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Sagarana NEL 1970


Brano tratto dal saggio “I Settanta”


Barry Miles


NEL 1970



(…) In settembre una telefonata ci portò la notizia che Tim Leary era evaso. In gennaio lo avevano condannato a dieci anni per detenzione di marijua­na e dopo averlo chiuso in galera avevano aggiunto alla pena altri dieci an­ni per un crimine identico commesso nel 1965. Avrebbe dovuto scontare le due condanne consecutivamente: due decenni di prigione per meno di dieci grammi di marijuana. Aveva quarantanove anni. Approdato al carcere di San Luis Obispo, Leary era stato sottoposto al test psicologico standard per stabilire quale lavoro assegnargli. Poiché era stato lui stesso a ideare il test - il Leary Interpersonal Behavior Circle - sapeva esattamente quali risposte fornire affinché le autorità lo inquadrassero come un individuo decisamen­te convenzionale e conformista, con un grande interesse per il giardinag­gio e la silvicoltura. Fu così che gli diedero un lavoro da giardiniere nell'ala a bassa sicurezza. All'inizio lui reagì bene; in una lettera ad Allen Ginsberg diceva: «Guardo le stelle e i pianeti tutte le notti... studio libri per principianti, di scienza... botanica... fisica... elettricità... entomologia... lo si trova in ogni scienza... è tutto così ovvio... cariche positive-negative... doppia elica...» e così via. Ma quando si vide rifiutare la richiesta di appello scoprì che pri­ma di presentarne un'altra avrebbe dovuto aspettare almeno un anno. E si rese conto che l'unica via di scampo era la fuga.

La sentenza draconiana che gli era stata comminata per una quantità mi­nuscola d'erba era soltanto una debole scusa per incarcerarlo in qualità di prigioniero politico. Incoraggiando i giovani a «sintonizzarsi» - contestare le bugie e i valori americani con cui la scuola e la pubblicità li rimpinzavano da una vita -, ad «accendersi» - cioè a sperimentare droghe allucinogene e stati mentali alterati per meglio osservare la vacuità della società consumistica americana - e a «mollare tutto» - rifiutando i valori del siste­ma e abbracciando una filosofia di vita più vitalista, altruista, antimilitarista, pacifista - era diventato una minaccia capace di minare alle fondamenta ciò che stava a cuore al sistema; il sistema fece di tutto per distruggere Lea­ry e alla fine, non senza fatica, ci riuscì.

Fu davvero surreale, in un certo senso, seguire il movimento delica­to delle foglie dalla finestra della cucina mentre Allen ci dava la notizia. Leary aveva rischiato la vita arrampicandosi su una recinzione alta più di tre metri e mezzo e sorvegliata da guardie armate a bordo di veicoli blindati; dall'altra parte aveva trovato alcuni membri del Weather Underground che l'avevano portato a sud lungo la USI, sbarazzandosi della sua divisa da galeotto dopo tre chilometri di strada. Leary si riunì alla moglie Rose­mary e con lei varcò clandestinamente la frontiera, destinazione Algeria, dove i due furono ospiti di Eldridge Cleaver e del «Governo in esilio» delle Black Panthers. Prima di partire, tuttavia, Tim, Rosemary e Bernadette Dohrn, leader dei Weathermen entrata in clandestinità dopo l'esplosione di marzo, andarono a vedere Woodstock. Tre giorni di pace, amore e musica fatti come dei cammelli. Leary scrisse ad Allen che il film gli era pia­ciuto davvero tanto.

Leary diffuse una dichiarazione che, a detta sua, risaliva a prima della fuga dalla prigione; conteneva tuttavia un appello alla lotta armata dietro il quale molti videro la mano pesante del Weather Underground. Il grosso del testo, però, era puro Leary:

Ascoltate. Non si può scendere a compromessi con una macchina. Non si può parlare di pace e amore con un robot umanoide i cui impulsi Federali e Burocratici sono senz'anima, senza cuore, senza ironia, senza vita, senza amore... amate la vita... fate esplodere la mente meccanica con il Sacro acido... Inoculate... inoculate... inoculateglielo. Resistete fisicamente; gli agenti ro­bot che minacciano la vita devono essere disarmati, disinnescati, disconnes­si con la forza. Armatevi e sparate per sopravvivere... Ascolta, Nixon. Non siamo mai stati ingenui come credi. Sapevamo che i fiori nei tuoi cannoni erano un rischio... Ti abbiamo implorato di vivere e lasciar vivere, di amare e lasciar amare, ma tu hai scelto di uccidere e farti uccidere.

Concludeva dichiarandosi armato e pericoloso per chiunque avesse minac­ciato la sua vita o la sua libertà. Per due anni gli agenti americani seguirono le sue mosse e nel 1973 lo intercettarono a Kabul, in Afghanistan. Nonostante l'assenza di trattati di estradizione tra l'Afghanistan e gli Stati Uniti, gli agenti lo trattennero con la forza a bordo di un aereo e lo rispedirono negli Stati Uniti.

Poi, il 18 settembre 1970, a Londra morì Jimi Hendrix. Aveva solo ven­tisette anni. Riuscivo a immaginare l'atmosfera in città e già prevedevo l'e­splosione di pettegolezzi e teorie del complotto, ma Jimi era messo male, e purtroppo la notizia non fu così inaspettata. Sacrificammo un po' di elet­tricità per ascoltare qualche suo disco in segno di rispetto. Poco dopo, il 4 ottobre, morì anche Janis Joplin, per overdose di eroina. Questa fu una ve­ra sorpresa, perché tutti la credevano soltanto una gran bevitrice. E di nuo­vo occorse qualche ora di elettricità per salutarla in maniera degna. Non era una semplice cantante; l'atteggiamento disinibito e il look che sfoggiava avevano fatto di lei la donna più emblematica della controcultura. Ne in­carnava l'emancipazione, specialmente quella femminile; per tante donne era un modello. L'ultima volta che l'avevo vista era stata quella primavera a New York, allo Scene di Steve Paul, dove si esibivano Dr John e gli Sha Na Na. Janis era seduta al tavolo accanto al nostro, insieme a degli enormi te­xani con i capelli lunghi a coda di cavallo. Tra i capelli aveva il suo classico boa di struzzo, era coperta di perline e paillettes. Ordinava un whisky dopo l'altro. A un certo punto aveva chiamato il cameriere, fatto il conto dei suoi accompagnatori, moltiplicato per due e aggiunto un altro per sé, «Visto che pago io, cazzo!». Totale, diciassette doppi.







Tratto dal saggio “I Settanta”, Il Saggiatore editrice, Milano, 2014. Traduzione di Luca Fusari.




Barry Miles

Barry Miles, giornalista e imprenditore, è un luminare della cultura underground. Ha scritto biografie di Paul McCartney, John Lennon, William Borroughs, Jack Kerouac, Charles Bukowski e Allen Ginsberg, nonché libri suo Beatles, i Pink Floyd, i Clash e London Calling, storia della controcultura londinese dal 1945 a oggi.





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