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Sagarana La Lavagna Del Sabato 15 Dicembre 2012

LES DEMOISELLES D'AVIGNON DI PICASSO






LES DEMOISELLES D'AVIGNON DI PICASSO



Il progetto di quest’opera fu tra i più faticosi per l’artista, che lavorò mesi su schizzi e disegni prima di giungere all’esecuzione definitiva. Il punto di partenza era un interesse per le figure di nudi, associato ad una malinconica preferenza per gli ambienti squallidi. Il tema: un gruppo di donne in un bordello di Avignon, una delle strade di Barcellona ove si praticava la prostituzione.

Il progetto iniziale prevedeva, oltre alle cinque figure di donne, anche due uomini: uno studente, scostando la tenda, entra nella stanza, portando con sé un cranio o un libro, dove le donne lo attendono assieme a un'altra figura maschile, forse un marinaio. Il risultato ottenuto sarà quello di un lavoro in cui forme taglienti e spigolose s'incastrano, delineando dei personaggi contorti e dove gli oggetti sembrano ribaltarsi verso lo spettatore. Quindi in sostanza la sintesi tra un'autocensura sul piano etico, riscattata da una forte carica contestativa sul piano estetico-formale.

La donna a sinistra sostituisce il giovane e, sollevando una tenda rosa, mostra un profilo somigliante a quello dei dipinti egizi, mentre le due figure al centro hanno maggiori affinità con gli affreschi medievali o con gli ex-voto. Non c’è sfondo in questa tela, né illusione spaziale; le linee chiare e scure segnano i contorni delle forme attraverso uno stile sintetico.

Al momento dell'ideazione e realizzazione Picasso non aveva dato un titolo all'opera, anche se col soggetto delle prostitute nude di un bordello, egli voleva dare, consapevolmente, un messaggio forte, di rottura.

Secondo William Rubin, dopo aver dipinto Les Demoiselles, non seppe proprio che farne.

Il primo titolo, Le bordel philosophique, ironico, paradossale, gli fu proposto da Apolinnaire, Jacob e Salmon, della cerchia di letterati e poeti di Montmartre, rimasti impressionati dalle novità formali della tela. "Bordello filosofico" in fondo sarebbe stato un titolo più giusto, più indovinato, proprio perché Picasso voleva mettere in evidenza, partendo dall'intensità degli sguardi, la capacità metafisica delle prostitute, in contrapposizione all'incapacità metafisica degli intellettuali, degli artisti postimpressionisti, proni ai voleri della borghesia trionfante.

L'altro titolo, quello che rimase definitivo, fu dato alla tela negli anni della Prima Guerra Mondiale.

Alle donne Picasso non vuol dare tanto una carica erotica, quanto piuttosto una forza aggressiva, di contestazione. Non può semplicemente dipingere donne normali che con facce scolpite abbiano sembianze primitive. Ha bisogno di utilizzare le prostitute, perché esse rappresentano, simbolicamente, le contraddizioni del suo tempo.

Il quadro è stato dipinto in maniera nervosa, esagitata, in tempi diversi. Peraltro appariva come incompiuto, come mancante di unità, e questo nonostante un lavoro frenetico realizzato su 16 schizzi, tra l'autunno 1906 al luglio 1907.

Le donne al centro guardano verso l'osservatore, in un atteggiamento poco comprensibile: non si capisce infatti se, in maniera naturale, realistica, si debba pensare a una messa in mostra della propria "merce", o se invece in questa ostentazione di sé non vi sia un atteggiamento di sfida, di provocazione.

Gli sguardi non sono ammiccanti, sensuali, ma seri, fissi, velatamente tristi, espressivi di un malessere esistenziale, come se i protagonisti fossero lì per forza.

Sembra di assistere a un film diviso in tre tempi. La donna di sinistra entra nella scena pronta a recitare ma non recita, perché rappresenta il passato che va negato; le due di centro recitano la loro parte senza molta convinzione, con pose rituali, poco sentite.

Le ultime due a destra invece sono la negazione della contraddizione: una negazione che non porta a una nuova positività, ma porta comunque a risolvere in qualche modo un problema esistenziale reale. Hanno una maschera, non vogliono mostrare i loro sentimenti o i loro stati d'animo. Vogliono apparire diverse da ciò che sono. Vogliono nascondersi ma restando sulla scena, vogliono assumere un'identità diversa. Non vogliono lacerarsi tra desiderio e realtà, tra essere e dover essere, voglio apparire "altro". Sono l'illusione di una diversità reale.

Perché prostitute? Perché sono più umane delle Bagnanti di Cézanne, meno anonime, più vicine all'identità maschile alienata. Nelle Bagnanti l'artista le osserva come un voyeur, quasi nascosto dietro una siepe. Qui invece le guarda di fronte, come fosse già entrato nel bordello.

Picasso è l'uomo-artista che nell'atteggiamento delle donne non accetta la propria alienazione ma se ne serve per aggredire il mondo, per uscire dall'anonimato insignificante. Il bordello è il rifiuto del mondo borghese, standardizzato, formale, legato a valori fittizi: è il luogo della ricerca di una diversa umanità, un luogo al negativo, come può essere un qualunque luogo in cui in definitiva prevalgono rapporti mercantili.
Nelle loro teste, che ricordano le figure dipinte da Picasso nel 1906 a Gòsol nei Pirenei, si possono riconoscere le caratteristiche fisionomiche di alcune sculture in pietra iberiche, preromane: i grandi e neri occhi a mandorla, le orecchie a spirale che, spinte in alto, assumono dimensioni gigantesche e fanno da cornice ovale al viso, in cui mascella e mento sono molto evidenti.
La testa della figura di sinistra, rappresentata di profilo con l'occhio frontale, deriva da una convenzione pittorica presente nell'arte egizia e nelle civiltà arcaiche conosciute anche attraverso la mediazione di Gauguin.

