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Sagarana ISTRUZIONI PRIMA DELL’USO


Stefania Paron


ISTRUZIONI PRIMA DELL’USO



Alla fine dell’ultimo giorno lui mi chiese:
“Che cosa vuoi?”

Come se per davvero potessi desiderare ancora qualcosa da lui… e poi con che cuore me lo chiedeva, dato che ormai già a lui avevo dato tutto il mio a sostituire il suo disperso … e così come succedeva  spesso la  mia fatica di amarlo scivolava nel silenzio del tutto  inavvertita.

Ma se non fosse stato per quella sua  irriverente domanda io non avrei potuto rispondermi e finalmente scegliere. Che cosa mai potevo volere ancora? forse una sola assoluta carezza in cui affogare tutte le mie incertezze?

Mi chiedo ancora come lui abbia  potuto, dopo aver   incrociato   il mio primo sguardo  fiducioso all’amore e a lui indirizzato, decidere di  serrare in  un suo  pugno il mio desiderio e pensare  di farlo suo per sempre.

Forse si poteva tentare di tener stretto al proprio il cuore di un altro col filo spinato del possesso, ma che si potesse chiudere tutta l’aria che respiravo dentro una sacchetto di plastica, quello che in un giorno sfortunato mi aveva avvolto attorno alla testa, era indubbio che fosse una assurdità per uno che diceva di amarmi.

L’aria fuori da quella sofferenza stava ovunque e a volte rinforzava nel vento che asciugava i panni stesi al sole, o che sollevava i gabbiani nel loro volo,  o gonfiava e  sbandierava bandiere  nei giorni di festa o semplicemente rinfrescava l’affannosa fatica quotidiana; e io figlia del mio respiro dovevo conservare sempre  la libertà di decidere se volermi  imprigionare o meno in quell’amore per lui.

Ma la libertà di decidere se continuare ad  amarlo o no  con lui l’avevo persa già  da tanto tempo,  da quando mi aveva chiuso a chiave in casa   dicendo che era per il mio bene e da quando con gli occhi umidi aveva alzato la mano per imprimermi meglio la forza del suo amore disperato che mi pretendeva tutta per sé.

Il mio amore invece sfiduciato non lo era ancora del tutto e di certo non sentivo la necessità di marchiarlo a fuoco sulla sua carne come del resto lui faceva a me, picchiandomi ad ogni suo dubbio.

Ma cosa era  mai il mio  corpo per lui…lui per me era invece l’uomo  che  mi respirava  piano  accanto  mentre tentavo di dormire e pacificare il cuore, e ancora il suo corpo era  una calda tana, un rassicurante rifugio  dove albergava la mia estrema  speranza di sentirmi, nonostante tutto, ancora amata  e dove forse mi potevo concedere, risolte  per magia tutte le incomprensioni, il piacere di donarmi.

Entra ed esce la speranza e anche negli anfratti bui non si nega… e ancora se ci fosse stato qualcuno  che per noi avesse spento la luce di quel nostro amore già ammalato o  che  si fosse spenta da sola la SPERANZA sarebbe comunque  RIMASTA per entrambi, magari non insieme, ma sarebbe rimasta,  per ricominciare, per ritentare…

Dicono che la mia mente  sia rimasta confusa irrimediabilmente da quando ho scelto di saltare giù dal terzo piano, dopo l’ultima inevitabile discussione e  dopo quella mia richiesta senza soluzione… mi hanno raccolta in strada tutta  insanguinata e  in ospedale con un filo di voce mi hanno poi   lentamente e con fatica stabilizzata.

Aprii gli occhi solo dopo una settimana al sole che mi richiamava a sé in una bellissima giornata di primavera.

La luce del giorno filtrata dalla grande vetrata della  finestra  mi conduceva fuori alla mia terra e mi costringeva a guardare le distese  dei campi che in ampi  fazzoletti verdi e gialli riverberando   salutavano il mio risveglio. Tutto sopravviveva dunque nella sua bellezza e io?

Seppure confusa dall’improvviso spiraglio di luce  e   non del tutto guarita già ritornava in me la vita e di essa la consapevolezza…tutte le cose erano tornate in ordine, il sole stava  al posto giusto, e la terra sosteneva il peso del mio lento e barcollante passo…  prima con lui tutto si  confondeva, tanto da non distinguere più il giusto dall’ingiusto, uno schiaffo da una carezza.    

Ora in questo posto, dove tutti sono gentili sembra indispensabile cercare di ricordare cosa sia successo allora, ma io ti confesso che a volte fingo di non ricordare e a volte non ricordo proprio per davvero.

Fingo di non ricordare i suoi baci appassionati e le sue mani mentre morbide scivolavano su di me perché il ricordo di esse fanno soffrire  più delle subite  sue ire, già perché irrimediabilmente perse…

Dove s’è smarrita la nostra occasione di amarci… lo ricordo seduto sul divano sfatto e vinto dai suoi stessi pugni stretti che mi relegavano in un canto della cucina accucciata e perplessa più che dalla sua violenza dall’incapacità di non trovare un senso a quello che stava accadendo tra noi.

E non ricordo tutto quello che ho sopportato,  perché ancora mi è incomprensibile quello che  è stato capace di farmi,  sebbene un giorno si sia fatto palese inequivocabilmente   davanti allo specchio.

Un piccolo rigolo di sangue scendeva piano lungo i tratti del mio volto scomposto che non era già più il mio.

Non potevo essere proprio io quella riflessa allo specchio, la stessa che nel giorno del nostro matrimonio gli sorrideva radiosa mentre mi porgeva la mano, e non poteva essere lui quello che mi aveva ridotto in quel modo.

C’eravamo scoperti irrimediabilmente diversi all’estremità delle nostre dita tanto vicini da amarci e invece tanto lontani da non aver neppure il coraggio di odiarci.

Lo chiamano mostro, ma di lui non sanno nulla e io che di lui ho saggiato tutto la sua presenza e la sua assenza dall’essere uomo  mi rifiuto di giudicarlo perché sono incapace di ricordare cosa può un uomo che dice di amare.

Tuttavia a volte vorrei avere almeno una ragione per riuscire ad odiarlo  perchè  l’odio è come l’amore deve avere una ragione per alimentarsi e  sopravvivere, ma  in tutto questo scempio io non riesco a capacitarmi di trovare una ragione.

Mi piace pensare che questa mia amnesia sia il volere del buon Dio che vuole tenere sgombro il mio cuore dall’odio per poterlo ancora conservare intatto per un’altra opportunità d’amore.

Lui l’ho visto perdersi mentre mi perdevo anch’io dentro un amore andato a male e  in fondo alla fine di tutta questa storia solo  un’avvertenza  vorrei che fosse scritta a caratteri cubitali su tutti i cartelloni pubblicitari affissi agli incroci delle strade,  o sulle piazze, là dove molto spesso si immortala la bellezza nuda della donna e dove prendono vita i sorrisi accondiscendenti degli uomini:  ATTENZIONE AMORE  NON IN VENDITA - ESTREMAMENTE    FRAGILE  - DA  NON AGITARE PRIMA DELL’USO.  





Stefania Paron

Stefania Donatella Paron nata il 7 marzo 1958 a Rovigo Impiegata, a tempo perso scrive da sempre poesie e brevi racconti, dal 2006 partecipa con passione al laboratorio di scrittura creativa in seno all’Associazione “Renzo Barbujani” di Rovigo condotto da Loredana Capellazzo e dal 2009 al laboratorio di scrittura di Ostellato condotto da Davide Bregola. Ha partecipato a vari concorsi letterari conseguendo varie segnalazioni con opere tutte inedite.





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