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Sagarana La Lavagna Del Sabato 01 Giugno 2013

IL CALVARIO SCONOSCIUTO



Breve storia legislativa, giuridica e contrattuale degli insegnanti universitari di madrelingua in Italia


John Gilbert


IL CALVARIO SCONOSCIUTO



 

Premessa  
 
        Prima di tutto vorrei ringraziare i colleghi che hanno organizzato questo convegno per avermi invitato a parlare oggi. L’obiettivo della mia relazione è di fornire una contestualizzazione storica per la discussione che si svolgerà oggi sull’evoluzione del ruolo dell’insegnante universitario di lingua, e più precisamente della figura del lettore di madrelingua. Infatti, qualsiasi considerazione sull’insegnamento delle lingue nelle università non può prescindere dal ruolo fondamentale svolto da questi insegnanti di madrelingua, responsabili storicamente, ed ancora oggi, della quasi totalità dell’insegnamento linguistico negli atenei italiani. Nel tempo limitato a mia disposizione cercherò di tracciare in maniera purtroppo schematica i momenti salienti nella storia travagliata di questa figura, dalle sue origini fino ai giorni nostri, una storia assai complessa ed articolata e quindi mi scuso in anticipo per eventuali semplificazioni ed omissioni. Infine cercherò di indicare delle soluzioni concrete ed immediate per sanare la situazione attuale e potenziare la formazione linguistica negli atenei italiani.
 
