gioia sua e mia, sono forse in grado di descriverlo?

Per tornare alla mia descrizione, ci sono moltissimi monasteri sulla collina e, al centro, un muro molto grande che circonda la chiesa, nella quale si trova il santuario della martire. Ed è anch’esso molto bello. Il muro è destinato a proteggere la chiesa a causa degli Isauri, dato che sono molto malvagi e spesso si danno al brigantaggio, perché non tentino di fare qualcosa contro il monastero, che è lì per svolgere il suo servizio. Giunta in quel luogo in nome del Signore, fatta una preghiera presso il santuario, letti anche tutti gli Atti di santa Tecla, resi infinite grazie a Cristo Dio nostro, che si degnò di esaudire in tutto i desideri a me indegna e che non me lo meritavo.

Così dunque, passati lì due giorni, visti anche i santi monaci o apotattiti, sia uomini sia donne, che si trovavano lì, fatta una preghiera e la comunione, tornai a Tarso a riprendere il mio viaggio. Da lì, fatta una sosta di tre giorni, in nome di Dio partii per la mia strada. Nello stesso giorno giunsi alla tappa che si chiama Mansocrenas, che è sotto il monte Tauro e mi ci fermai.

Da lì l’indomani, salendo sul monte Tauro e percorrendo un itinerario già noto attraverso le singole province che avevo attraversato all’andata, cioè Cappadocia, Galazia e Bitinia, giunsi a Calcedonia dove, a causa del famosissimo santuario di santa Eufemia, a me già noto da tempo e che si trova lì, mi fermai. Poi, il giorno seguente, passando il mare, giunsi a Costantinopoli, rendendo grazie a Cristo, nostro Dio, perché a me indegna e immeritevole si era degnato di accordare una così grande grazia: si era degnato di concedere non solo la volontà di andare, ma anche la possibilità di viaggiare per i luoghi che desideravo, e di ritornare di nuovo a Costantinopoli. Quando vi arrivai, in tutte le chiese, in tutti i santuari dedicati agli Apostoli ed anche in tutti i santuari dedicati ai martiri, che lì sono numerosissimi, non cessavo di rendere grazie a Gesù, Dio nostro, che si era degnato di accordarmi la sua misericordia fino a questo punto.

Da questo luogo, o signore, mia luce, mentre scrivevo queste cose per spedirle alla vostra dilezione,  già avevo il proposito, in nome di Cristo nostro Dio, di andare in Asia, ossia ad Efeso, per vedere il santuario del santo e per pregarvi. Se dopo questa impresa sarò ancora viva, se potrò conoscere altri luoghi, o io stessa di persona, nel caso che  Dio si degni di concedermelo, lo racconterò al Vostro affetto, oppure certamente, se avrò in animo un altro progetto, ve ne informerò per scritto.

Voi, mie signore, mia luce, degnatevi di ricordarvi di me, che io sia ancora nel mio corpo, oppure ne sia ormai fuori.







A cura di Milva Cappellini.




Egeria

È difficile dire con certezza chi si nasconda dietro il nome di Egeria, autrice del primo diario di viaggio in Terra Santa, una lettera in latino indirizzata alle “sorelle” lontane e conosciuta come Itinerarium Egeriae o Peregrinatio Aetheriae. Nell’Itineraium, Egeria racconta – con la lingua vivace di chi ha premura di fissare per scritto esperienze e impressioni recenti – quattro viaggi con al centro Gerusalemme (dal Sinai a Gerusalemme stessa, e da qui al monte Nebo, poi a Carneas e Tesbe, luoghi di sepoltura di Giobbe e del profeta Elia, infine in Mesopotamia e fino a Costantinopoli) e descrive con ricchezza di dettagli la liturgia gerosolimitana. La dimensione ascetica è poco marcata, mentre è intensa quella ecclesiologica, che sottolinea il carattere libero e volontario della devozione e della ritualità cristiana. L’opera – mutila della parte iniziale e di quella finale e, in più, lacunosa – venne scoperta nel 1884 dal giurista Gian Francesco Gamurrini in una biblioteca monastica di Arezzo, nel Codex Aretinus, un codice pergamenaceo dell’XI secolo proveniente dall’abbazia di Montecassino; Pietro Diacono lo aveva usato come fonte per un trattato sui luoghi santi. Gamurrini, pubblicando il testo, ipotizzò che Egeria fosse Silvia di Aquitania, una parente del prefetto Rufino citata nella Storia Lausiaca come accompagnatrice nel viaggio da Gerusalemme all’Egitto di Palladio e Melania. Lo storico Wolfgang Khöler aveva invece identificato l’autrice in Galla Placidia, figlia di Teodosio il Grande. Nei primissimi anni del Novecento, Marius Ferotin propone – appoggiandosi alla testimonianza del monaco spagnolo Valerio del Bierzo, che aveva tessuto le lodi di una monaca pellegrina in Oriente - il nome di Etheria, proveniente dalla Galizia, e ne data il pellegrinaggio agli anni tra il 381 e il 383. Anche la condizione di Egeria è misteriosa: forse, come vuole Valerio, è una monaca, forse una ricca dama appartenente a un gruppo di donne devote, forse una vedova di alta stirpe; forse, infine, abbraccia lo stato monacale non prima, bensì dopo il pellegrinaggio. Per certo è una donna colta, coraggiosa e indipendente, che poco si cura delle perplessità dei teologi – primo fra tutti Gregorio di Nissa – circa l’opportunità dei pellegrinaggi in particolare per le donne, così vulnerabili alle “sconcezze” del viaggio. Per questo, nel concludere il proprio Itinenarium annuncia un nuovo progetto di viaggio, allo scopo di “conoscere altri luoghi”.





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