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Sagarana La Lavagna Del Sabato 16 Luglio 2011

DIECI ANNI DOPO IL G8 DI GENOVA



Salvatore Palidda


DIECI ANNI DOPO IL G8 DI GENOVA



 

Dieci anni dopo, tante persone chiedono ancora di capire il perché della terribile
violenza e delle torture che una parte delle polizie si accanì a infierire sui manifestanti
contro il G8 di Genova. Un perché comprensibile, però, francamente, non solo ingenuo
ma anche preoccupante poiché mostra che non ci si rende conto della portata di quella
sperimentazione di gestione brutale della protesta sociale e politica. Come se tutte le
brutalità, torture, violazioni dei diritti fondamentali e il libero arbitrio di buona parte
delle polizie in Italia e altrove non si fossero mai più ripetute e non fossero diventate
pratiche quasi abituali o comunque possibili da parte dei poteri neo-conservatori di
quest’ultimo decennio. Sarà l’effetto tremendo della narcotizzazione o della “memoria
corta” che producono i media. Ricordiamoci dei numerosi episodi di accanimento di una
parte delle polizie ma anche di padroncini e caporali su operai in lotta, su abitanti
disperati per il dilagare del cancro nel loro quartiere a causa delle discariche di rifiuti
tossici, sugli abitanti della Val Susa o quelli delle zone delle grandi opere come la
gronda di Genova angosciati per l’amianto che si sprigiona mettendo a soqquadro i
terreni dove vivono; ricordiamoci delle botte inflitte ai terremotati dell’Aquila andati a
Roma per gridare al governo la tragedia in cui sono stati abbandonati, i pastori sardi, gli
abitanti di Quirra, i NodalMolin, i NoPonte, gli studenti, gli insegnanti e i ricercatori che
la sig.ra Gelmini considera terroristi o quasi perché si permettono di essere ostili alla
sua “riforma”. Insomma, quanti sono stati gli episodi del genere e non solo in Italia (si
pensi alle polizie scatenate contro le lotte sociali o ambientaliste in Spagna, a Londra, in
Germania, in Francia e altrove).
Sul G8 di Genova, la quantità di scritti di ogni sorta, di immagini, di video, di
reportage e la mole degli atti giudiziari è quasi sterminata (vedi
http://www.processig8.org/). Ma nessuna ricerca dotata di sufficienti risorse è stata
avviata mentre gli ingenti fondi delle ricerche europee sono destinati soprattutto a
ricerche embedded, cioè per migliorare le capacità repressive militaro-poliziesche.Il G8 di Genova fu il momento più esasperato della sperimentazione neoliberale/
neo-conservatrice della gestione violenta della protesta in un paese cosiddetto
democratico (vedi Pepino, 2001; Palidda 2001 e 2008, e anche Amnesty, 2001). La
direttiva era di distruggere lo slancio che da Seattle in poi aveva alimentato un
movimento mondiale anti-G8 che aveva conquistato una popolarità planetaria anche nei
ceti medi e persino in una parte della borghesia. E’ esattamente questo che è apparso
inammissibile per un dominio globale che pretendeva e pretende agire in libero arbitrio
usando le polizie per schiacciare la protesta anti-G8 e dopo ogni mobilitazione di
dissenso. Il G8 di Genova non fu, quindi, una “eccezione”, un caso unico, un
“incidente” della democrazia, non solo il coacervo di sfortunatissime coincidenze di
errori e atti maldestri in una sciagurata congiuntura; fu l’esito prevedibile di una
molteplicità di atti e comportamenti anche casuali ma comunque condizionati e orientati
dal gioco di attori forti all’interno di un frame che spiega appunto tale esito. Purtroppo
quasi nessuno capì ciò che produceva e avrebbe prodotto questo frame che si forgiava
sin dalla fine degli anni 1970. Eravamo già nel contesto della guerra che dopo l’11/9/11
i neo-cons fanno diventare permanente e totalizzante. Fu allora “normale” che la destra
arrivata al governo proprio due mesi prima dell’evento genovese si sentisse in “diritto”
e in “dovere” di fare molto di più di quanto aveva già fatto il centro-sinistra, in
particolare dei D’Alema e Bianco. La RMA (Revolution in Military Affairs) riguardava
anche una “rivoluzione negli affari di polizia”, ossia l’ibrido militare-poliziesco che
configura la cosiddetta polizia globale (vedi Dal Lago) e quindi le sue pratiche; allora, i
manifestanti e la protesta anti-G8 sono trattati come fiancheggiatori o analoghi del
“nemico assoluto” (“stati canaglia” e terrorismi o -a parole- le mafie) non certo secondo
la prassi della gestione pacifica e negoziata delle mobilitazioni nei paesi detti
democratici. Così, troviamo a Genova unità speciali e quegli ufficiali particolarmente
che si sono già distinti nella stessa zona dove militari italiani hanno torturato somali e
dove sono trucidati Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Vedi http://www.ilariaalpi.it); arrivano
anche dirigenti di polizia noti per i loro metodi assai muscolosi e deontologicamente sui
generis in operazioni antimafia o anti-ultrà o in sgomberi dei rom a Roma.