La storia
 
        Nel 1958 la figura del lettore di madrelingua viene equiparata a quella dell’assistente universitario con la Legge 349. L’identità tra lettori ed assistenti continua poi fino al 1980 quando è approvata la Legge 382 per il Riordinamento della docenza universitaria. La nuova Legge 382 mette ad esaurimento la figura dell’assistente universitario e istituisce la nuova figura del ricercatore universitario. Nello stesso tempo l’art. 28 della Legge 382 crea una nuova figura di lettore di madrelingua che non viene più equiparata alla precedente figura dell’assistente e non gode più di un rapporto di lavoro subordinato di diritto pubblico a tempo indeterminato come prima. La nuova figura ha invece un rapporto di lavoro di diritto privato come libero professionista senza trattamento assistenziale e previdenziale con un trattamento economico deciso da ogni singolo ateneo e comunque non superiore allo stipendio iniziale del professore associato a tempo definito (ovvero tempo parziale) e con contratti individuali annuali che non possono essere rinnovati per più di cinque anni con lo stesso ateneo.
        In questa maniera si inizia la lunga storia del trattamento discriminatorio della categoria maggiormente responsabile per l’insegnamento delle lingue nelle università italiane, con un rapporto di lavoro precario ai danni della continuità didattica e agli interessi degli studenti. Purtroppo questo atteggiamento è assai indicativo della scarsa considerazione data all’insegnamento linguistico in Italia per non dire ai diritti di una categoria di insegnanti in gran parte cittadini stranieri.
        Nella prima parte degli anni ’80, i lettori insegnavano quasi sempre all’interno di corsi di lingua e letteratura straniera dove il titolare del corso era un professore di letteratura mentre la glottodidattica rappresentava una specie di cugino povero della letteratura, con le lingue insegnate dai lettori. Nel resto dell’Europa, spesso la figura dell’insegnante di madrelingua esiste ma viene utilizzata in maniera diversa. In paesi come la Germania, la Francia e la Spagna un numero assai ristretto di figure di madrelingua generalmente affianca un numero ben superiore di professori mentre in Italia la situazione è l’opposto. A partire dagli anni ’80 e fino ad oggi ci sono sempre stati relativamente pochi professori o ricercatori di lingua e numeri ben più alti di insegnanti di madrelingua, circa 2.000 negli atenei italiani oggi. 
        Negli anni ’80 e ’90 vengono creati i primi centri linguistici nelle università italiane e spesso i lettori delle facoltà, soprattutto le facoltà scientifiche, vengono trasferiti nei nuovi centri. I relatori che seguiranno in mattinata parleranno in maniera specifica dell’evoluzione dell’insegnamento linguistico in questi centri negli ultimi venti anni.
        A causa delle condizioni discriminatorie di lavoro, i primi lettori cominciavano ad organizzarsi e sindacalizzarsi già verso la metà degli anni ’80, iniziando ricorsi legali presso le corti italiane e la Corte di giustizia europea, ricorsi che negli anni avrebbero coinvolto più di mille insegnanti. Trattandosi di una prestazione di lavoro da libero professionista, spesso i lettori venivano pagati in ritardo e solo poche volte all’anno. A Firenze, per esempio, nei primi anni i lettori venivano pagati solo 2 volte all’anno. Non esisteva il diritto alla maternità e le lettrici spesso dovevano insegnare fino all’ottavo o nono mese per poi dover riprendere i corsi in tempi brevi dopo il parto. Cominciavano le prime agitazioni e i blocchi della didattica e degli esami, spesso con il sostegno degli studenti; basta come esempio ricordare la solidarietà dimostrata in molti atenei dal movimento studentesco de “la Pantera” nel ’89 e ’90.
        Verso la fine degli anni ’80 molti lettori cominciavano a raggiungere il limite del numero di rinnovi contrattuali possibili nella loro università e dovevano cercare altri lavori o altri atenei. Nel 1989 una sentenza della Corte costituzionale ha tolto il limite al numero di rinnovi contrattuali presso lo stesso ateneo ma era ormai troppo tardi per tanti di quelli che non avevano avuto rinnovato il loro contratto.
        Nel 1989 è arrivata la prima sentenza della Corte di giustizia europea che ha condannato il trattamento discriminatorio dei lettori. La sentenza ha riconosciuto la natura di lavoro subordinato e non di libero professionista e il diritto a contratti a tempo indeterminato. Così le università erano costrette ad assumere i lettori come dipendenti, portatori di diritti come gli altri lavoratori, incluso il diritto al trattamento assistenziale e previdenziale, ma continuavano comunque ad assumere i lettori con contratti precari annuali nonostante la sentenza. Poi nel 1993 è arrivata una seconda sentenza di condanna dalla Corte di giustizia europea per la mancata applicazione della prima sentenza in termini di contratti a tempo indeterminato. A questo punto l’Italia fu costretta a rispettare la sentenza ma la maggior parte degli atenei non hanno trasformato i contratti dei lettori in servizio in contratti a tempo indeterminato (a Firenze, però, sì). Invece hanno lasciato scadere i contratti annuali alla fine dell’anno accademico ’92-’93 e hanno costretto i lettori precedentemente in servizio a partecipare ad una nuova selezione pubblica secondo le norme di una serie di nuovi decreti di legge che hanno abrogato l’art. 28 della Legge 382 del 1980 (che aveva previsto il ruolo del lettore) e hanno creato una nuova figura chiamata “collaboratore ed esperto linguistico” ovvero c.e.l. I lettori che rifiutavano di rifare una selezione pubblica per una posizione come c.e.l. venivano licenziati in diversi atenei (a Bologna , Federico II di Napoli, Napoli Orientale, Salerno, Verona). In seguito la maggior parte di questi insegnanti sono stati reintegrati ai posti di lavoro con sentenze della magistratura.
