Torna alla homepage

Sagarana La Lavagna Del Sabato 08 Maggio 2010

OSCAR NIEMEYER - 102 ANNI DI GRANDE ARCHITETTURA



Mario Franco


OSCAR NIEMEYER - 102 ANNI DI GRANDE ARCHITETTURA



 

Oscar Niemeyer ha il suo studio all'ottavo piano di un palazzo affacciato sulla spiaggia di Copacabana. Nel salone di vetri e luce, ci sono pannelli con i suoi disegni con archi, ali d'uccelli, rotondità del corpo femminile, disegni flessuosi come molti suoi edifici. Cinquanta anni or sono, nel 1960, nel bel mezzo della foresta, Niemeyer costruì, in soli tre anni, un'intera città, la capitale che l'allora presidente Juscelino Kubischek voleva per un nuovoe grande Brasile. Oggi, a 102 anni, Niemeyerè un mostro sacro, con una propria fondazione con sedia Rio e San Paulo, nel 1988 ha ricevuto il Premio Pritzker, la Royal Golden Medal degli architetti inglesi, ha trasformato il volto del Brasile, ma ha lavorato anche a Parigi, Londra, Milano, Torino, Berlino, Mosca, Oslo, in Algeria e ora a Ravello. Ancora oggi resta un uomo di ampi interessi, e di sorprendente curiosità. Lo abbiamo incontrato con il gallerista Maurizio Siniscalco e con il fotografo Salvino Campos, che è stato a Brasilia per fotografare i preparativi del cinquantenario e che ci fa da guida e interprete. Finalmente, dopo anni di battaglie e di incomprensioni, è stato completato lo splendido Auditorium di Ravello, un'opera d'arte che sfiderà i secoli. Niemeyer, come nacque il progetto? «A Ravello il terreno era alto, l'edificio era in evidenza sulla montagna, ma da giù non si riusciva a vederne la struttura. Quindi dovevi fare un'architettura che penetrasse il paesaggio. La soluzione è stata quella di fare un'entrata un poco lontano dalla struttura, in modo che chi entra si rende conto dell'architettura mano a mano che cammina. Il resto è stato facile: fare una copertura gradevole, non tradizionale. Ma è stato semplice, perché... ho camminato molto: il luogo è molto bello, il panorama è fantastico. Io sono stato molte volte in Italia: è un paese fantastico. Uno degli edifici più belli che ho progettato è stato il palazzo della Mondadori, a Segrate. Quando ci arrivi, già da lontano ti accorgi che il palazzo ha qualcosa di differente dagli altri, ha un'originalità strutturale. Vorrei molto rivedere quell'edificio. A Milano lavorai con Giorgio Mondadori e a Ravello con Domenico De Masi, che è una persona sempre sorridente, lui ha capito che la vita è una farsa». Che cosa è rimasto in lei dell'impegno "rivoluzionario" che caratterizzò il suo apprendistato ai tempi di Getulio Vargas, quando con altri giovani architetti, tra il '36 e 43, predispose i piani architettonici per il ministero dell'Educazione e Salute? «L'altro giorno è venuto qui un giornalista chiedendomi: qual è la parola che lei preferisce? Io ho risposto: solidarietà. La vita è più importante dell'architettura. Noi vogliamo una società dove tutti si diano la mano, dove ci sia il piacere di aiutare l'altro. Noi non chiediamo niente di speciale: solo una società alla quale tutti possano prendere parte in uguaglianza. Una società più modesta, senza tante pretese. Non ci sono ragioni per avere grandi ambizioni. La vita è semplice e troppo corta. È importante conservare la solidarietà. Questo rende la vita migliore». Brasilia compie cinquant'anni. Salvino Campos ne sta documentando i restauri in vista delle celebrazioni. Come è cambiata la città in questi anni? «Brasilia era stata studiata per 500.000 persone, ma subito dovette sopportare una folla di almeno due milioni, con problemi incredibili. Oggi è ancora più affollata e la cintura intorno alla capitale, nata dall'immigrazione, è molto più grande della stessa Brasilia. Una città in grado di accogliere tutti è un'utopia. C'è chi chiede un intervento politico. Ma le politiche di restrizione basate sulla forza non mi piacciono. Sarebbe bene che chi ha abbandonato la coltivazione dei campi ritornasse alla sua terra, ma dovrebbe trovare una vita migliore nel luogo di nascita». Lei è famoso per aver saputo armonizzare architettura e paesaggio e per aver portato libertà e fantasia nei temi razionalisti di Le Corbusier, che lei ancora considera il suo maestro. Come ha vissuto e applicato la grande innovazione del Bauhaus? «Moderando il concetto di "funzionalità" a vantaggio della fantasia. Penso che il cemento armato abbia offerto a noi architetti un campo sterminato di possibilità. Nel Rinascimento, per esempio, non si riuscivano a costruire cupole maggiori di 40 metri. Le tecniche non lo permettevano. Nel Palazzo dei Dogi, a Venezia, l'architetto, non avendo il cemento armato, si avvalse del legno delle navi per la costruzione. Oggi il cemento armato ci ha aperto maggiori possibilità e nuove responsabilità. Il gioco tra pieno e vuoto, spazio libero e area occupata è la caratteristica dell'architettura di oggi». Ora che cosa sta facendo? «Con mia moglie abbiamo fondato una rivista trimestrale che parla di filosofia e di architettura: l'idea di fondo è di cambiare il mondo e renderlo più equanime. Si occupa del contesto geopolitico latinoamericano, delle difficoltà dell'oggi e della fiducia nel futuro».




Mario Franco
Mario Franco




    Torna alla homepage home