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Sagarana La Lavagna Del Sabato 29 Settembre 2012

UNA CRITICA AL SISTEMA UNIVERSITARIO



Brani tratti dal saggio Il fallimento dell’università italiana


Simone Colapietra


UNA CRITICA AL SISTEMA UNIVERSITARIO



 

L’annacquamento dei piani di studio
 
Gran parte delle lauree del vecchio ordinamento avevano durata quadriennale, altre invece erano di cinque o sei anni.
Con la riforma del 3+2 il ciclo completo di studi dura sempre e comunque 5 anni. Questo significa che alcuni corsi di laurea “completi” sono stati allungati di un anno. Tra questi vanno elencati in maniera non esaustiva i corsi di laurea in economia, lettere, giurisprudenza, pedagogia, ma c’erano tanti altri corsi quadriennali che oggi sono in forma 3+2 o in 5 anni a ciclo unico (è il caso di giurisprudenza dove il 3+2 è stato subito smantellato, infatti oggi sono poche le università ad offrire ancora lauree triennali giuridiche accanto a quelle quinquennali a ciclo unico).
Annacquare il piano di studio non significa solo allungarne i tempi, con evidenti beffe agli studenti che ritarderanno di un anno l’ingresso nel mercato del lavoro, ma significa dover fare in 5 anni quello che prima si faceva in 4 a parità di programmi.
È a causa di questo annacquamento che molti esami sono stati spezzettati. Mentre prima gli esami annuali studiavano in maniera approfondita una determinata materia, oggi la si spezzetta, facendo degli esami più piccoli, spesso divisi ulteriormente in moduli. Prima in un corso quadriennale si sostenevano circa 5 esami all’anno per un totale di circa 20 esami. Oggi nel solo triennio se ne sostengono 20. Quello che succede non di rado è che i programmi di molti esami si sovrappongono, cioè trattano gli stessi argomenti più volte per il semplice motivo che fanno capo alla medesima materia.
Questo accentua il nozionismo universitario; in questo modo gli studenti non avranno una visione panoramica della materia, ma dovranno assemblare un minestrone di nozioni assimilate in tempi e modi differenti.
Un fenomeno purtroppo dilagante è quello di proporre una laurea specialistica che di specialistico non ha nulla. Le materie vengono trattate tutte nel triennio di studi, quindi alla specialistica vengono approfonditi degli argomenti solamente accennati nel triennio, ma in realtà nel biennio specialistico gran parte delle materie sono un semplice rimpasto di quelle già studiate. Spesso le nomenclature degli esami sono molto simili a quelle del triennio: capita che un esame abbia lo stesso nome di quello del triennio con l’aggiunta del termine “avanzato”, del numero “2”, oppure un medesimo nome formulato solo in modo differente.
Non riuscite a crederci, vero? Cercate in internet alcuni siti di diverse facoltà, confrontate i programmi di studio del biennio e del triennio. Noterete una cosa che avvalora questa tesi: sovente i libri usati nel biennio specialistico sono uguali a quelli usati nel triennio. A onor del vero bisogna dire che in alcuni casi nei due esami viene usato lo stesso libro ma sono studiati capitoli diversi, ma purtroppo molte volte si ripetono pedissequamente nozioni già studiate sugli stessi capitoli.
Questo significa che una buona parte di ciò che studia uno studente di una specialistica non è qualcosa di specialistico appunto, ma semplicemente un ripasso di cose studiate nel triennio (anche se parlerei di mera rilettura, visto che, come ho scritto sopra, si tratta delle stesse pagine!).
Questa faccenda dei libri uguali è quella più eclatante. Spesso le università sono attente a non cadere in questi errori proponendo libri diversi da quelli triennali. Anche qui è facile svelare il trucco: libri che in una determinata università sono specialistici li ritroviamo in altre università nei corsi triennali. Magia? No, cialtroneria!
Perché succede tutto questo? Perché in ogni caso è il concetto di laurea specialistica ad essere sbagliato. Ci sono corpus di discipline (come l’economia, la giurisprudenza, le lettere e tante altre) che non possono essere suddivisi in “basilari” e “specialistici”. Questa ottica è tipica degli studi di medicina, dove è effettivamente giusto e necessario dividere gli studi in basilari e specialistici, per il semplice motivo che un cardiologo non può essere tale se prima non ha imparato nei corsi di anatomia di medicina e chirurgia cosa sia il cuore e come funzioni. Quindi un cardiologo deve essere prima un medico, mentre per quale assurdo motivo uno studente di un’altra disciplina può sostenere certe materie indistintamente nel triennio o nella specialistica? Questo esempio è banale ma serve a rendere chiaro il concetto, e vale per tutti quegli ordini professionali divisi in “albo A” per laureati triennali e “albo B” per laureati magistrali, dove spesso gran parte delle competenze pratiche sono in comune. Se leggeste i regolamenti di alcune università trovereste cose oltre l’assurdo. In ogni corso di studi (triennale o specialistico) ci sono dei crediti liberi che lo studente può conseguire con seminari, corsi o esami a scelta. Nella lista degli esami a scelta capita di trovare un asterisco che nella nota specifica più o meno così: “È possibile sostenere l’esame X alla specialistica solo se non si è sostenuto alla laurea triennale”.
Questo avvalora la mia tesi: la specialistica in sé non ha senso in molte branche disciplinari. È solo una forzatura burocratica il cui fine è stato quello di uniformare tutte le facoltà. Ovunque ci si iscriva il numero di anni di corso è sempre lo stesso, ma il biennio specialistico non è un “gradino più su” rispetto al triennio nel momento in cui si trattano materie identiche!
In conclusione la mia opinione è questa: alla luce dei fatti, per avere una preparazione comparabile con quella del vecchio ordinamento quadriennale, uno studente, ad esempio, di economia dovrebbe sostenere l’intero triennio più alcuni esami della specialistica (quelli che non sono rimpasti). Il tutto richiede 3+1 anni, che guarda caso fa proprio 4!
Ancora una volta: ridateci il vecchio ordinamento!
 
