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Sagarana BIGLIETTI FALSI


Brano del racconto I pesci morti


Boris Vian


BIGLIETTI FALSI



La portiera del vagone opponeva resistenza come al solito; all'altra estremità del treno, il capo stazione premeva forte il bottone rosso e l'aria compressa schizzava nei tubi. L' as­sistente faticava ad aprire i due sportelli. Aveva caldo. Gocce di sudore grigiastro zigzagavano sul suo volto come mosche, mettendo in risalto il collo sporco della camicia di zephyr rinforzato.

Il treno stava per ripartire quando il capo stazione mollò il bottone. L'aria rullò alle­gramente sotto il treno e l'assistente per poco non perse l'equilibrio: la porta cedette all'improvviso. Scese barcollando, non senza strappare la borsa, impigliata nel meccanismo di chiusura.

Il treno ripartì, lo spostamento d'aria sbatté l'assistente contro le latrine maleodo­ranti dove due arabi discutevano di politica a colpi di coltello.

L'assistente si diede una scrollatina, si ravviò i capelli che si appiattirono come erbe marce sul suo cranio molle. Un leggero vapore saliva dal suo petto semiscoperto dove si delineavano le clavicole sporgenti e l'ab­bozzo di un paio di costole sgraziate e mal piantate. Con passo pesante costeggiò il marciapiede piastrellato di esagoni rossi e verdi sporcati qua e là da lunghe tracce nere; erano piovute piovre tutto il pomeriggio, ma i dipendenti della stazione dedicavano a impegni inconfessabili il tempo che avrebbero dovuto consacrare alla pulizia dei marciapiedi, stando alla loro carta monumentale.

L'assistente si frugò nelle tasche, le sue dita incontrarono il grossolano cartone ondulato che avrebbe dovuto esibire all'uscita. Le gi­nocchia lo facevano soffrire, l'umidità degli stagni esplorati durante il giorno faceva ci­golare le giunture ribelli.

Portava in borsa un bottino più che ono­revole, niente da dire.

Porse il biglietto all'uomo indifferente in piedi dietro la grata. Lui lo prese, lo osservò e sorrise con ferocia.

«Non ne ha un altro?» disse.
 
«No» disse l'assistente.
 
«Questo è falso...»
 
«Ma è il mio capo che me l'ha dato» disse

«È molto più grave averne uno falso» disse l'impiegato. «Paghi o chiamo il mio cane!» «Non verrà» disse l'assistente.

«No» disse l'impiegato «ma almeno le faranno male le orecchie».

L'assistente guardò il volto tetro e scarno dell'impiegato, che gli rivolse uno sguardo velenoso.

«Ho pochissimo denaro» mormorò. «Anch'io» disse l'impiegato. «Paghi».

«Il capo mi dà cinquanta franchi al giorno...» disse l'assistente «e io devo mangiare». L'impiegato abbassò la visiera del berretto, davanti alla sua faccia calò una tenda blu. «Paghi...» disse con la mano, sfregando pollice e indice.

L'assistente prese il suo portamonete lu­cido e rappezzato. Tirò fuori due biglietti da dieci franchi pieni di cicatrici e uno più pic­colo da cinque franchi che sanguinava an­cora.

«Venticinque...» propose titubante. «Trenta...» dissero le tre dita stese dell'im­piegato.

L'assistente sospirò, il volto del suo capo apparve fra le dita del piede. Ci sputò sopra, proprio nell'occhio. Il cuore gli batteva più forte. L'immagine si sciolse a poco a poco e

scomparve. Depositò i soldi nella mano tesa e se ne andò. Udì lo scatto che faceva la vi­siera del berretto riprendendo la posizione abituale. A passi lenti raggiunse l'inizio della rampa. La borsa torturava i fianchi magri e il manico in bambù del retino batteva, al ritmo dei suoi passi, sui polpacci gracili e malformi l'assistente gentilmente, con un sorrisetto e un piccolo cenno.

L'impiegato sogghignò.

«Non mi stupisce che sia falso, allora. Ne ha comperati dieci, questa mattina».

«Dieci cosa?» disse l'assistente.
 
«Dieci biglietti falsi».

«Ma perché?» disse l'assistente. Il suo sor­riso si attenuò pendendo a sinistra.

«Per darli a lei» disse l'impiegato. «Prima di tutto per farla sentire umiliato, ed è quello che sto facendo, poi perché le tocchi pagare la multa».

«Perché?» disse l'assistente «io ho così poco denaro».

«Perché è disgustoso viaggiare con un bi­glietto falso...» disse l'impiegato.

«Ma se siete voi che li fabbricate!»

«Bisogna ben farlo, visto che ci sono tipi così disgustosi da viaggiare con biglietti falsi. Cosa crede, che sia divertente fare biglietti falsi tutto il giorno?»

«Certo fareste meglio a pulire il marciapiede» disse l'assistente.

«Poche battute di spirito» disse l'impie­gato. «Paghi la multa. Sono trenta franchi».

«Ma non è vero...» disse l'assistente. «Fanno dodici franchi, viaggiare senza biglietto». (…)







Brano tratto dal racconto I pesci morti, presente nella raccolta Le formiche, Marcos y Marcos editrice, Milano, 2013. Traduzione di Giulia Colace e Olga Parano.




Boris Vian

Boris Vian (Ville-d'Avray, 10 marzo 1920 – Parigi, 23 giugno 1959) è stato uno scrittore, paroliere, drammaturgo, poeta,trombettista e traduttore francese. È stato anche membro del Collège de Pataphysique nonché dirigente del reparto discografico jazzistico presso Philips.





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