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Sagarana I GENITORI NON DEVONO SEPPELLIRE I FIGLI


Brano tratto dal romanzo Infamia


Ana Maria Machado


I GENITORI NON DEVONO SEPPELLIRE I FIGLI



(…) L’ambasciatore Soares de Vilhena distese il collo e inclinò la testa all’indietro, appoggiandola all’alto schienale della bergère. Con gli occhi chiusi, decontrasse i muscoli e si abbandonò, rilassato. Aveva detto a Jorge di venire perché sentiva sul proprio corpo tutti i benefici delle sessioni di fisioterapia. Riusciva già a muovere le articolazioni con maggiore facilità. I dolori al ginocchio erano diminuiti tanto che alle volte riusciva a passare una giornata intera senza ricordarsene.

Non avrebbe avuto senso smettere di fare esercizio, per questo gli aveva appena dedicato un’ora del suo tempo.

Ma aveva preferito telefonare a Camila e dirle di non venire a leggere per lui quel lunedì. Cancellare l’incontro aveva il vantaggio ulteriore di facilitare quella che era la sua richiesta principale: che lei chiamasse Luís Felipe per avvisarlo che la lettura era sospesa. Preferiva non parlare direttamente con il nipote né incaricare Ana Amélia di farlo. Anche lei meritava di essere risparmiata. Ma il fatto era che non aveva nessuna voglia di vedere il ragazzo in casa sua quella mattina. Sapeva di non essere ancora pronto ad affrontare il tema che gli aveva causato tanto malessere l’ultima volta: quella cartellina di cartone verde che era appartenuta a Cecília.

Si era molto irritato per l’impertinenza di Luís Felipe.

Come aveva potuto il nipote utilizzare quel tono polemico e accusatorio? Aveva insinuato praticamente che i nonni si fossero appropriati di qualcosa d’importante che era stato della madre. Come se loro fossero capaci di un tale gesto. Via, ma dove si era mai vista una cosa simile? Per cominciare, erano delle persone oneste. E inoltre Cecília non era solo la madre di Felipe, ma anche la loro figlia, morta improvvisamente per un attacco cardiaco, molto prima di quanto si sarebbe potuto immaginare. Un dolore immenso, incommensurabile. I genitori non devono seppellire i figli. Non è nell’ordine naturale della vita. Avevano diritto tanto quanto il nipote a quell’atto di nostalgia e affetto, a immergersi nell’intimità delle sue carte, quante volte e per quanto tempo avessero voluto, tentando di ritrovarla almeno in parte.

L’insinuazione di Luís Felipe non era stata solo irrispettosa e sconveniente, ma arrivava quasi volutamente a essere offensiva. Non doveva passarla liscia.

Era giusto che per qualche giorno privasse il ragazzo della sua compagnia.

– Mila è in ritardo.

Vilhena non si era accorto che Ana Amélia si trovava nello studio e aveva lasciato il vassoio sulla scrivania.

– No, oggi non viene.

– È successo qualcosa? Ha telefonato per avvisare?

– No. Le ho detto io di non venire.

– E come?

– Come si fanno queste cose, suvvia! Ho preso il telefono, ho premuto i tasti, ho composto il numero e ho parlato con lei.

– Tu? In persona? Hai cercato il numero e hai chiamato? Senza chiedere aiuto a nessuno?

– Di cosa ti stupisci? Credi che non sia capace? Solo perché ho avuto una segretaria per tutta la vita? Credi che non veda più niente, nemmeno per fare una telefonata? Pure un cieco riconosce i tasti al tatto.

– E le hai detto semplicemente di non venire? Per sempre? O solo per oggi?

– Perché tante domande, posso saperlo?

