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Sagarana La Lavagna Del Sabato 12 Giugno 2010

LE MASCHERE DI DIO: VIE ARCHETIPICHE



Guido Monte


LE MASCHERE DI DIO: VIE ARCHETIPICHE



 

Uno dei miei migliori compagni di viaggio, lungo il mio difficile e differente cammino del cosmopolitan multilingualism, è stato il libro The Masks of God: Creative Mythology, di Joseph Campbell.
Quando una via senza tracciato trasforma la realtà, l’arte diventa metafisica. Tutto ciò che esiste è per Campbell forma-simbolo del mito, nelle relazioni macrocosmo/microcosmo, trascendente/immanente, empirico/intelligibile; l’anima si riflette come in uno specchio e percorre il ponte per l’immortalità (Mundaka Upanishad); la Forma delle forme unisce e plasma frammenti apparentemente lontani ma in realtà segretamente interconnessi al di là del visibile. Tutto si confonde perchè “tutto è congiunto con tutto, e contenuto in tutto incomprensibilmente e pur tuttavia in maniera precisa” (Scholem, Zur Kabbala und ihrer Symbolik, 1960).
Campbell riesce in modo sorprendente a condensare e delineare una sorta di Età Globale – attraverso percorsi evolutivi culturali – in modo innovativo rispetto al passato, senza che il “sé originario” dell’uomo sia sommerso dal sé culturale e convenzionale (secondo il pensiero di Ortega y Gasset). La ‘storia cosmica’ campbelliana, infatti, cammina lungo analogie mitologiche, simboliche e archetipiche dove le eredità classiche, medioevali, celtico-germaniche e orientali si mescolano, reinterpretate alla luce di un unico filo conduttore, nello spazio-tempo di una struttura fuori da organizzati contesti tradizionali. L’universalità armonica e l’incognita da cui ogni simbolo deriva pongono su un piano equivalente Occidente e Oriente, anche se, in termini d’identità e relazione, differenti sono i modi in cui si esplica l’Uno nei suoi molteplici aspetti. Nel mondo occidentale tutto si spiega in termini di un qualche rapporto, invece la formula dell’Oriente si traduce nelle parole sanscrite tat tvam asi (“tu sei quello”).
 
Ma se differente sembra la soluzione, la “legge” del simbolo (dal Ding-an-sich kantianoal Brahman delle Upanishad, dal śunyatā buddista al Senza-Nome del Tao Tê Ching) si manifesta comunque sempreall’interno del fondamento di un’unica idea primigenia, archetipica; essa non deve essere spiegata ma descritta, contemplata. Mitologia, metafisica, teologia (tanti “messaggi nella bottiglia” dice Campbell), nel miscuglio dei saperi, diventano parola dell’alchimista-scrittore, “with all the old nocturnal smell” dice Eliot. E sempre Eliot ben prima di Campbell ci ha ricordato che “If all time is eternally present / All time is unredeemable”, e che tutto è “dust in the air suspended” (è scomparsa dunque la differenza tra presente, passato e futuro, che così si contengono l’uno nell’altro).
 
Lo Spazio e il Tempo trovano nell’archetipo della Dea Madre la loro fonte generatrice, e divengono anelli di un unico sistema di stati spirituali.
Secondo il linguaggio junghiano definiamo archetipi i “contenuti dell’inconscio collettivo, idee originarie, primigenie, immagini comuni, parafrasi esplicativa dell’eidos platonico” (Jung, The Archetypes and the Collective Unconscious).
Tali immagini sono anche “espressione simbolica dell’interno e inconscio dramma dell’anima”, gole di montagna attraversate dalla corrente della vita (Jung).
E la concezione archetipica si fa dinamica, quindi, anche in termini linguistici – secondo il concetto borgesiano di un’unica Biblioteca come fondamento per una Lingua universale – e nell’azione di ogni artista gigante del pensiero creativo con i suoi fenomeni originari, poiché “al suo spirito la ricchezza delle forme non si offre diversamente che all’orecchio il confuso mondo dei suoni” (Benjamin, Schriften, 1955); gli antichi vivono con noi e il tempo non ha più importanza, ognuno di noi si tuffa nello stato originale del suo Essere.
Gran parte del patrimonio letterario testimonia queste parole, (cito soltanto Joyce, Mann, Eliot, tra i molti, perché sostanziale è il simbolismo delle loro opere e paralleli per molti aspetti sono i loro cammini); oggi più che mai, infatti, l’intertestualità dei linguaggi culturali può essere maggiormente compresa, linguaggi che non sono più “torri” all’interno delle singole culture del mondo – ricorda Campbell – ma tutti dentro il buio della“foresta”, la ou il la voient plus espesse (La Queste del Saint Graal).
La scelta della selva come via senza tracciato mostra l’attenzione inevitabile di Campbell per Dante, non casualmente lo studioso sottolinea come nel cammino della Commedia sia Virgilio, poeta pagano, a guidare un cristiano nei meandri della selva oscura, “ciò che muove in segreto” (Upanishad). Oscurità e Luce sono cosmici e primordiali ma fanno anche parte della nostra vita quotidiana, come nelle pagine bibliche.
In quest’ottica tra visibile e invisibile, troviamo un accordo universale tra mondi esterni e interni della nostra mente, collegamenti misteriosi e antichissimi “in un campo di macchie sparse dal cieco caso” (Schopenhauer). La storia dell’umanità e dei suoi linguaggi, l’histoire du monde, i suoi simboli e archetipi metacomunicativi, sono davvero polvere nell’aria ma contemporaneamente il filo dell’essenza misteriosa dell’Essere, perché le cose “indeed seem… but – dice Amleto – I have that within, which passeth show” (Shakespeare, Hamlet); ognuno di noi può ricordarle, portandole alla luce dal fondo della propria mente archetipa attraverso le parole, e accorgersi che esiste una sola unica mente misteriosa, che si manifesta in tanti frammenti di un unico mosaico, di un unico pensamiento de un sueňo che prima era un Sonno senza Sogni.
 
“Cada cosa es infinitas cosas” ci ha insegnato Borges, “ogni cosa è infinite cose”; e allora alla domanda di Hugo che fa chiedere a un montanaro spagnolo “Que linguas habla? (che lingue parla?)”, possiamo rispondere con lui: “Todos (tutte)”, perfino dans les larmes di ogni giorno della nostra vita.
 




Guido Monte
Guido Monte vive in Italia ma scrive e collabora soprattutto con riviste statunitensi, in particolare sulle forme del linguistic blending e del cosmopolitan multilingualism, attraverso cui cerca di dimostrare l'intrinseca unità archetipico-emozionale di fondo delle letterature e culture del mondo.




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