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Sagarana LEGNA DA ARDERE


Raymond Carver


LEGNA DA ARDERE



Era la metà di agosto e Myers era sospeso a metà tra una vita e l'altra. L'unica differenza, rispetto alle altre volte, era che questa volta non beveva. Aveva appena passato ventotto giorni in un centro di disintossicazione. Ma proprio in que­sto periodo a sua moglie era saltato il ticchio di mettersi insieme a un altro ubriacone, un loro amico. Il tizio era da poco riuscito a procurarsi dei soldi e andava dicendo che vo­leva investirli in un bar-ristorante nella parte orientale dello stato.

Myers aveva telefonato alla moglie, ma lei gli aveva at­taccato il telefono in faccia. Non gli voleva neanche parlare, figuriamoci lasciarlo avvicinare a casa. Aveva messo di mez­zo un avvocato e aveva ottenuto dal tribunale una diffida nei confronti del marito. E così lui si prese un po' di cose, salì su un autobus e se ne andò a vivere vicino all'oceano in una casa di proprietà di un tale di nome Sol che aveva messo un annuncio sul giornale.

Quando gli aprì la porta, Sol indossava un paio di jeans e una maglietta rossa. Erano le dieci di sera e Myers era appena sceso da un taxi. Sotto la luce della veranda Myers notò che Sol aveva il braccio destro più corto dell' altro, con la mano e le dita come avvizziti. Non gli offrì la mano avvizzita da stringere e nemmeno la sinistra, ma Myers non se la prese a male. Era già abbastanza sconvolto per conto suo.

Lei è quello che ha appena chiamato, vero?, disse Sol. È venuto a vedere la stanza. Si accomodi.

Myers afferrò la valigia ed entrò in casa.
Questa è mia moglie. Le presento Bonnie, disse Sol.

Bonnie stava guardando la tv, ma distolse lo sguardo per vedere chi era entrato. Premette un pulsante su un aggeggio che aveva in mano e l'audio sparì. Poi lo premette di nuovo e anche il quadro si spense. Quindi si tirò su dal divano e si alzò in piedi. Era un donnone enorme. Era grassa dappertutto e respirava ansimando.

 
 

Mi dispiace per l'ora tarda, disse Myers. Molto piacere. Non si preoccupi, disse Bonnie. Mio marito le ha già det­to per telefono quant'è l'affitto?

Myers annuì. Teneva ancora stretta la valigia.

Be', questo è il soggiorno, disse Sol, come vede. Scosse la testa e si portò al mento le dita della mano buona. Tanto vale che le dica subito che non siamo molto pratici. Non abbiamo mai affittato la stanza a nessuno. Ma se ne sta lì sul retro inu­tilizzata e così abbiamo pensato, che diamine!, un po' di soldi in più fanno sempre comodo.

La capisco benissimo, disse Myers.
Da dove viene?, chiese Bonnie. Non è di queste parti.

Mia moglie vuole fare la scrittrice, disse Sol. Chi, cosa, dove, perché e quanto?

 
 

Sono appena arrivato, rispose Myers. Passò la valigia nell'altra mano. Sono sceso dall'autobus un'ora fa, ho letto il vostro annuncio sul giornale e ho chiamato.

Che tipo di lavoro fa?, si informò Bonnie.

Ho fatto un po' di tutto, rispose Myers. Posò la valigia a terra e si sgranchì le dita. Poi riprese la valigia in mano.

Bonnie non insisté. E neanche Sol, anche se Myers capì che era incuriosito.

Myers si accorse che sopra il televisore c'era una foto di Elvis Presley. Il suo autografo attraversava il bavero della giacca bianca coperta di lustrini. Si avvicinò di un passo.

The King, disse Bonnie.