Il sistema dei crediti universitari: un errore sostanziale
 
Il credito formativo universitario, abbreviato con l’acronimo di CFU, è l’unità di misura per stimare il carico di lavoro di uno studente. Secondo il sistema ECTS, 1 CFU corrisponde a 25 ore di lavoro, indipendentemente dal fatto che siano trascorse individualmente o attraverso la frequenza a tirocini, laboratori o lezioni. A dire il vero alcuni atenei impongono che almeno 7,5 ore debbano essere trascorse in aula o in laboratorio, ma questo è autonomamente regolato. Per conseguire una laurea triennale bisogna conseguire 180 CFU, mentre ne servono 120 per quella specialistica.
Il CFU è una novità per l’Italia. Nel vecchio ordinamento gli esami si “misuravano” in annualità e semestralità. Lo scopo dei CFU era quello di omogeneizzarsi con il resto dell’Europa, per facilitare la comparazione fra esami nel caso di mobilità di studenti e ricercatori. Essi naturalmente non influiscono sul voto dell’esame. Qualsiasi voto sia conseguito si avrà sempre il totale dei crediti per quell’esame.
La complicazione è che il sistema dei crediti è intrinsecamente errato. Non si può misurare in modo standard quanto uno studente studierà. Ci sono materie che per alcuni sono ostiche, e spenderanno diversi mesi per lo studio, mentre le stesse materie per altri possono essere abbastanza semplici e i tempi di preparazione saranno molto più brevi. Ancora una volta ci si trova a lottare con il fenomeno della “produzione in serie di laureati”. Con il sistema dei CFU si vuole suggellare questa ottica dell’università: dobbiamo essere tutti uguali.
Quindi il CFU è qualcosa che in sé non dice la verità. Nella gran parte dei casi l’effettivo carico di studio di un singolo sarà differente da quello corrispondente ai CFU ufficiali e agli sforzi di un altro studente più bravo in quella materia.
Tra l’altro il numero di crediti di un esame abbastanza spesso non corrisponde al carico di studio ma è funzionale alle logiche di potere accademico. Un docente cercherà sempre di avere un insegnamento con tanti crediti. In alcune facoltà, inoltre, tutti gli esami hanno lo stesso numero di crediti proprio per semplificare la parte burocratica. È evidente che un esame che prima era chiamato complementare oggi non può avere lo stesso peso in crediti di uno caratterizzante.
Un altro errore sostanziale è da riscontrarsi con il sistema di valutazione. Il ruolo del docente in sede di esame è quello di saggiare la preparazione di uno studente e attribuire un voto a tale preparazione. Se uno studente consegue un 18 secco vuol dire che avrà studiato sufficientemente quella materia, mentre se consegue un 30 e lode significa che oltre ad aver studiato abbondantemente ha anche approfondito la materia ed ha dedicato molto tempo. Sia il 18 che il 30 e lode avranno lo stesso numero di crediti: si ritiene che l’impegno profuso, misurato in ore, sia lo stesso anche se così non è!
Il sistema dei CFU continuerò ad attaccarlo duramente perché è uno dei principali responsabili del fallimento dell’università italiana. Nelle facoltà universitarie capita spesse volte che ad un medesimo esame si presentino studenti di differenti ordinamenti. Vi ricordo, come ho scritto qualche capitolo fa, che il nostro sistema universitario è stato vittima di due riforme 3+2, una del 1999 e un’altra del 2007. Nella quasi totalità dei casi gli studenti di ordinamenti diversi faranno lo stesso esame e si prepareranno sugli stessi libri, con la sola differenza nel numero di crediti. Quando nel 2007 ci fu la “riforma della riforma” molti piani di studio sono stati stravolti e diversi esami hanno cambiato il peso in crediti, pur rimanendo con lo stesso nome, lo stesso programma e gli stessi libri da studiare.
