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Sagarana La Lavagna Del Sabato 09 Luglio 2011

IVAN ILLICH, ABITARE L'UTOPIA



Franco La Cecla


IVAN ILLICH, ABITARE L'UTOPIA



 

Quella che segue è la testimonianza di un incontro con Ivan Illich in occasione della festa che organizzò per gli amici nel suo settantesimo compleanno.
Ivan Illich parla ad un pubblico composito. Siamo qui perché ci ha invitato ad una specie di festa dove, compiuti i settant'anni ha voluto mettere insieme vecchi e nuovi amici. Parla, passando da una lingua all'altra, come uno sciatore che fa dello slalom, insieme ad un giovane economista indiano con cui sta          lavorando sulle nuove grandi corporazioni della salute. Per chi lo conosce, questa passione che lo conduce contro le distorsioni di grandi motivi umani è di una coerenza titanica. Con nuovi dati alla mano spiega come la salute, da stato positivo e sentito internamente da ciascuno e da arte di vivere, di soffrire e di gioire, si sia trasformata in una «sanità» gestita sempre più con i metodi aziendali dell'analisi quantitativa e con quelli statistici della teoria delle decisioni. Le persone, trasformate in «profili» sono forzate nella libertà di scegliere tra varie opzioni per la loro salute. In quanto profili, dice Illich, giocando con le parole, non possono fronteggiare, far «faccia» alle organizzazioni che definiscono sempre di più cosa è stare in salute. Tra il suo pubblico c'è l'ex ministro di Indira Gandhi che si batte con furia ancor oggi contro le corporazioni mondiali della salute (Banca Mondiale, Organizzazione mondiale Sanità comprese) e per una medicina di base nei villaggi asiatici.
Ma è presente anche Niels Christie, che è la persona che ha meglio studiato il sistema carcerario come prototipo delle nuove grandi aziende mondiali (e che dice durante un intervento che le carceri servono a fare credere alle persone che stanno fuori di essere più liberi di quanto in realtà non sono). C'è un gruppo di storiche europee che studia il cambiamento nel rapporto tra il medico e le donne come pazienti - da una situazione in cui ciò che le donne sentivano e dicevano del proprio corpo veniva ascoltato come fonte autorevole al momento in cui si decise di proscriverle come deliranti. Ci sono amici russi, messicani, americani e il pubblico dei suoi studenti di Brema. Illich continua, come ha. sempre fatto fin dai suoi primi lavori, a denunciare la trasformazione di certe pratiche umane, l'educazione, la salute, la differenza tra uomini e donne, il lavoro, in rituali che danno vita a credenze. Le istituzioni scolastiche, sanitarie, il sistema del lavoro spiegano alle persone cosa significa non avere cultura, non avere salute, non avere un lavoro e trasformano l'arte di vivere in una dipendenza da grandi rituali di propaganda. Così la comunicazione sostituisce la «conspiratio», il bacio che agli inizi del cristianesimo la gente si scambiava per «mescolare il proprio fiato», con/spirare.
Chi non conosce Illich può pensare che egli esageri, ma poi deve rendersi conto che una parte della critica alla mondializzazione che in questi giorni risorge proviene proprio dalla sua infaticabile difesa dell'immanenza, della capacità umana di non essere incasellata in ideologie del progresso ed in categorie costruite a tavolino a Washington come nei corridoi di una casa farmaceutica svizzera. Quando più tardi la discussione prosegue dinanzi ad un piatto di pasta nella sua ospitalissima casa di Brema, Ci si rende conto di quanto quest'uomo, schivo di interessi accademici e ascetico nella sua vita personale, abbia influenzato persone che oggi un po' dappertutto mettono in questione l'assetto «normale» delle cose perché vogliono salvare l'aspetto umano della nostra vita quotidiana.





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