Myers annuì, ma non disse niente. Accanto alla foto di Elvis ce n'era una del matrimonio di Sole e Bonnie. Nella foto Sol era in giacca e cravatta. Il braccio sinistro di Sol, quello buono, stringeva la vita di Bonnie, fin dove riusciva ad arri­vare. La mano destra di Sol e quella di Bonnie erano unite all'altezza della fibbia della cintura di Sol. Bonnie non pote­va allontanarsi di un passo, se Sol aveva qualcosa da ridire. A Bonnie la cosa non pareva dare fastidio. Nella foto, Bonnie indossava un cappello ed era tutta un sorriso.

Le voglio un gran bene, disse Sol, come se Myers avesse sostenuto il contrario.

Che ne dice di farmi vedere la stanza?, disse Myers.
Lo sapevo che ci stavamo scordando qualcosa, disse Sol.

Uscirono dal soggiorno e passarono in cucina, prima Sol, poi Myers con la valigia e quindi Bonnie. Attraversarono la cucina e svoltarono a sinistra appena prima della porta che dava sul retro. Lungo la parete c'erano degli scaffali aperti, una lavasciuga. Sol aprì una porta alla fine del corridoio e ac­cese la luce del bagno.

Bonnie si fece avanti sbuffando e disse: Questo è il suo bagno privato. La porta in cucina è il suo ingresso riservato.

Sol aprì la porta sull'altro lato del bagno e accese un'altra luce. Questa è la stanza, disse.

 
 

Ho rifatto il letto, le lenzuola sono pulite, disse Bonnie. Ma se prende la stanza, d'ora in poi ci dovrà pensare da solo.

Come dice mia moglie, questo non è un albergo, disse Sol. Ma se vuole restare, lei è il benvenuto.

C'era un letto matrimoniale accostato a una delle pareti, insieme a un comodino con sopra una lampada, un cassettone e un tavolinetto con una sedia pieghevole. Una grande fi­nestra si affacciava sul giardino. Myers appoggiò la valigia sul letto e si avvicinò alla finestra. Alzò la veneziana e guardò fuori. La luna era alta nel cielo. In lontananza si vedevano una valle boscosa e le cime dei monti. Era solo la sua imma­ginazione, o sentiva davvero scorrere un ruscello o un fiume?

Sento dell'acqua, disse.
 
 

Quello che sente è il Little Quilcene, disse Sol. Quel fiu­me lì ha il dislivello più ripido di tutto il paese.

Be', che ne pensa?, chiese Bonnie. Si fece avanti e piegò un lembo della coperta, e a Myers questo semplice gesto fece quasi venire le lacrime agli occhi.

La prendo, disse.
 
 

Sono contento, disse Sol. Anche mia moglie, mi pare. Domani faccio togliere quell'annuncio dal giornale. Vuole u­sarla subito, no?

Speravo di sì, disse Myers.

Be', la lasciamo sistemarsi, disse Bonnie. Le ho messo due cuscini e in quell'armadio a muro c'è un'altra coperta. Myers riuscì solo ad annuire.

Allora, buona notte, disse Sol.
Buona notte, disse Bonnie.
Buona notte, rispose Myers. E grazie di tutto.

Sol e Bonnie ripassarono attraverso il bagno e tornarono in cucina. Chiusero la porta, ma non prima che Myers sentis­se Bonnie che diceva: Sembra a posto.

Un tipo tranquillo, disse Sol.
Mi sa che faccio un po' di popcorn.
Ne mangio un po' anch'io per farti compagnia, disse Sol.

Ben presto Myers sentì il televisore accendersi di nuovo in soggiorno, ma il suono arrivava attutito e pensò che non gli avrebbe dato fastidio. Spalancò la finestra e si mise in ascolto del rumore della corrente del fiume che attraversava rapido la valle, diretto verso l'oceano.

Tirò fuori le sue cose dalla valigia e le sistemò nei casset­ti. Poi andò in bagno e si lavò i denti. Spostò il tavolinetto in modo che fosse proprio davanti alla finestra. Poi guardò il punto in cui la donna aveva piegato il lembo della coperta. Prese la sedia pieghevole e si tirò fuori una biro dalla tasca. Rimase a pensare un attimo, poi aprì il taccuino e in cima a una pagina bianca scrisse le parole Il vuoto è l'inizio di tutte le cose. Rimase a fissare questa frase e poi scoppiò a ridere. Gesù, che cazzata! Scosse la testa. Richiuse il taccuino, si spogliò e spense la luce. Rimase un momento in piedi a guardare dalla finestra e ad ascoltare la corrente del fiume. Poi si

mise a letto.

