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Sagarana SOTTO C'è DELL'ORO


Brano tratto dal romanzo Il maestro di Vigevano


Lucio Mastronardi


SOTTO C'è DELL'ORO



(…) Stasera ho mandato a casa il terzo turno di lezioni. Ho detto che non mi sentivo bene.

Erano le sei quando uscii di casa, le sei di sera. Di una sera tiepida e primaverile, che lentamente si oscurava. Il cielo era di un azzurro slavato, chiaro, e una luna enorme ci campeggiava.

Passai dalla Piazza e le solite facce mi davano quasi un senso di repulsione. Quelle facce di tutti i giorni, di tutte le sere! Quelle facce che conosco a memoria.
Passa un uomo e io quell'uomo me lo ricordo bambino, me lo ricordo scolaro. Ora ha parecchi capelli bianchi, penso mentre cammino.

E quel vecchio che si trascina? Quel vecchio l'ho conosciuto giovane, prestante... E quella operaia che se ne va a fare la spesa, dimessa, l'ho conosciuta anche lei quando era una sfolgorante mondana.

Cammino mentre dolce scende la sera; e la luna sale; ecco qui davanti a me il lungo corso Milano, pieno di biciclette e macchine e gente che si muove corre fila; quel muoversi filare e correre è il senso della loro vita, il significato di vita, penso. E il mio camminare ha pure un significato, penso. Ma non so quale significato attribuirgli a questo camminare. Forse perché quel correre di quella gente fa capo a qualche cosa, a qualche azione e io invece cammino senza una meta... Penso ai soldi. I biglietti di banca che valgono perché dietro c'è dell'oro; se non ci fosse dell'oro non varrebbero niente. Ecco, qualcosa di ana­logo c'è nel muoversi della gente attorno a me: sotto c'è dell'oro; mentre il mio camminare non ha sotto che nulla nulla nulla!

Mi domando se ci sia nesso logico fra la gente che corre e io che cammino e i biglietti di banca e penso che c'è più nesso logico qui che fra le mie dita dei piedi e mio figlio nascituro.

Così pensando, mi fermo a un bivio e prendo per una strada di campagna. La gente mi dà fastidio. Il muoversi della gente mi dà fastidio; ecco la campa­gna che si stende col suo verde. Guardo i prati butterati di ranuncoli e dico forte: — Prato butterato di ranuncoli.

La frase mi suona bene: prato butterato di ranun­coli! Mi suona bene quel butterato!

Proseguo nel mio camminare. Vedo contadini che lavorano e penso ai pensieri che può pensare un con­tadino mentre lavora. Il contadino è a piedi scalzi e vicino c'è una donna, forse la sua donna, e in quel mostrare i piedi e guardare c'è naturalezza. Che ella non trovi equilibrio nel vedere un uomo a piedi scalzi?

Proseguo il mio cammino pensando a Rino. Chissà se Rino sa come nascono i figli; chissà se sa ciò che il mondo cerca di nascondere in tutti i modi, forse per trovare più piacere nel mostrarlo? Quei piaceri proibiti, che, appunto perché proibiti, diventano più piaceri ancora?

All'età di Rino io sapevo già molte di quelle cose. E quasi mi spiacerebbe che Rino non le sapesse an­cora. Però mi spiacerebbe di più se le sapesse. Egli chissà se si è chiesto perché sua madre e suo padre dormono divisi. Chissà se si è chiesto se la donna, sotto, è fatta come l'uomo oppure come è fatta!

Proseguo nel mio cammino e nei miei pensieri respirando a pieni polmoni quell'aria impregnata di fieno, di stalla, di erba. Scendo per una discesa ripi­dissima e mi trovo nella vallata del Ticino. Guardo la centrale Edison e mi sovviene un ricordo scolastico: il mio maestro ci ha detto che proprio lì Annibale sconfisse i Romani. E io ho ripetuto la stessa cosa per quasi vent'anni ai miei scolari: — Dove vi è la cen­trale Edison Annibale ha sconfitto i romani!

Proseguo nel mio cammino...







Brano tratto dal romanzo Il maestro di Vigevano, Einaudi edizioni, Torino, 1962.




Lucio Mastronardi

Lucio Mastronardi nacque a Vigevano nel 1930 e vi morì suicida nel 1979. Pubblicò, oltre a Il Maestro di Vigevano, Il calzolaio di Vigevano, A casa tua ridono e altri racconti e Il meridionale di Vigevano.





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