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Sagarana La Lavagna Del Sabato 08 Gennaio 2011

ERRI DE LUCA SCRITTORE D'ITALIA DEL DECENNIO



Giorgio De Rienzo


ERRI DE LUCA  SCRITTORE D'ITALIA DEL DECENNIO



 

Sono dieci anni che scri­vo, nello spazio breve di novecento battute, le «pagelle» domenica­li: cioè il giudizio su un libro, reso più chiaro da un voto. Le regole pattuite erano chiare. La pagella doveva solamente essere dedicata ai romanzi entrati in classifica. Era una scommessa che pareva destinata a un rapido tramonto. In un mondo culturale confu­so e ambiguo, in cui gli scrittori fanno i critici (e viceversa), in cui è facile che s’imponga una comoda legge di scambio (io recensisco te, tu recensisci me), la pagella diventava un qualco­sa di estraneo o un semplice gioco. Invece si è imposta per la sua chiarezza di giudizio nel voto motivato. Ho vinto la scom­messa. La «pagella» ben presto è stata apprez­zata dai lettori (ho un riscontro sicuro), rispet­tata dal giornale (ho agito sempre in totale li­bertà nello scegliere i libri e non sono mai stato censurato), accolta spesso con dispetto dagli scrittori (mi è costata inimicizie a iosa) e — co­me è giusto — snobbata (apparentemente) da­gli editori, contenti comunque dei dati di vendi­ta.
Dieci anni sono tanti e permettono di fare un bilancio del primo scorcio del terzo millen­nio sulle opere che hanno ottenuto il consenso di un pubblico ampio, ma volta per volta etero­geneo. Mi limiterò ai romanzi italiani. Nel mio catalogo ci sono, per forza di cose, libri di scar­so conto letterario. Le storie rosa della Casati Modignani, rese più insopportabili dall’accosta­mento a problemi sociali, affrontati di struscio con una banalità irritante. Quelle vuote per eter­ni adolescenti di Moccia, che ha almeno il buon senso di non prendersi troppo sul serio. Le vicende stralunate per ragazze svitate di Pul­satilla. La (supposta) autobiografia pornografi­ca di Melissa P., subito caduta nell’oblio dopo la straripante fortuna del libro d’esordio. L’archivio delle pagelle è pieno di romanzi gialli. In questo scaffale merita un posto a parte Andrea Camilleri, capace di dare nel giro di un solo anno un piccolo capolavoro come La gita a Tindari e un libro scadente come Il re di Gir­genti. Camilleri, nella propria straordinaria fe­condità, fa caso a sé. È uno scrittore tardivo che, dopo essere stato accolto dalla grande edi­toria con Un filo di fumo nel lontano 1980, ne è stato rifiutato per anni. Quindi può esserci in lui il gioco di una piccola (e allegra) vendetta: tanto è vero che le sue opere peggiori (Il calore del sole, per esempio) le ha affidate a Mondado­ri e non a Sellerio che ha saputo apprezzarlo. Per il resto il giallo o si è impigrito in un’imi­tazione di quello americano (il caso di Faletti soprattutto) o ha trovato una convincente nuo­va via all’italiana: è accaduto per le storie lievi nella scrittura, ma compatte nella struttura del­la Oggero, e ancor più per la narrativa variegata di Perissinotto, che usa il genere per mallearlo in discorsi più complessi.
Ci sono poi scrittori che traggono libri da esperienze professionali: il pesante De Cataldo e il leggero Carofiglio (ma­gistrati), fino al più intrigante Carrisi, crimino­logo, con il recente Suggeritore. Forse da questi romanzi di genere sono venu­te le cose migliori della nostra letteratura del­l’ultimo decennio: si tratta comunque di opere di dignitoso artigianato come quelle, sia pure discontinue, di Biondillo, Carlotto e Vichi. Così di ottimo artigianato (e anche di dottrina) sono tutti i libri di ricostruzione sulla storia antica di Manfredi. Il resto, a parte qualche rara eccezione, offre per lo più il panorama un po’ squallido di scrittori prestigiosi (o popolari) ormai bolsi o privi di idee, legati a clan che sanno imporli e sostenerli. Eco nelle oltre quattrocento pagine de La mi­steriosa fiamma della regina Eluana dà un ro­manzo fatto di niente: riempito da immagini stereotipe e frasi sapienti, da brani di vecchie canzoni e da stantie barzellette. Citati nelle Scintille di Dio , propone una raccolta di saggi tra letteratura, religione ed essoterismo, spac­ciata dall’editore come romanzo: un libro di schegge molto dotte che non sanno organizzar­si in una struttura e sono scandite in una nenia di endecasillabi.
La Tamaro ha portato in libre­ria prediche religiose ed ecologiche, dove la semplicità della scrittura è soffocata da un uggioso tono di antica saggezza. Non convince, se non nelle prime quaranta pagine, il romanzo destrutturato dell’esordiente Giordano. Come non convincono le storie sfilacciate della Co­mencini e quelle tragiche nelle intenzioni, ma melodrammatiche negli esiti della Mazzantini. Un vero disastro sono i libri della Mastrocola, per lo più storie strampalate ambientate nel mondo della scuola. Le saghe familiari della Agus cadono troppo spesso nei luoghi comuni e la loro scrittura, pur nella semplicità, non rie­sce a trovare equilibrio. Di poca sostanza, pur se provocatorio e astuto, è stato l’esordio di Pi­perno, consapevole se non altro dei propri limi­ti. Invece Scarpa e Scurati sopravvalutano il lo­ro talento e si perdono in storie sconclusionate e spesso sciatte nella scrittura, mentre altri più anziani scrittori che hanno pur dato buoni libri ai loro esordi si accomodano sugli allori di un successo e cercano sperimentazioni raramente azzeccate: da Cerami a Tabucchi, da De Carlo a Benni, da Baricco ad Ammaniti. Brizzi, dopo l’esordio a suo modo originale di Jack Fruscian­te è uscito dal gruppo , ha perso il senso del suo linguaggio e cade nel kitsch: parla di una «luce robustosa», di un «sole roboante».
Persuadono molto più le opere di narratori che approdano alla scrittura senza una cultura canonica alle spalle e dunque non protetti (o sviati) da modelli letterari consunti. Penso alle storie di montagna di Mauro Corona, dense del­la forza di chi è abituato a convivere e combatte­re con le asprezze della natura o a incantarsi di fronte alla sua potente bellezza; a quelle poeti­che di Pino Roveredo su una vita sbalestrata da cui si è usciti con fatica; al libro coraggioso di denuncia di Roberto Saviano. Ma penso soprat­tutto ai libretti esili ma profondi di Erri De Lu­ca: il solo vero scrittore di rango che per ora ci abbia dato il Duemila. Per il resto questi dieci anni ci hanno consegnato le ultime fatiche di scrittori eccellenti. Due su tutti: Giuseppe Pon­tiggia e Mario Rigoni Stern, che però apparten­gono al secolo scorso, non solo per la loro for­mazione culturale, ma soprattutto per quel sen­so sacrale della scrittura e quel rispetto profon­do del lavoro letterario, che ormai si sono per­duti.




Articolo tratto dal Corriere del Mezzogiorno dell’11 dicembre 2009.




Giorgio De Rienzo
Giorgio De Rienzo




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