Bonnie fece saltare il popcorn, ci versò sopra il burro fuso e il sale, lo mise in una grossa ciotola e lo portò al divano dove Sol stava guardando la tv. Lasciò che si servisse lui per

primo. Sol ne prese una bella manciata con la mano buona e poi allungò la mano avvizzita per prendere la salviettina di carta che la moglie gli porgeva. Poi si servì anche lei.

Che impressione ti ha fatto?, s'informò Bonnie. Il nostro nuovo inquilino.

Sol scosse la testa e continuò a guardare la tv e a mangiare popcorn. Poi, come se avesse riflettuto sulla domanda, disse: Mi piace. È un tipo a posto. Ma mi sa che sta scappando da qualcosa.

Tipo?

Questo non lo so. Sto tirando a indovinare. Comunque non è pericoloso e non ci darà guai.

Però ha certi occhi, disse Bonnie.
Che hanno gli occhi?

Sono tristi. Gli occhi più tristi che abbia mai visto in un uomo.

Sol per un po' rimase in silenzio. Finì di mangiare i pop-corn che aveva in mano. Si pulì le dita e il mento con la sal­viettina di carta. È un tipo a posto. Ha solo avuto qualche in­cidente di percorso, tutto lì. Non c' è mica da vergognarsi. Mi dai un sorso di quella cosa? Si allungò per prendere il bic­chiere di aranciata che lei teneva in mano e ne bevve un po'. Sai una cosa? Mi sono scordato di farmi pagare l'affitto, stasera. Glielo dovrò chiedere domattina, se si alza presto. E avrei dovuto anche informarmi su quanto intende fermarsi. Accidenti, chissà che mi è preso. Non voglio mica che que­sto posto si trasformi in un albergo.

Non puoi pensare sempre a tutto. E poi, non siamo ancora tanto pratici. Non abbiamo mai affittato una stanza prima d'ora.

Bonnie decise che avrebbe scritto di quel tizio nel taccuino che stava riempiendo. Chiuse gli occhi e si mise a pensare a quello che avrebbe scritto. Quello sconosciuto alto, un po' curvo – però di bell'aspetto! – con i capelli ricci e gli occhi tristi entrò in casa nostra una fatale sera d'agosto. Si appoggiò al braccio sinistro di Sol e cercò di scrivere qualche altra cosa. Sol le strinse la spalla, e questo la riportò al presente. Aprì e chiuse gli occhi, ma non le venne in mente altro da scrivere su di lui in quel momento. Chi vivrà vedrà, pensò. Era contenta che fosse venuto.

Che programma scemo, disse Sol. Andiamocene a letto. Domattina dobbiamo svegliarci presto.

A letto, Sol fece l'amore con lei, lei lo accolse, lo tenne stretto e lo ricambiò in tutto, ma mentre lo faceva continuava a pensare al tizio alto con i ricci che stava nella stanza sul retro. E se avesse aperto all'improvviso la porta della stanza da letto e li avesse sorpresi così?

Sol, disse, hai chiuso a chiave la porta della camera?

Cosa? Sta' un po' ferma, disse Sol. Poi finì e si allontanò da lei, ma continuò a tenerle il braccio avvizzito sul seno. Lei rimase per un attimo lì supina a riflettere, poi gli diede un colpetto affettuoso sulle dita, sospirò e si addormentò pensando ai detonatori che erano esplosi in mano a Sol quando era ragazzo, recidendogli i nervi e provocandogli l'atrofia del braccio e delle dita.

Bonnie prese a russare. Sol le scosse un braccio finché lei non si girò su un fianco, voltandogli la schiena.

