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Sagarana La Lavagna Del Sabato 05 Marzo 2011

ALTAN



Il suo segreto? Cogliere in un disegno e uno slogan le complicazioni di un'epoca. Con le sue delusioni e i suoi mali. In un libro-antologia, il meglio delle sue vignette


Michele Serra


ALTAN



 

Su Altan è stato scritto molto, anzi moltissimo, da giornalisti, critici, intellettuali, prefatori, nel tentativo di spiegare la sua quasi inspiegabile arte, che con una pratica semplice - la vignetta, rappresentazione di un istante - riesce a evocare le complicazioni di un'epoca intera, con tutta la profondità dei suoi mali, dei suoi inganni e soprattutto delle sue delusioni.

Nessun autore satirico contemporaneo ha riscosso altrettanta (meritata) ammirazione, nessuno è così difficile da collocare, da analizzare, da interpretare. Mettiamola così: Altan affascina anche perché non si capisce bene "da dove viene". Quasi tutti i satirici hanno una matrice riconoscibile, una scuola di provenienza. Ci sono i politici-politici, cronisti implacabili del potere e del sottopotere. Ci sono i surrealisti-divaganti, quelli per i quali la cronaca è appena un pretesto. Ci sono i polemisti iperfaziosi, formidabili per l'accanimento, e i fine-dicitori, che preferiscono lo humour ai toni alti. Altan sfugge a ogni definizione, ha qualcosa di estraneo e quasi di alieno al panorama giornalistico e satirico, le sue vignette paiono concepite in un luogo eccentrico dal quale le cose italiane appaiono, al tempo stesso, molto più ridicole e molto più raccapriccianti di come le avevamo capite fin qui.

Ogni sua vignetta, anche la meno memorabile, colpisce e affascina perché "non ci avevamo pensato", o comunque non ci avevamo pensato con la stessa radicale precisione. Come se noi lettori fossimo troppo immersi nella materia trattata (merda, direbbe Altan) per poterla inquadrare con la stessa freddezza, la stessa spregiudicatezza e - in fin dei conti - anche la stessa serenità.

I suoi biografi insistono sulla sua formazione sudamericana, certamente influente (anche graficamente). Ma Altan è tornato tra noi da una quarantina d'anni, che non sono pochi, e per quanto periferico e "diversamente italiano" sia il suo Friuli, nel quale vive ben radicato, non possiamo certo considerarlo come un rappresentante (emerito) della stampa estera. Diciamo, allora, che è un italiano che è riuscito a conservare, per certi suoi misteriosi canali, una lucidità di analisi e un distacco critico raramente concessi a chi disegna e scrive nel mezzo della mischia.

Francesco Tullio Altan Si dice spesso, giustamente, che il segreto del buon satirico è "la giusta distanza". Troppo lontano dal centro, dal flusso delle passioni e dal cozzo delle idee, si perde di vista il bersaglio. Ma troppo vicini al centro se ne è risucchiati, con il rischio che la satira diventi una forma appena deviata, appena estrosa, del tristo menù politico di ogni giorno. Questo problema Altan deve averlo risolto, e da molti anni, grazie a una sua formula segreta e perfetta, che ce lo fa riconoscere come persona bene informata dei fatti (legge gli stessi giornali che leggiamo noi, vive nello stesso paese nel quale viviamo noi) e allo stesso tempo mai subalterno alla cronaca, al falso movimento della politica come la raccontano i titoli di giornale. Rarissime le sue vignette su evidenti "fatti del giorno", frequentissime quelle in cui mostra di avere ragionato e lavorato sulle tendenze carsiche, gli avvenimenti di lunga maturazione, le cose della vita così come le forma e le deforma la storia, non la cronaca.

In questo, il lavoro di Altan è profondamente e utilmente anti-giornalistico. I suoi omini e donnine, operai e commendatori, generali e politici, hanno il privilegio di esprimersi, nel bene e nel male, al riparo degli inganni momentanei, del chiasso mediatico. Sono protagonisti, o vittime, o indicatori di qualcosa che avvertiamo subito come più profondo e più vero, meno volatile. Qualcosa di perfettamente reale, eppure non comunemente trattato dai ricettori classici della realtà, che per convenzione sono i media. È questa la ragione fondamentale (a parte la qualità esilarante delle battute, e di quel disegno tondo ma ferocissimo che identifica l'umano con il ridicolo) per la quale la gran parte del lavoro di Altan "non ha tempo", le sue cose possono essere lette a distanza di anni e hanno ancora ritmo e respiro contemporanei, sue battute degli anni Ottanta ci frustano anche nei Dieci.
parte questa invidiabile "classicità", Altan si distingue anche per un'altra qualità, più unica che rara, del suo mondo di carta. Per quanto ripugnanti, laidi o miserabili siano i suoi omini, proviamo nei loro confronti (con qualche eccezione...) quasi una corrente di stima. I loro pensieri hanno una dignità rarissima, che è quella della verità. Nei grandi scrittori, nel grande cinema, in rare conversazioni, possiamo provare questo brivido speciale: che da qualcuno, da qualcosa, viene toccato il profondo delle cose, il loro significato finalmente svelato. Gli omini di Altan sono, quasi senza eccezione, degli svelatori. Siano generali ipocriti e assassini, siano donne sensuali e ciniche, massaie scazzate, operai sconfitti, giovanotti menefreghisti, incarnano la potenza della verità. In un mare di chiacchiere, parole a raffica, titoloni sguaiati, illazioni gratuite e polemiche piccine, le poche e precise parole dei personaggi di Altan assumono un peso, e quasi una solennità, che ci risarcisce di molti sprechi di tempo e di attenzione.

Il peggiore e più losco dei suoi figuranti ci dice, a proposito della nostra vita e della nostra epoca, molto di più di un talk-show di tre ore.




(Tratto dal sito L’Espresso on-line.)




Michele Serra
Michele Serra




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