        Questi decreti a partire dal 1993 sarebbero poi diventati l’art. 4 della Legge 236 nel 1995, una legge che rappresenta un palese tentativo di eludere la giurisprudenza italiana ed europea sopprimendo la figura del lettore di madrelingua e creando ope legis la nuova figura del c.e.l., senza il riconoscimento dei diritti acquisiti degli ex-lettori. In risposta ci sono state 3 risoluzioni di condanna del Parlamento europeo, nel 1995, 1996 e 2000.   Infine la Legge 236 prevede anche una verifica annuale del lavoro svolto dal c.e.l. e la continuità del rapporto di lavoro del c.e.l. è subordinata al giudizio positivo di quella verifica. Una verifica annuale che può portare al licenziamento non è prevista per nessun’altra categoria di lavoratori all’università o anche nel pubblico impiego in generale.
        Nel 1996 veniva firmato il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per il comparto università con un articolo specifico per gli ex-lettori e i nuovi c.e.l., l’art. 51. Più di mille lettori avevano firmato un documento chiedendo l’inserimento nel nuovo contratto nazionale del comparto università, ma i contenuti normativi e il trattamento economico rappresentavano un enorme passo indietro rispetto alle condizioni di lavoro già esistenti (e già insoddisfacenti) nella maggior parte degli atenei. Inoltre il nuovo contratto nazionale stabiliva solo un trattamento economico minimo, rimandando la questione alla contrattazione decentrata di ateneo. Già nel 1993 il primo contratto collettivo di ateneo era stato firmato a Firenze e negli anni, con le firme di un numero crescente di contratti di ateneo, le condizioni di lavoro e il trattamento economico cominciavano a differenziarsi sempre di più. Nel 1997 ci fu poi una terza sentenza di condanna da parte della Corte di Giustizia europea per aver escluso dei lettori dalla possibilità di fare domande per supplenze.
        Nel 1999 la legge 509 per la Riforma della Didattica ha stabilito il nuovo sistema “3 più 2”, con la nuova laurea triennale e quella specialistica biennale. Almeno per le lingue principali la letteratura viene finalmente separata dalla lingua, come nel resto del mondo. Per la prima volta con i nuovi ordinamenti la conoscenza (e la relativa verifica) orale e scritta di almeno una lingua europea è richiesta da tutti i nuovi corsi di laurea. Alcuni corsi di laurea triennale richiedono la padronanza di due lingue straniere e la conoscenza anche del patrimonio culturale delle civiltà di cui queste lingue sono espressione, oltre ad un’eventuale sufficiente competenza scritta e orale in una terza lingua. Anche nelle lauree specialistiche sono previsti simili requisiti. La legge poi auspica “l’europeizzazione” dei curricula e l’internazionalizzazione delle formazioni offerte. Però nella nuova riforma della didattica non appare mai il termine lettore/cel di madrelingua nonostante il fatto che quella figura sia indispensabile per raggiungere gli obiettivi didattici previsti dalla riforma nel settore della formazione linguistica.
        Sempre nel 1999 più di mille docenti universitari sottoscrivono un Appello del mondo accademico per "Riconoscere i lettori come personale insegnante in vista del nuovo contratto nazionale 1998-2001,” un appello da parte della docenza universitaria per riconoscere la professionalità e la dignità del lettore di madrelingua come personale insegnante.
        Successivamente nel 2001 ci fu una quinta sentenza di condanna dalla Corte di Giustizia europea per il mancato riconoscimento dei diritti acquisiti dei lettori. Poi nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto nazionale del comparto università 1998-2001 ci fu un parziale accordo nel febbraio 2000 per ciò che riguardava la definizione del mansionario dei c.e.l. ed il trattamento economico, poi smentito e ritirato dalla controparte. Ai lettori/c.e.l., diversamente da tutto il resto del pubblico impiego, non è stato riconosciuto nessun aumento salariale per il biennio economico 1998-1999. In seguito il biennio economico del contratto nazionale 2000-2001 (siglato 13.05.03) ha inserito un articolo specifico sui c.e.l., l’art. 22, che incredibilmente ha rinviato alla contrattazione decentrata di ateneo l’applicazione delle sentenze della Corte di Giustizia europea in materia di diritti acquisiti dei lettori, con un aumento economico totalmente insoddisfacente. Nello stesso tempo quel contratto nazionale ha creato una nuova figura, il tecnico-linguistico per svolgere “attività strumentali di supporto all’apprendimento linguistico”, da inserire fra le categorie del personale tecnico-amministrativo con posti riservati ai c.e.l. nei nuovi concorsi. La strategia di una parte della Conferenza dei Rettori (CRUI) è ormai palese: dopo il tentativo di sopprimere i lettori e sostituirli con i c.e.l., adesso si tenta di eliminare i c.e.l. trasformandoli in personale tecnico-amministrativo con la nuova figura del t.l. ovvero il tecnico-linguistico, come si sta già facendo in particolar modo a Padova e a Viterbo (ateneo del segretario della CRUI).
        In data 4 marzo 2004 la Commissione europea ha riferito l’Italia di nuovo alla Corte di Giustizia europea per la mancata esecuzione da parte dello Stato italiano della sentenza della stessa Corte del 2001 riguardante i diritti acquisiti degli ex lettori con la richiesta del pagamento di una multa di oltre 300.000 euro al giorno finché non venisse applicata la sentenza. La risposta del Governo italiano è stata la Legge 63 del 2004 che prevedeva, proporzionalmente all'impegno orario assolto, tenendo conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito
 (ovvero tempo parziale) esclusivamente per gli ex lettori di solo 6 atenei (la Basilicata, Milano, Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli). In seguito alcune sentenze della Corte di Cassazione (n.21856/2004 e 5909/2005) hanno esteso l’ambito di applicazione della legge a tutti gli atenei italiani ed anche ai c.e.l. non ex lettori. 