Dopo un attimo, Sol si alzò e si rimise la biancheria. Tornò in soggiorno. Non accese la luce, però. Non ne aveva bi­sogno. C' era la luna, e non voleva accendere la luce. Dal soggiorno passò in cucina. Si assicurò che la porta sul retro fos­se chiusa e poi rimase un po' in ascolto davanti alla porta del bagno, ma non si sentiva niente di strano. Il lavandino perdeva – aveva bisogno di una guarnizione nuova, ma del resto, perdeva da sempre. Riattraversò la casa e chiuse a chiave la porta della loro camera da letto. Controllò la sveglia e si assicurò che la levetta fosse sollevata. Si rimise a letto e si strin­se a Bonnie. Appoggiò una gamba sopra la sua, e solo allora finalmente si addormentò.

 

Le tre persone dormivano sognando, mentre fuori la luna cresceva e sembrava muoversi nel cielo finché fu al largo sopra l'oceano, sempre più piccola e pallida. Nel sogno di Myers qualcuno gli offre un bicchiere di scotch, ma proprio mentre sta per accettarlo, seppure con riluttanza, si sveglia di colpo sudato, con il cuore a mille.

Sol sogna di cambiare una gomma a un camion e di poter usare entrambe le braccia.

Bonnie sogna che sta portando due, anzi tre, bambini ai giardinetti. Sa perfino come si chiamano. Il nome glielo ha dato lei stessa prima di uscire. Millicent, Dionne e Randy. Randy insiste per staccarsi da lei e camminare per conto suo.

Ben presto il sole appare all'orizzonte e gli uccelli comin­ciano a lanciarsi richiami. Il Little Quilcene scorre giù rapido per la valle, si infila sotto il viadotto della statale, supera altri cento metri di sabbia e di sassi aguzzi e si riversa nell'oceano. Un'aquila si libra sulla valle, passa sopra al viadotto e comin­cia a volare avanti e indietro sopra la spiaggia. Un cane abbaia.

In questo preciso momento, scatta la sveglia di Sol.

Quella mattina Myers rimase in camera sua fino a che non li sentì andar via. Poi uscì e si preparò un caffè istantaneo. Guardò in frigo e vide che uno dei ripiani era stato svuotato per lui. Ci avevano appiccicato su un cartellino con il nastro

adesivo: RIPIANO DEL SIGNOR MYERS.

Più tardi si fece un paio di chilometri a piedi fino alla pic­cola stazione di servizio che ricordava di aver visto la sera prima e che aveva anche un piccolo alimentari. Comprò lat­te, formaggio, pane e pomodori. Quel pomeriggio, prima che arrivasse l'ora del loro ritorno a casa, lasciò i soldi dell' affit­to in contanti sul tavolo di cucina e tornò in camera sua. Più tardi, quella sera, prima di andare a letto, aprì il suo taccuino e su una pagina bianca scrisse: Nulla.

Adattò i suoi orari a quelli dei padroni di casa. La mattina restava in camera sua fino a quando sentiva Sol in cucina che preparava il caffè e la colazione. Poi lo sentiva chiamare Bonnie perché si alzasse, quindi loro due facevano colazio­ne insieme, ma senza parlare molto. Poi Sol andava in gara­ge e metteva in moto il furgone, faceva marcia indietro e se ne andava. Dopo un po', la macchina che dava un passaggio a Bonnie si fermava davanti alla casa, suonava il clacson e ogni volta Bonnie diceva: Arrivo.

Solo allora Myers usciva in cucina, metteva su l'acqua per il caffè e mangiava una ciotola di cereali. Ma non è che avesse molto appetito. I cereali e il caffè gli bastavano per la maggior parte della giornata, fino al pomeriggio, quando mangiava qualcos'altro, di solito un panino, prima che tor­nassero i padroni di casa, dopo di che se ne stava alla larga dalla cucina finché i due potevano essere lì o in soggiorno a guardare la tv. Non gli andava di fare conversazione.