 

Picasso ha dimostrato che non è la prospettiva che dà senso alla figura-azione umana. Esattamente come nelle icone bizantine. Con una differenza però: mentre le icone acquistavano il loro senso all'interno di un contesto architettonico (il tempio o l'abitazione del credente), per cui non avrebbero potuto essere collocate in un museo e, oltre a questa collocazione, erano dotate di un background di tradizioni culturali-ecclesiali, in cui il pittore si riconosceva; in Picasso invece, nei cubisti e in genere in tutta l'avanguardia artistica del Novecento e, se vogliamo, in tutta la pittura occidentale a partire da Giotto, l'artista non è che un individuo isolato, alle prese col proprio genio creativo, che vuol cercare d'imporre all'attenzione di una società i cui criteri di vita sono fondamentalmente borghesi.
In particolare nei cubisti ma anche in tanta avanguardia artistica d'inizio Novecento, si trova spesso un'interiorità sofferta, una coscienza inquieta, la percezione di una inadeguatezza rispetto alla realtà borghese, che porta a espressioni formali o stilistiche di rottura, di contestazione, anche molto forti.

Nella loro produzione non sono più i soggetti (artistici) ad acquistare un senso all'interno di uno spazio-tempo definito, consolidato, ma è lo spazio-tempo a diventare funzione della mancanza di senso dei soggetti. Lo spazio-tempo si deforma perché l'uomo è deformato, alienato. Non è uno spazio-tempo deformato dall'importanza positiva dei soggetti, come nelle icone bizantine, dove i soggetti sono chiaramente riconoscibili, idealizzati sì, ma toccanti, persuasivi, coinvolgenti. In Picasso e nel cubismo i soggetti sono irriconoscibili, maschere di se stessi: lo spazio-tempo è deformato proprio perché viene percepito come senza senso e l'uomo vi si trova immerso in maniera casuale, come è casuale il significato della vita.

Picasso vuole porsi fuori da un contesto semantico vero e proprio, esattamente come i suoi personaggi, proprio perché egli si pone in antitesi allo spazio-tempo di quel periodo che va dalla fine dell'Ottocento alla prima guerra mondiale. I suoi dipinti - lui stesso lo dirà - avevano la funzione di esorcizzare la coscienza dai condizionamenti di un mondo impossibile.

Per un artista del genere, che vive l'ideologia del suo tempo in maniera sofferta, come artista sradicato, dal comportamento individualistico se non anarchico, comunque lontano dal sentire borghese convenzionale, che è pago di sé, dei propri successi, il contesto, la prospettiva, lo sfondo non hanno alcun valore.

Per un artista che rifiuta la logica convenzionale del post-impressionismo, non possono esserci prospettive definite, sicure, ma solo punti di vista relativi, osservatori plurimi, piani sfaccettati, asimmetrici, anzi del tutto irregolari, perché volutamente deformati, perché più vicini a un sentire ribellistico, che a una rappresentazione simbolica, realistico-borghese, logico-matematica: di Cézanne infatti Picasso prenderà la svalutazione delle forme realistico-figurative, ma solo dopo averle trasfigurate all'interno di tradizioni o meglio di suggestioni non occidentali, come la pittura egizia e la scultura tribale africana e iberica.

Le figure a destra, quelle che hanno creato il cubismo, violano tutti i canoni della prospettiva tradizionale occidentale, ma anche i canoni della mancanza di prospettiva della iconografia bizantina, poiché il soggetto è irriconoscibile: non è neppure una maschera tribale in cui l'africano possa riconoscersi, quale rimando a una cultura, a una tradizione, a un contesto ben definiti.

E' piuttosto una pura provocazione, una sfida lanciata all'osservatore, in fondo un gioco intellettuale, se non celasse dietro un dramma esistenziale, un vuoto da colmare.

Sono figure scomposte, come dipinte in più pose, in varie forme, figure in movimento astratto (come poi si ritroveranno anche in molti quadri futuristi), ma il cui movimento non è dato dallo sguardo interiore, dal movimento degli occhi, che qui non esistono in quanto sostituiti appunto da una maschera, ma dall'artificio astratto delle varie pose e movenze arbitrariamente giustapposte, sovrapposte tra loro, come in un montaggio scherzoso, sperimentale, certo da non presentare a un pubblico impreparato. Braque, quando vide il quadro, dichiarò: "Mi fece sentire come se qualcuno stesse bevendo benzina e sputasse fuoco".

E' come se i vari tentativi di provare la prospettiva si fossero conclusi con la sua totale negazione. Qui la prospettiva occidentale giunge davvero al capolinea. Dice Andrè Salmon: "Picasso era turbato! appoggiò le tele al muro e depose i pennelli… per giorni e notti intere disegnò, concretizzando dal punto di vista espressivo le idee astratte e riducendone il risultato alle componenti essenziali. Non vi fu mai ricerca più ardua...".

Per far sopravvivere l'io come maschera, Picasso è stato costretto a ricomporlo in maniera artificiosa, intellettualistica, usando una sorta di "prospettiva di multi livello", in cui più movenze del soggetto sono racchiuse in una sola. La sua pittura infatti vuole sì essere di rottura emotiva, esistenziale, ma sempre all'interno di un'operazione logico-concettuale, che eredita la lezione di Cézanne e dell'impressionismo francese, ma che nello stesso tempo si serve del primitivismo africano per ribaltarne i contenuti razionali.







Tratto dal sito: http://www.homolaicus.com/arte/picasso





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