        Poi il 18 luglio 2006 la Corte di Giustizia europea ha rilasciato una nuova sentenza di condanna dell’Italia, con il pagamento delle spese legali, per non aver applicata la sentenza del 2001 entro i tempi indicati dalla Commissione. Però nello stesso tempo la Corte ha dichiarato che, contrariamente al parere della Commissione, con l’applicazione della Legge 63/2004 l’inadempimento dell’Italia non persisteva e quindi ha respinto la richiesta dell’applicazione della multa.  Il punto fondamentale emerso dalla sentenza comunque è che la Corte ha finalmente stabilito una base minima garantita a livello nazionale per il parametro di retribuzione e per il monte ore: per un rapporto di lavoro a tempo pieno, ovvero 500 ore, viene riconosciuto almeno il parametro economico del ricercatore a tempo definito. Tuttavia questo parametro economico minimo continua a non essere riconosciuto né dal contratto nazionale di lavoro né dalla maggior parte dei contratti integrativi di ateneo e in ogni caso non rappresenta il parametro economico indicato da gran parte della giurisprudenza in Italia, ovvero quello del ricercatore confermato a tempo pieno.
        Inoltre esiste ancora un problema gravissimo di precarietà fra i lettori/c.e.l. Oggi circa un quarto della categoria, ovvero circa 500 insegnanti (fonte MIUR, 2003), è ancora precario con contratti a tempo determinato in palese violazione dell’art. 4 della Legge 236/95 che prevede di norma il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con contratti a tempo determinato solo per esigenze temporanee. Inutile evidenziare i seri danni recati alla formazione linguistica degli studenti universitari a causa del persistere di questa situazione di incertezza e sofferenza da più di venticinque anni. Bisogna stabilizzare questi insegnanti e il Decreto del precedente Ministro Nicolais che riguarda l’attuazione delle Leggi Finanziarie per il 2007 e il 2008 per la stabilizzazione dei lavoratori precari nelle università ci fornisce lo strumento necessario: adesso che si può farla, bisogna verificare la reale volontà degli atenei di migliorare l’offerta formativa linguistica stabilizzando i troppi lettori/cel precari.
        Oggi, mentre si aggrava l’emergenza per l’apprendimento delle lingue straniere in Italia, i lettori/c.e.l. di madrelingua sono ormai da circa 30 mesi senza il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. La posizione ufficiale degli attuali rappresentanti della Conferenza dei rettori (CRUI) sta bloccando le trattative purtroppo, perchè pretendono che il contratto nazionale di lavoro trasformi la figura del lettore/c.e.l. in quella del tecnico-linguistico inquadrato fra le categorie del personale tecnico-amministrativo.
        Bisogna senz’altro dare una definizione definitiva dello stato giuridico dei lettori/cel dopo più di 25 anni, ma quella definizione non potrà certamente prescindere dal pieno riconoscimento professionale della funzione didattica svolta da questa figura, il cui compito primario è l’insegnamento della propria lingua madre come lingua straniera. Come già riconosciuto dagli organi europei, non si tratta della figura di un lavoratore tecnico-amministrativo ma bensì di un insegnante. L’accanito rifiuto di riconoscere questa semplice verità continuerà a portare seri danni alla formazione linguistica a livello universitario – e non solo lì, se consideriamo, per esempio, il ruolo che quella formazione gioca nella preparazione degli insegnanti di lingua nelle nostre scuole di domani.
        Purtroppo in troppi atenei è in corso ormai da qualche anno un tentativo di de-mansionamento delle attività didattiche svolte dai lettori/c.el. mentre troppo spesso si ricorre all’esternalizzazione, dando in appalto all’esterno la formazione linguistica e anche le verifiche, alle scuole private di lingua, alle agenzie formative, alle fondazioni, alle convenzioni, dove non si può garantire il controllo e la qualità che la formazione pubblica dovrebbe assicurare.
        In alcuni atenei invece si tenta di risolvere il problema della titolarità degli insegnamenti con il ricorso ai professori a contratto. Questi contratti con figure estranee agli atenei e sottopagate non possono offrire il numero di ore di didattica che viene offerto da un contratto di lettorato e spesso vengono stipulati con persone non di madrelingua e comunque di norma con persone (p.e. i nostri studenti neo-laureati o chi non è riuscito ad entrare in graduatoria come insegnante) che non possiedono il patrimonio di esperienza didattica e scientifica dei lettori.
        Ma la questione della titolarità dei corsi di lingua non dovrebbe rappresentare più un problema dopo l’invio di due note nell’estate del 2006 (Nota del 28.06.06 prot. 1232 e nota del 2.08.06 prot. 1430) da parte del Ministero dell’Università e della Ricerca a tutti gli atenei italiani per informarli che i lettori hanno diritto a partecipare ai bandi per gli affidamenti e le supplenze. Questa novità rappresenta una importantissima occasione per il miglioramento della offerta di formazione linguistica negli atenei italiani, novità che potrebbe risolvere in gran parte la mancanza di professori e ricercatori di lingua nelle facoltà e che potrebbe superare la pratica fallimentare dell’utilizzo di contratti di insegnamento a personale esterno per le esigenze di formazione e verifica linguistica nei corsi di laurea. Già dall’anno accademico 2006-7 diversi atenei in Piemonte, Liguria, Puglia, Lazio ed altrove hanno iniziato a coprire i loro corsi di lingua - sempre previa autorizzazione dei relativi organi decisionali - con affidamenti ai propri lettori/cel. Tuttavia troppi atenei, la maggioranza, continuano ad escludere a priori i lettori/cel dai conferimenti di affidamenti e supplenze in palese contrasto con le indicazioni del precedente Ministero.    Invece ci sono tutte le premesse necessarie per dimostrare una vera volontà di affrontare la grave crisi della formazione linguistica che allontana l’Italia da quel plurilinguismo che caratterizza il resto dell’Unione europea. Il problema dei lettori/cel di madrelingua è solo un aspetto di quella crisi ma certamente è emblematico e come anello nel ciclo formativo è un aspetto sicuramente centrale.
 