Quando tornava a casa dal lavoro, per prima cosa Bonnie andava in cucina per fare uno spuntino. Poi accendeva la tv e aspettava che arrivasse Sol; allora si alzava e andava a preparare qualcosa da mangiare per tutti e due. A volte parlavano al telefono con qualche amico oppure andavano a sedersi sul retro, fra il garage e la finestra della camera di Myers, e parlavano della loro giornata sorseggiando tè freddo fino a quando si faceva l'ora di tornare dentro e accendere la tv. Una volta sentì Bonnie dire a qualcuno al telefono: Come pretendeva che facessi caso al peso di Elvis Presley quando all'epoca avevo perso il controllo del mio stesso peso?

Gli avevano detto che se voleva poteva venire a sedersi in soggiorno con loro e guardare la tv. Lui li aveva ringraziati, ma aveva detto di no, la televisione gli dava fastidio agli occhi.

Loro erano molto incuriositi da lui. Specialmente Bonnie: un giorno che era tornata a casa in anticipo e l'aveva sorpre­so in cucina, gli aveva chiesto se era sposato e se aveva figli. Myers aveva annuito. Bonnie lo aveva guardato e atteso che proseguisse, ma lui non aveva aggiunto altro.

Anche Sol era curioso. Che mestiere fa?, aveva voluto sapere. Così, per curiosità. Questo è un paese piccolo e cono­sco un po' tutti. Io classifico il legname su alla segheria. È un lavoro che si può fare anche con un braccio solo. Comunque a volte si libera qualche posto. Magari ci posso mettere una buona parola. Che mestiere fa di solito?

Suona qualche strumento?, chiese Bonnie. Sol ha una chi­tarra, aggiunse.

Però non so suonarla, disse Sol. Vorrei tanto essere capace.


Myers se ne restava in camera sua, dov'era impegnato a scrivere una lettera alla moglie. Era una lettera molto lunga e, a suo modo di vedere, molto importante. Forse la lettera più importante che avesse mai scritto in vita sua. Nella lette­ra stava cercando di spiegare alla moglie che gli dispiaceva per tutto quello che era successo e che sperava che un giorno o l'altro lei l'avrebbe perdonato. Mi metterei in ginocchio a chiedere perdono, se servisse a qualcosa.

Dopo che Sol e Bonnie erano andati al lavoro, lui sedeva in soggiorno coi piedi appoggiati sul tavolinetto e beveva il caffè leggendo il giornale della sera prima. Ogni tanto gli tremavano le mani e il giornale cominciava a muoversi riempiendo del suo fruscio la casa vuota. Di quando in quando squillava il telefono, ma non faceva neanche la mossa di andare a rispon­dere. Non era certo per lui, perché nessuno sapeva che era lì.

Dalla sua finestra sul retro della casa poteva risalire con lo sguardo la valle fino a una serie di ripide vette di montagna la cui cima era coperta di neve, anche se era ancora agosto. Più in basso, le pendici delle montagne e i fianchi della valle erano coperti di boschi. Il fiume attraversava il fondovalle, schiumando e ribollendo sopra le rocce e sotto i lastroni di granito fino a fuoriuscire dai suoi argini allo sbocco della valle, dove rallentava un po', come se avesse esaurito la sua energia, poi riprendeva forza e si tuffava nell'oceano. Quan­do Sol e Bonnie non c'erano, Myers se ne stava spesso sedu­to al sole su una sedia pieghevole nel prato sul retro e guardava su per la valle, verso le vette. Una volta vide un'aquila librarsi sopra la valle e in un' altra occasione un cervo che brucava sulla riva del fiume.

Un pomeriggio se ne stava seduto lì fuori così quando un enorme camion senza sponde si fermò nel vialetto con un ca­rico di legna.

Lei deve essere l'inquilino di Sol, disse l'autista dal finestrino.
Myers annuì.

Sol mi ha detto di scaricare questa legna sul retro che poi ci pensa lui.