Ana Amélia conosceva perfettamente quel meccanismo. Quando non voleva rispondere, invertiva il processo e cominciava a interrogare il suo interlocutore. Un modo efficiente di non cedere e, allo stesso tempo, di far vedere chi comandava. Per arrivare a quel punto doveva essere molto turbato. E lei immaginava la ragione: la scena con il nipote della settimana precedente. Vilhena non ne aveva più parlato, ma aveva passato il sabato e la domenica silenzioso e di cattivo umore.

Sospirò. Non sarebbe stato facile. Ma sapeva che non poteva più rimandare. Si sedette sul bracciolo della poltrona, gli sfiorò il volto con una carezza leggera e disse:

– È da molto che dobbiamo parlare della cosa, Manuel. Penso sia arrivato il momento. Quanto tempo abbiamo? Hai detto anche a Felipe di non venire o c’è il rischio che entri all’improvviso da quella porta e ci interrompa?

Con un gesto d’impazienza, Vilhena allontanò il suo braccio:

– Alzati da qui. Potresti rompere il bracciolo della poltrona.

– Non dire sciocchezze, caro. Può sopportare un peso molto più grande e lo sappiamo.

Non poteva distinguere la sua espressione quando Ana Amélia si alzò, gli diede le spalle e andò alla porta. Percepiva solo i contorni del suo viso. Ma avrebbe scommesso che aveva quel suo mezzo sorriso accennato che riservava alle occasioni di complicità, quando nessuno all’infuori di lui sarebbe riuscito a percepire una punta d’ironia. Ebbe un moto improvviso d’irritazione. Ana Amélia avrebbe forse fatto l’offesa e sarebbe uscita dalla stanza?

L’ipotesi lo sorprese. Lei non aveva l’abitudine di fare scenate. Né di fare battutine che evocavano vecchi giochetti sessuali su quella stessa poltrona – anche se con colori e stoffe differenti della fodera che era già stata cambiata varie volte. Scegliere di fare la prima donna proprio nel momento in cui era preoccupato e irritato dimostrava un’insensibilità senza limiti. In quel momento confondere risentimento e toni seducenti era addirittura ridicolo.

Arrivata alla porta, Ana Amélia aveva girato la chiave.

– Ecco, così nessuno ci può interrompere. Non c’è bisogno che tu mi dica se Felipe viene oppure no. Se arrivasse sarebbe costretto a bussare per farsi aprire. E, fino a quel momento, avremmo il tempo di cominciare a parlare.

Tornò vicino al marito.
– Vuoi del caffè?
– Non voglio niente.

Trascinò una sedia lì a fianco a lui. Gli accarezzò la mano poggiata sul bracciolo della poltrona e disse:

– Caro, non possiamo lasciare che questo rimanga in sospeso tra noi, come un sassolino che a forza di rotolare diventa una valanga. Dobbiamo parlare della cartellina di Cecília.

– Non so di cosa parli. Non ho niente da dire a proposito.

– Ma io sì, e molte cose. Non so da dove cominciare, può darsi che sia solo un’enorme sciocchezza. Ma non posso più sopportare di tenermela dentro, solo per proteggerti e perché ormai è così e basta. Cecília è morta, non possiamo farci nulla. Quando avremmo potuto, ammesso che avessimo potuto davvero fare qualcosa, non lo abbiamo fatto. Non abbiamo nemmeno capito che aveva bisogno del nostro aiuto. Questo dolore che ci portiamo dentro ci…

– Smettila! – la interruppe lui quasi gridando. – Ti ho già detto che non so di cosa stai parlando.

Era disposta a tenergli testa.

– Sì che lo sai. Tanto che non hai dato subito la cartellina a Felipe, come avevi detto che avresti fatto. Ce l’hai lì sul tavolo da molto tempo. Non da pochi giorni, ho confermato questa bugia solo per lealtà nei tuoi confronti. Ma da mesi, quasi da un anno, da quando Angelina è tornata in Brasile e ce l’ha fatta recapitare. E se hai tenuto la cartellina mentre invece avevamo deciso di darla a Felipe è perché, come me, in qualche modo sei rimasto incuriosito dal suo contenuto. Senza sapere bene perché, hai capito che conteneva tracce di qualcosa di sbagliato.