Militarizzazione del territorio, sospensione dello stato di diritto democratico, campagna
mediatica terrorizzante: qualsiasi deroga alle norme dello stato di diritto democratico
diventò legittima, compresa la tortura che in Italia resta ancora oggi un reato soggetto
solo a lievi pene (come lesioni, se accertato) quindi rapidamente prescrivibili (ne hanno
beneficiato, fra altri, i responsabili di torture a Bolzaneto (vedi M. Calandri), i “vigili” parmensi che si “divertivano” su Bonsu, e ne beneficeranno ancora gli autori di tale
genere di trattamento nelle carceri, nelle varie sedi delle polizie, nei centri espellendi
ecc., anche a prescindere del cosiddetto “processo breve”) (Vedi
http://www.osservatoriorepressione.org e i rapporti annuali di Amnesty). L’asimmetria
di potere e di forza spinse allora e spinge ancora parte delle polizie a scatenarsi senza
remore e timori, con la certezza dell’impunità se non del premio.
Sebbene comune a tutti i paesi (ovunque il potere legittima e tutela direttamente o
indirettamente i suoi pretoriani e chi fa il lavoro sporco per difenderlo), questo fatto
appare però ancora più plateale nel caso italiano. Lo scandalo planetario degli abusi,
delle violenze vigliacche e persino delle torture al G8 di Genova non indusse le autorità
politiche e amministrative italiane neanche a esibire qualche capro espiatorio nonostante
una palese analogia fra la caserma Ranieri di Napoli, piazza Manin, la Diaz, Bolzaneto,
Abou Graib e Guantanamo. Non solo, in nessun paese fra quelli detti democratici
membri delle polizie indiscutibilmente responsabili di atti violenti e anche ignobilmente
vigliacchi (accanirsi a calci su un minorenne ferito a terra come fece un commissario
anche lui promosso vice-questore) o che ostentano il credo fascista, non sono sospesi,
tanto meno espulsi da tali istituzioni e sono persino promossi a cariche molto
importanti. Questa prassi, che ricorda appunto il totale libero arbitrio e la protervia
degni di un regime fascista o mafioso, di fatto appare ormai abituale accentuando ancor
di più l’impotenza di chi difende lo stato di diritto democratico così ridotto a pia
illusione.
Il dispositivo e la quantità di mezzi e personale messi in campo dalle polizie furono
abnormi ma privi quasi di coordinamento per scelta deliberata, ma mai ammessa dei
rispettivi comandi a causa dei conflitti e della competizione in particolare fra polizia di
stato e carabinieri. Ogni polizia perseguì autonomamente l’intento di annichilire i
manifestanti senza distinzione, compresi quindi i pacifisti cattolici. Non fu casuale la
libertà concessa ai black bloc che poterono realizzare alcune azioni dimostrative prive
però della giustificazione che l’area più accreditata di questa componente proclamava
sui suoi siti; esse servirono da alibi a quella componente delle polizie che aveva
l’obiettivo di provocare disordine e violenze per legittimare la “mattanza”.
Dopo 10 anni di processi i carabinieri e la guardia di finanza ne sono uscite indenni.
Quanto ai media, prima del G8 hanno sostenuto la preparazione del massacro
accreditando l’esasperazione dell’odio contro i “noglobal” nei ranghi delle polizie e la
paura dei benpensanti; durante e subito dopo, invece, presero spazio le denuncie degli abusi, delle violenze ecc. Passata l’emozione, riprese il coro contro i manifestanti
violenti che nell’arringa finale della PM (peraltro di MD) sembra una sorta di teorema
ideologico (non inedito) secondo il quale 25 manifestanti sono imputati come
responsabili di tutte le violenze, distruzioni ecc. commesse in quei giorni e non solo dei
reati per i quali esiste la prova della loro colpevolezza. Nell’ultimo processo, sei di
questi sono condannati a pene oscillanti fra i sette e i quindici anni (per qualche atto di
distruzione e senza alcuna violenza a persone, condanne rare anche quando si tratta di
omicidi per non parlare di gravi danni finanziari, sanitari e ambientali provocati da
colletti bianchi). La lentezza e soprattutto l’esito dei processi di primo grado sono stati
spesso una conferma di una giustizia apparsa sin dalla preparazione del G8 alquanto
ossequiosa verso il potere e le polizie; solo con i processi d’appello si ha un parziale
riscatto di una parte dei magistrati inquirenti. Dopo dieci anni, di fatto i processi
avallano il messaggio che le polizie hanno sempre ragione (vedi innanzitutto la legittima
difesa per chi ha ammazzato Carlo Giuliani) e che non è ammissibile nessun gesto
violento dei manifestanti neanche se di risposta a una inaudita e persino assolutamente
illecita violenza poliziesca. In Italia questo messaggio è talmente condiviso da fare
l’unanimità di quasi tutti i media, le forze politiche e i leader d’opinione. In Inghilterra,
Spagna o Germania non si sono sentiti gli anatemi contro le violenze dei giovani e a
difesa dei “poveri poliziotti” che ci hanno rifilato i vati della giustizia italiana (fra questi