Mi sposto subito, disse Myers. Prese la sedia e si spostò sul patio, dove rimase in piedi a osservare il camionista en­trare a marcia indietro sul prato, poi spingere qualche leva dentro la cabina finché il pianale del camion cominciò a sollevarsi. Dopo un attimo, i tronchi da due metri cominciarono a scivolare giù dal camion e ad ammonticchiarsi per terra. Il pianale si alzò ancora e tutti i ceppi rotolarono sul prato fa­cendo un gran baccano.

Il camionista toccò ancora la leva e il pianale tornò nella sua posizione normale. Poi mandò su di giri il motore, suonò il clacson in segno di saluto e se ne andò.

Che ci deve fare con quella legna là fuori?, chiese Myers a Sol la sera. Sol era in piedi davanti ai fornelli intento a frig­gere del farro quando Myers lo sorprese arrivando in cucina. Bonnie era sotto la doccia. Myers sentiva l'acqua scorrere.

Be', la sego e la impilo, se riesco a trovare un momento li­bero tra adesso e settembre. Vorrei farlo prima che ricomin­cino le piogge.

Magari glielo posso fare io, disse Myers.

Ha mai tagliato la legna prima?, chiese Sol. Aveva tolto la padella dal fornello e si stava asciugando le dita della sinistra con un tovagliolo di carta. Non è che posso pagarla. È qualco­sa che farei comunque io, appena avrò un fine settimana tutto per me.

Lo faccio io, disse Myers. Un po' di esercizio mi farà bene. Sa usare la motosega? E l'ascia e la mazza?

Me lo può sempre insegnare, disse Myers. Imparo in fret­ta. Tagliare quella legna era importante per lui.

Sol rimise la padella con il farro sul fornello. Poi disse: E va bene, dopo cena le faccio vedere come si fa. Ha già cenato? Perché non mangia un boccone con noi?

Ho già mangiato qualcosa, rispose Myers.

Sol annuì. Mi faccia mettere in tavola questa roba per me e Bonnie, allora, e appena abbiamo finito di mangiare le fac­cio vedere come si fa.

Aspetto qui fuori, disse Myers.

Sol non aggiunse altro. Annuì tra sé e sé, come se stesse pensando ad altro.

Myers prese una delle sedie pieghevoli, si sedette e guardò il mucchio di legna, poi risalì con gli occhi la valle fino alle montagne dove il sole risplendeva nella neve. Si era fat­ta quasi sera. Le cime avevano bucato alcune nuvole basse e pareva che ne uscisse della foschia. Si sentiva il fiume che scorreva a precipizio tra le macchie del fondovalle.

Ho sentito che parlavi con qualcuno, Myers sentì che Bonnie diceva a Sol in cucina.

Era l'inquilino, disse Sol. Mi ha chiesto se poteva tagliare quel mucchio di legna sul retro.

Quanto vuole per farlo?, s'informò Bonnie. Glielo hai detto che non possiamo pagare molto?

Gli ho detto che non possiamo pagarlo per niente. Lo vuo­le fare gratis. Almeno, così ha detto.

Gratis? Per un po' Bonnie non aggiunse altro. Poi Myers la sentì dire: Immagino che non abbia altro da fare.

Più tardi, Sol uscì e disse: Mi sa che possiamo cominciare, adesso, se ne ha ancora voglia.

Myers si alzò dalla sedia e seguì Sol fin dentro al garage. Sol tirò fuori due cavalletti e li sistemò sul prato. Poi portò fuori la motosega. Il sole era tramontato alle spalle del paese. Un'altra mezz'ora e si sarebbe fatto buio. Myers si srotolò le maniche della camicia e si abbottonò i polsini. Sol lavorava senza dire niente. Con un grugnito sollevò uno dei tronchi da due metri e lo piazzò sui cavalletti. Poi fece partire la motose­ga e lavorò di buona lena per un po'. La segatura volava dap­pertutto. Alla fine smise di segare e fece un passo indietro.

Si sarà fatto un'idea, disse.