Conclusioni
 
        Per concludere, da tanti anni ormai esiste una “emergenza lingue straniere” in Italia; l’ultima denuncia della situazione da parte della Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Lingue e Letterature Straniere risale appena al 15 marzo scorso. In Italia persiste un monolinguismo di fatto che pregiudica il ruolo culturale, politico ed economico del paese in Europa e nel mondo. Questo analfabetismo linguistico è in netto contrasto con le esigenze della moderna società della conoscenza. Per capire le molteplici ragioni che hanno portato l’Italia ad essere il fanalino di coda dell’Europa per ciò che riguarda le competenze linguistiche dei suoi cittadini sarebbe necessario analizzare le carenze dell’insegnamento delle lingue straniere attraverso tutto il percorso formativo, dalla scuola dell’infanzia all’alta formazione universitaria.
        E se consideriamo la formazione linguistica nelle università, allora qualsiasi considerazione non può prescindere dal ruolo fondamentale svolto dagli insegnanti di madrelingua. Come avevo già notato nella mia introduzione, i lettori/c.e.l. sono ancora oggi la figura docente responsabile per la quasi totalità dell’insegnamento linguistico negli atenei italiani e sarebbe difficile negare che dal 1980 ad oggi la mancata definizione dello stato giuridico e il non riconoscimento del ruolo professionale effettivamente svolto da questi insegnanti hanno gravemente compromesso la qualità dell’offerta formativa degli atenei in termini di formazione linguistica, con conseguenti ripercussioni su tutto il resto del ciclo formativo.
                I lettori/c.e.l. dedicano circa un milione di ore di didattica ogni anno alla formazione linguistica negli atenei, svolgendo autonomamente i loro corsi nelle facoltà e nei centri linguistici in corsi di lingua ad ogni livello, sia di lingua generale che di lingua specialistica, inclusa la relativa programmazione, didattica e valutazione, e partecipando alle commissioni d’esame per gli esami di profitto nelle facoltà di lingue, lettere e filosofia, economia, scienze politiche e scienza della formazione e agli esami di idoneità linguistica nelle facoltà scientifiche. 
        Tuttavia sono ancora senza un profilo professionale definito, né per legge né per contratto nazionale di lavoro, una figura ancora oggi - dopo più di 25 anni - sottopagata e mortificata con un trattamento normativo ed economico del tutto disomogeneo a livello nazionale. Lo stipendio suggerito dal contratto nazionale mette loro ben al di sotto della “soglia di povertà “ indicata dai dati ISTAT. Ed è normale che quando un insegnante non ha la possibilità di percepire uno stipendio decoroso e si trova in uno stato di precarietà perenne, quando vede mortificata la sua dignità professionale ed umana da oltre 20 anni, non ha quella tranquillità di esistenza assolutamente necessaria per poter dare il meglio di sé nelle aule delle università italiane. Avviene una sorta di instabilità occupazionale istituzionalizzata.         Ovviamente questo stato di cose non può che avere una ripercussione negativa sulla formazione linguistica fornita agli studenti universitari. Bisogna finalmente risolvere questo problema strutturale della formazione linguistica in Italia, negli interessi soprattutto degli studenti come titolari di diritti, in primo luogo del diritto a servizi adeguati forniti dall’Università pubblica. Un’altra università è possibile se la vogliamo davvero.




John Gilbert

John Gilbert insegna all’Università di Firenze.





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