– T’immagini le cose. E da quando? Mi sono solo distratto e non me ne sono ricordato. Cosa può esserci di sbagliato in dei vecchi fogli dimenticati là?

– Come prima cosa, Manuel, siamo sinceri: il semplice fatto di essere stati lasciati là. Una governante esperta come Angelina, che lavora da una vita per l’ambasciata, che ha già aiutato a fare decine di traslochi verificando tutto minuziosamente. E, ammesso che qualcosa fosse stato dimenticato, sarebbe stato subito comunicato appena scoperto. La cartellina sarebbe stata inviata con una valigia diplomatica e sarebbe arrivata nelle nostre mani, o in quelle di Xavier o di Felipe, da molto tempo. Non c’era ragione perché lei aspettasse di andare in pensione e di tornare in Brasile per portare personalmente queste vecchie carte.

– Lei non le ha portate personalmente. Le ha fatte consegnare.

– Con l’indicazione S.P.M., ma non è questo il dettaglio che conta.

Lui fece un altro tentativo:

– Chissà, magari la cartellina era rimasta tra le cose di Angelina in quell’occasione ed è venuta fuori solo adesso, quando lei ha traslocato per tornare in Brasile.

– Non ci credi nemmeno tu a questa storia.

Doveva darsi per vinto, anche senza ammetterlo.

Chiese solo:
– E tu? Che cosa credi?

Lui stesso non sapeva cosa aspettarsi o cosa temere che lei dicesse.

Sapeva solo che, fin dal primo momento in cui aveva tenuto la cartellina tra le mani, quei fogli avevano alimentato una sensazione indefinita che, sicuramente, provava già da prima, ma nascosta, soffocata. Sotterrata nel fondo della sua coscienza. L’impressione, vaga ma persistente, che ci fosse qualcosa d’incoerente nel racconto dell’ultimo periodo della vita di Cecília. O dei suoi ultimi istanti? Da quanto tempo andava avanti quella verità che gli sfuggiva, celata dalla versione che tutti avevano accettato?

Per quanto pensasse alla figlia e riesaminasse ricordi e pensieri relativi a quell’angoscia che poteva aver portato il suo cuore fragile a spezzarsi all’improvviso e a smettere di pulsare, Vilhena rifiutava di ammettere, anche a sé stesso, che potesse esistere un substrato più torbido. Ma in realtà conviveva con un seppur minimo sospetto che nel racconto della morte della figlia che tutti gli avevano fatto ci fossero elementi che non combaciavano perfettamente: Cecília era tornata dal Brasile in salute e di buon umore ma presto la sua depressione si era ripresentata e avevano dovuto farla ricoverare. Alcuni mesi dopo aveva avuto un infarto fulminante mentre dormiva.

Per questo non era sorpreso nel constatare che Ana Amélia, con la sua sottile percezione delle cose, adesso sospettasse qualcosa, pensando che quella era una storia che non gli era stata raccontata tutta.







Brano tratto da Infamia di Ana Maria Machado, Exorma edizioni, marzo 2014, traduzione dal portoghese di Giulia Manera.




Ana Maria Machado

Ana Maria Machado, nata a Rio de Janeiro nel 1941, è considerata una delle scrittrici più interessanti del panorama letterario brasiliano contemporaneo. Presidente dell’Academia Brasileira de Letras, è autrice di numerosi romanzi e libri per l’infanzia; in 40 anni di carriera ha pubblicato più di 100 opere ed è stata tradotta in 18 paesi. Pittrice, professoressa e poi giornalista, ha vinto numerosi premi letterari, tra cui il Premio Jabuti de Literatura nel 1978 e il Passo Fundo Zaffari & Bourbon de Literatura nel 2013 proprio con Infamia, primo libro della scrittrice ad essere tradotto e pubblicato in Italia.





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