Myers prese la motosega, infilò la lama nel taglio che Sol aveva cominciato e si mise a segare. Trovò il ritmo e lo mantenne. Continuò a spingere, chinandosi sopra la sega. In pochi minuti finì il taglio e le due metà del tronco caddero a terra.

L'idea è questa, disse Sol. Se la caverà, disse. Prese i due pezzi di legno e li portò sul lato dei garage.

Ogni tanto – non a ogni pezzo, ma magari ogni cinque o sei – li dovrà spaccare in due con l'ascia. Non si preoccupi di fare i pezzi piccoli. A quelli ci penso io dopo. Basta che mi spacchi un ciocco ogni cinque o sei. Adesso le faccio vedere come si fa. Mise in piedi il ciocco e con un colpo d'ascia lo spaccò di netto in due. Ci provi un po' lei, ora, disse.

Myers mise in piedi l'altro ciocco come aveva visto fare a Sol, poi fece calare l'ascia e lo spaccò.

Bene così, disse Sol. Mise i pezzi di legna accanto alla parete del garage. Li ammucchi fino a questa altezza e prose­gua fino a qui. Appena ha finito penso io a coprirli con la pla­stica. Comunque, non è mica obbligato a farlo, sa.

No, va bene, disse Myers. Ho voglia di farlo, sennò non glielo chiedevo mica.

Sol si strinse nelle spalle. Poi si girò e tornò in casa. Bon­nie era in piedi sulla soglia a osservarli. Sol si fermò e le mise un braccio attorno alla vita. Poi entrambi si misero a guardare Myers.

Myers raccolse la sega e li guardò. Improvvisamente si sentì felice e lanciò loro un sorriso. Sulle prime, Sol e Bonnie furono colti di sorpresa. Sol gli sorrise di rimando, poi anche Bonnie. Quindi rientrarono tutti e due in casa.

Myers sistemò un altro tronco sui cavalletti e riprese a segare per un po', fino a che il sudore sulla fronte cominciò a raffreddarglisi e il sole calò del tutto. La luce sotto la veranda si accese. Myers continuò a lavorare fino a finire il tronco che aveva sotto mano. Portò le due metà accanto al garage, poi rientrò, andò nel suo bagno a lavarsi, quindi si sedette in camera sua, al tavolo, e cominciò a scrivere sul taccuino. Stasera ho le maniche della camicia piene di segatura, scrisse. E un odore dolce.

Quella notte rimase sveglio a lungo. A un certo punto si alzò e andò alla finestra a guardare il mucchio di legna nel giardino, poi il suo sguardo fu attratto su per la valle fino alle montagne. La luna era in parte nascosta dalle nuvole, ma riu­sciva lo stesso a distinguere le cime e il bianco della neve, e quando aprì la finestra l'aria fresca e dolce si riversò nella stanza, mentre in lontananza sentiva il fiume scorrere impe­tuosamente per la valle.

Il giorno dopo riuscì a stento a trattenersi in camera finché li sentì uscire e poté finalmente ritornare sul retro e rimettersi al lavoro. Trovò un paio di guanti su un gradino. Doveva

averglieli lasciati li Sol. Segò e spaccò legna fino a quando il sole non fu proprio a picco sulla sua testa e a quel punto rien­trò, si preparò un panino e bevve un bicchiere di latte. Poi tornò fuori e riprese a lavorare. Gli facevano male le spalle e le dita gli si erano indolenzite; nonostante i guanti, gli si era infi­lata qualche scheggia sotto pelle e sentiva che gli stavano venendo le vesciche, ma tenne duro e continuò a lavorare. Aveva deciso di segare, spaccare e accatastare tutta quella legna prima del tramonto e riuscirci era diventata una questione di vita o di morte. Devo finire questo lavoro, pensò, altrimenti... Si fermò per passarsi una manica sulla faccia e asciugarsi il sudore.