Saviano) che non hanno mai speso una parola per il rispetto dello stato di diritto
democratico da parte delle polizie (e di stati come Israele) avallando così un
giustizialismo che può praticare anche abusi “a fin di bene”. E’ la logica dei nuovi
alfieri della “legge, ordine, igiene, decoro e morale” del cittadinismo perbenista
attraverso la tolleranza zero che colpisce i deboli, prime vittime dell’insicurezza
effettiva; è la logica degli ossimori (“guerre giuste” o “umanitarie”) dei filosofi nipotini
di quel Tocqueville che prescriveva lo sterminio degli algerini refrattari della
civilizzazione francese. In altre parole, in un’Italia dove non c’è mai stata un’effettiva
tradizione liberal-democratica (da non confondere col liberismo neoconservatore), quasi
tutta la sinistra sembra diventata giustizialista e non si interessa al controllo
effettivamente democratico delle polizie, mentre la destra, anche libertina, è però
reazionaria e quindi difende sempre a spada tratta polizie e poteri militari, dei quali,
comunque, quasi tutti i politici cercano di accattivarsi la compiacenza. Il risultato è che
l’Italia è il paese con meno rispetto dei diritti fondamentali sovente violati dalle polizie
soprattutto a danno dei soggetti sociali più deboli. Da notare: le cosiddette indagini divittimizzazione –molto costose- non sono altro che sondaggi telefonici su un campione
di soli titolari di telefoni fissi e sono realizzati solo in italiano ... così i marginali, gli
immigrati –soprattutto “clandestini”- e i rom, cioè i soggetti più suscettibili di essere
vittime di abusi e violenze non sono mai “sondati” e ... non è prevista alcuna domanda
sull’eventuale appartenenza alle polizie dell’autore di violenze.
Tuttavia, nonostante l’esasperazione dell’asimmetria di potere e di forza e
l’indebolimento delle rappresentanze politiche e dei sindacati, c’è stata e c’è una ripresa
straordinaria delle mobilitazioni nei paesi dominanti e ancor di più negli altri paesi
come mostrano le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e altrove. Sinora, il potere dei paesi
dominanti appare “blindato” o “immunizzato” (vedi A. Mastropaolo), in grado di non
essere scalfito dalle proteste grazie all’accresciuta asimmetria di dominio alimentata
anche dal forte indebolimento dell’opposizione parlamentare pervasa dai think thanks
liberisti. Tuttavia la dinamica collettiva rinasce: una parte crescente della società non
sopporta più le conseguenze del liberismo.
Intanto, a livello sovranazionale, mentre non c’è alcuna istanza politica sovrana, si
forma una “gendarmeria europea” (http://www.eurogendfor.eu/, vedi A. Iacuelli,
http://www.altrenotizie.org/esteri/4005-la-strana-polizia-europea.html) totalmente
ignorata non solo dalla pubblica opinione ma anche dai parlamentari considerati
democratici. Ciò che inquieta è che questa Eurogendfor, fatta con polizie militari che
non si può dire brillino per trasparenza democratica, si configura come una forza di fatto
dipendente solo da gerarchie militari che dovrebbe svolgere un ruolo di gestione
dell’ordine pubblico, ossia di intervento contro manifestazioni e rivolte.
Ma la pretesa liberista di una gestione violenta del dissenso che scarta ogni
negoziazione a favore di una gestione pacifica non può più durare. Anche fra gli addetti
ai lavori ci si rende conto che da vent’anni le polizie sono troppo distolte da molti loro
compiti e competenze assolutamente indispensabili per la loro stessa sopravvivenza
come istituzioni sociali che hanno per forza bisogno di un minimo di consenso popolare
o quantomeno di una neutralità da parte della società. Il risultato è l’aumento delle
economie sommerse, dell’evasione fiscale, degli infortuni e malattie professionali,
dell’inquinamento, delle ecomafie ecc. Si produce così ancora più insicurezza reale ma
occultata dal discorso dominante sulle insicurezze e paure attribuite agli esclusi o
“sovversivi” da perseguitare.
Probabilmente, la congiuntura neo-conservatrice è destinata a chiudersi anche se le
séquelles dureranno a lungo. E’ alquanto illusorio che si possa andare verso un nuovonew deal (come sembrava aver fatto credere la vittoria di Obama), ma appare comunque
impossibile che la maggioranza della popolazione subisca passivamente gli esiti
devastanti delle politiche liberiste e la protervia di poteri spesso ignobili. Come
nell’avenue Bourghiba di Tunisi e a piazza Tahrir, a Puerta del Sol (Madrid) e già in altre
piazze europee si sta innescando una nuova speranza. Le pratiche di protesta e
resistenza pacifica (ma non pacifista) viste sinora mostrano che l’asimmetria di potere
può essere rovesciata –anche se parzialmente e momentaneamente con un agire politico
di massa senza bisogno di eroismi, di estremismi, né di leader o di grandi organizzazioni
tradizionali.





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