La conferma delle mie dure critiche è la stessa università a fornirla: quanto succede con gli esami attorno ai crediti dimostra come questo sistema sia fallace.
Per eludere queste sbavature alcuni docenti usano degli escamotage: se un esame da 8 crediti è diventato di 9, per quel credito aggiuntivo lo studente preparerà per l’esame un argomento a piacere o a scelta del docente in modo da “integrare” il carico di studio. Siamo davvero alla frutta.
L’ipocrisia del sistema dei crediti diventa ancora più palese quando le università per velocizzare i tempi di conseguimento di una laurea istituiscono degli “insegnamenti a crediti liberi”. Ogni studente per arrivare a quota 180 CFU, oltre agli esami del piano di studi, ha dei crediti spendibili liberamente. Come può conseguirli? Con dei corsi aggiuntivi, seminari, stage o esami in più. Questi insegnamenti a crediti liberi sono degli pseudoesami: nella prassi operativa si concorda un argomento a scelta con il docente e all’esame si discute esclusivamente di quello. La cosa scottante è che a volte il carico di CFU di questi esami a crediti liberi corrisponde a quello di un “esame vero e proprio”.
Non confondete gli esami a scelta con gli esami a crediti liberi.
I primi sono esami veri; nel piano di studi l’università può darvi la possibilità di scegliere una materia in un determinato ambito (per l’ambito giuridico potete studiare diritto tributario oppure diritto amministrativo, tanto per fare un esempio). Gli esami a crediti liberi invece non rientrano nel vostro piano di studi, ma sono esami che scegliete voi per “sprecare” (e il termine è azzeccato) altri crediti per arrivare a quota 180 (o 120 nel caso di specialistica). Al posto degli esami a crediti liberi potete fare stage o seminari, ma evidentemente è più facile che la scelta cada su questi pseudoesami per la velocità con cui si preparano.
Questo fenomeno dei crediti liberi ha delle ricadute economiche sugli atenei. Tenere dei corsi liberi o dei seminari per il solo fine di far conseguire crediti impegna delle risorse umane: un docente che dovrà tenere un certo seminario sottrarrà tempo alla ricerca e alla cattedra principale. Inoltre l’università dovrà pagare queste prestazioni al personale docente e non, con evidente dispendio di energie e di denaro che alimenta lo spreco accademico.
L’introduzione in Italia del sistema dei crediti ha portato per un breve periodo alla nascita di un sistema di lauree quasi istantanee. Le università, infatti, permettevano di conseguire dei crediti per il solo fatto di avere una comprovata esperienza lavorativa. In tal modo numerosi esami che trattavano materie professionalizzanti potevano essere evitati, dimezzando dunque i tempi di laurea. Questo privilegio è stato concesso a numerosi adulti che avevano uno o più lustri di esperienza professionale alle spalle. Attualmente il numero massimo di crediti attribuibili per esperienza lavorativa è pari al numero dei crediti liberi previsti dal piano di studio. Il fenomeno è dunque stato arginato.
 
Conclusione: conviene laurearsi?
 