Quando Bonnie e Sol tornarono dal lavoro quella sera – come al solito, prima Bonnie e poi Sol – Myers aveva quasi finito. Tra i cavalletti si era accumulato un bel mucchio di segatura e, a parte due o tre tronchi ancora in mezzo al prato, tutta la legna era ordinatamente accatastata, strato su strato, lungo il garage. Sol e Bonnie rimasero in piedi sulla soglia senza dire niente. Myers alzò gli occhi dal suo lavoro per un attimo e fece un cenno di saluto con la testa. Sol rispose con un altro cenno. Bonnie si limitò a fissarlo, respirando con la bocca aperta. Myers continuò a lavorare.

Sol e Bonnie rientrarono e cominciarono a prepararsi la cena. Più tardi, Sol accese la luce sul retro, come aveva fatto la sera prima. Appena il sole tramontò e la luna comparve so­pra le montagne, Myers spaccò l'ultimo ciocco, raccolse le due metà e lo portò al garage. Mise via i cavalletti, la sega, l'ascia, il cuneo e la mazza. Quindi rientrò in casa.

Sol e Bonnie erano seduti a tavola, ma non avevano ancora cominciato a mangiare.

Si sieda e mangi un boccone con noi, disse Sol.
Si sieda, insisté Bonnie.
Non ho ancora fame, disse Myers.

Sol non disse niente. Annuì. Bonnie aspettò e poi allungò le mani per prendere un vassoio.

Scommetto che ha finito tutto, disse Sol.
Myers disse: Domani pulisco tutta quella segatura.

Sol agitò coltello e forchetta sopra al piatto, come a dire: Lasci perdere.

Tra un giorno o due me ne vado, disse Myers.

Non so come, ma me l'immaginavo, disse Sol. Non so perché ho avuto questa sensazione, ma per qualche ragione, quando si è trasferito qui, ho pensato che non si sarebbe fer­mato a lungo.

I soldi dell'affitto non glieli rimborsiamo, però, disse Bonnie.

Ehi, Bonnie, disse Sol.
Non si preoccupi, disse Myers.
Sì che mi preoccupo, disse Sol.

No, va bene, disse Myers. Apri la porta del suo bagno, entrò e se la chiuse alle spalle. Mentre faceva scorrere l'ac­qua nel lavabo sentì che i due parlavano di là, ma non riuscì a capire cosa dicevano.

Si fece la doccia, si lavò la testa e si mise dei vestiti puliti. Passò in rassegna le cose sparse nella stanza che aveva tirato fuori dalla valigia solo qualche giorno prima, una settimana prima, e calcolò che gli ci sarebbero voluti non più di dieci minuti per rimetterle dentro e andarsene. Sentì il televisore che si accendeva dall'altra parte della casa. Andò alla finestra, l'aprì e si rimise a guardare le montagne, con la luna sopra – niente più nuvole, ormai, solo la luna e le vette imbian­cate di neve. Guardò il mucchio di segatura in mezzo al pra­to e la legna accatastata contro i recessi oscuri del garage. Rimase per un po' ad ascoltare la corrente del fiume. Poi andò al tavolo, si sedette, aprì il taccuino e cominciò a scrivere.

Il paese in cui mi trovo è molto insolito. Mi ricorda un posto di cui ho letto ma dove non ero mai stato prima d'ora. Fuori dalla finestra sento scorrere un fiume e nella valle die­tro la casa ci sono boschi e precipizi e montagne con le cime coperte di neve. Oggi ho visto un'aquila e un cervo e ho tagliato e spaccato sette metri cubi di legna.

Poi posò la penna e si tenne la testa tra le mani per qualche istante. Dopo un po' si alzò, si spogliò e spense la luce. Quan­do si mise a letto, lasciò la finestra aperta. Andava bene così.







Racconto tratto dalla raccolta Se hai bisogno, chiama. Minimum fax editrice, Roma, 2000. Traduzione di Riccardo Duranti.




Raymond Carver

Raymond Clevie Carver Jr. (Clatskanie, 25 maggio 1938 – Port Angeles, 2 agosto 1988) è stato uno scrittore, poeta e saggista statunitense.





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