Come avrete notato nelle pagine di questo libro sono stato spesso pungente con le mie goliardiche ironie. Le parole più utilizzate nel libro sono fallimento e fallito, in riferimento al sistema universitario. La mia non è rabbia ma soltanto indignazione. Ci sono menti brillanti che a causa di questo fallito sistema universitario sono costrette ad appiattirsi oppure a lasciare l’Italia. Il nostro paese faceva invidia a molti per la preparazione universitaria che forniva e vedere questo scempio universitario non è bello. In passato c’erano persone particolarmente dedite allo studio che prendevano anche la seconda laurea. Oggi questa cosa sarebbe ridicola, perché ormai la laurea ce l’hanno tutti. Ci hanno tolto anche questa soddisfazione!
La risposta, dunque, è decisamente no. Ai tempi di oggi non conviene assolutamente laurearsi. Se si ha specifico amore per la cultura e la propria famiglia può mantenere una persona agli studi allora probabilmente conviene iscriversi all’università. Fatto sta che la cultura è un qualcosa che si può coltivare anche in maniera autonoma. Su un piano più pratico l’università dovrebbe essere un approdo per chi è intenzionato a svolgere professioni per le quali è richiesta una laurea, altrimenti diventa un semplice parcheggio. Troppi giovani si diplomano e non sapendo cosa fare si iscrivono all’università per rimandare di qualche altro anno la scelta.
Un appello ai giovani che non sono all’università. Se a scuola non vi sentite a vostro agio, se capite che lo studio non è per voi, lasciate perdere l’università. Lo studio non è tutto nella vita. Ci sono tanti mestieri che non richiedono una laurea e che, in questi tempi di crisi, permettono di avere laute ricompense. Meglio un diplomato competente che un laureato mediocre, analfabeta e disoccupato. Non fatevi ingannare dalla golosità del manager strapagato in giacca e cravatta. Se vi iscrivete all’università con questo fine rimarrete delusi, perché purtroppo dopo la laurea tutti ci ritroveremo a dover affrontare il problema della disoccupazione. Siate sinceri con voi stessi. Se la scuola non vi è mai piaciuta e non c’è nessun ramo disciplinare che vi appassioni particolarmente allora forse il mondo accademico non è per voi. Non è discriminazione, è solo sincerità. Quand’ero piccolo volevo fare il musicista. Crescendo ho capito di non avere un particolare talento per gli strumenti e soprattutto ho capito che spendere tanti anni per lo studio della musica non mi avrebbe appagato. Oggi continuo comunque a suonare e a fare concerti con il mio gruppo, ma non sono andato al conservatorio e ho intrapreso una carriera del tutto lontana dalla musica. Questo discorso bisogna traslarlo all’università. Essere studente è un impegno serio. Bisogna avere talento o interesse per lo studio, altrimenti si alimenta questo circolo vizioso delle lauree vuote che sono dei semplici pezzi di carta. Non iscrivetevi all’università dicendo: “Tanto con il diploma non vai da nessuna parte, almeno con la laurea hai qualcosa in mano”. Niente di più errato. Anche dopo la laurea vi ritroverete con un pugno di mosche in mano. Purtroppo oggi la laurea non è più un punto di arrivo come in passato ma un punto di partenza. E questa è un’ulteriore conseguenza della massificazione universitaria. In passato solo i migliori arrivavano al traguardo, mentre oggi bene o male ci arrivano quasi tutti. Ci sono state persone che per accettare un lavoro dequalificato, pur di lavorare, hanno dovuto depennare la laurea dal curriculum. Non serve una società di soli laureati, perché come ho già scritto molti non meritano questo titolo. Meglio una società di analfabeti, diplomati e laureati nella quale ognuno occupi la propria veste con verità; è meno ipocrita di una società di soli laureati fra i quali si camuffano, come abbiamo visto, parecchi analfabeti e incompetenti.
Un appello a chi è già nell’università: non siate superficiali. Conosco troppe persone che superano esami senza aprire il libro. Tutti geni? Decisamente no. Studiano dalle slide o se possono si limitano a copiare in sede d’esame. Non siate degli studenti mediocri. Diceva un professore che la cultura si fa con il sedere. Niente di più vero. Bisogna stare seduti e leggere i libri, che sono l’unico mezzo di trasmissione del sapere. Aggirare il libro significa snaturare la laurea nel suo significato più vero. Nel contempo, però, non rilassatevi. Anche se gli esami sono tanti con un discreto impegno è possibile sostenerli tutti. Non rimanete all’università più del tempo previsto, laureatevi il prima possibile senza andare a discapito della qualità ovviamente. Oggi come avrete ben capito l’università è un mondo fallito, bisogna restarci dentro il meno possibile, a meno che non si decida di intraprendere la carriera dell’insegnamento. Il mercato del lavoro è spietato: vogliono laureati giovani, quindi siate celeri!
Inoltre un appello ai genitori: non costringete i vostri figli a studiare se non vogliono o non ne hanno le capacità. Se il sistema scolastico (assieme a quello universitario) è fallito è anche per colpa di alcuni genitori che hanno cercato in tutti modi di “far prendere il pezzo di carta al figlio” anche se questi non lo meritava. Molti genitori badano solo alla forma e non alla sostanza di un titolo di studio.
Infine un appello ai nostri governanti: ridateci il vecchio ordinamento!






Brani tratti dal saggio Il fallimento dell’università italiana. Dalla riforma scempio del 3+2 ad oggi, Cerebro editrice, 2012.




Simone Colapietra
Simone Colapietra è nato a San Severo (FG) nel 1991. Prossimo alla laurea in Economia e commercio, si dedica a diverse attività fra cui la scrittura di articoli a sfondo socio-economico che lo hanno portato a maturare la decisione di scrivere un intero libro sulla crisi del sistema universitario italiano. Durante gli ultimi anni di scuola è stato impegnato in diverse attività di politica giovanile apartitica sia a livello nazionale che europeo. Nel tempo libero si dedica alla musica in veste di batterista e cantante.




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