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Sagarana La Lavagna Del Sabato 19 Novembre 2011

IL CAVALIERE E LA MORTE



Franco Arminio


IL CAVALIERE E LA MORTE



 

Berlusconi ha paura di morire. Questa paura è comune a tutti gli uomini, ma in Italia, cuore del cattolicesimo, che ha alimentato la sua potenza giocando tutto sul memento mori, il timore della morte è assai più potente.
Accumulare potere e ricchezze è un tentativo come un altro di esorcizzare la morte. Un tentativo penoso e vano, mano a mano che si invecchia, che ci si avvicina al traguardo finale L’accumulare ricchezza e potere altro non è se non un segno di questo pensiero costante che accompagna Berlusconi.

Le pantomime oscene sulla sessualità del Cavaliere che riempiono le prime pagine dei quotidiani non sono altro che il tentativo di un uomo ormai vecchio di distrarsi dall’idea della morte. La sua è una sessualità a cartoni animati, è una proliferazione di figure disegnate dalla matita della fine.
L’ironia e l’indignazione sulle depravazioni del capo indicano anche il rapporto irrisolto che gran parte degli italiani hanno con il sesso. Si può dire che il sesso e la morte sono due grandi questioni irrisolte dell’italietta laida e fascista di cui il Cavaliere è l’ultima metamorfosi.
La vicenda di questi mesi non è solo materia per magistrati e neppure per beghe politiche. Il teorema è questo: Berlusconi è governato dalla morte, Berlusconi governa l’Italia, l’Italia è governata dalla morte.
Se vogliamo che nella nostra nazione torni a spirare qualche vento di lietezza, dobbiamo deciderci a sgombrare questo enorme cadavere che tutti insieme formiamo e di cui il Cavaliere è il cuore. Non si può pensare che siamo di fronte a un depravato da rieducare. Non siamo al collasso morale di una sola persona, ma a quello di gran parte della nazione.
Il problema della morte non è solo il problema del Cavaliere. In questo senso lui non è nostro nemico, ma nostro fratello. Bisogna bonificare lo spirito nazionale da queste pozze putride prodotte dal secolare potere di una chiesa che ha messo nella nostra testa l’idea che ci aspetta l’inferno se non diventiamo suoi seguaci.
Berlusconi non lo si sconfigge con la conta in Parlamento ma con una spietata radiografia del nostro spirito, una radiografia che sappia individuare la metastasi narcisistica prodotta proprio da una crescente paura della morte, che può essere considerata come paura della vita, una vita sempre più sigillata in piccole confezioni usa e getta.
Da tempo credo che la morte non sia più un evento, una cosa che tocca gli animi. C’è stato un momento in cui era qualcosa che veniva nella vita come una faina arrivava nel pollaio. Si può pensare che questa faina abbia stampato la sua zampa su ogni tipo di religione. Adesso la morte ha cambiato faccia, è diventata l’aria che si respira, la scena madre della vita, il riassunto delle nostre giornate. È sempre bene in vista, è sempre ben esposta contro l’amore, contro la politica vera, contro i nostri slanci più sinceri. È usata come deterrente per non vivere, per dire di no a ciò di cui potremmo gioire e da cui, invece, ci nascondiamo. Si mette in mezzo tra l’anima e il corpo e ci scinde. Si mette in mezzo tra noi e gli altri e ci divide.
Non è facile dire come e quando sia avvenuta questa mutazione della morte da evento che irrompe a realtà che ristagna. Pensate a una nebbiolina che avvolge la nostra società, pensate a una nebulizzazione dell’evento traumatico e unico della fine in vapore sospeso intorno ad ogni minuto della nostra vita: tutta la rete di comunicazione di cui siamo poveri tralicci sembra che agisca solo per diffondere il senso della fine. La morte non viene dopo l’ultimo respiro, ma sembra essere il legame tra un respiro e l’altro. Non viene pavesianamente a prendere i nostri occhi, ma da tempo li apre e li chiude a suo piacimento ogni giorno. Sempre più spesso guardiamo dal balcone della morte, vediamo il mondo come se già fossimo fuori di esso. È una situazione profondamente nuova. È una condizione che dovrebbe farci leggere l’esperienza di ognuno e di tutti come un’esperienza straordinaria. E invece ragioniamo come se fossimo sempre nello stesso mondo, nella stessa psiche, nello stesso corpo. In un certo senso e per la prima volta non siamo nella vita come un’esperienza continua interrotta dalla morte, ma siamo nella morte come un’esperienza continua interrotta raramente dalla vita.
LE PARTICELLE ELEMENTARI
Il romanzo Le particelle elementari, pubblicato nel 1998 da uno scrittore quarantenne fino a quel momento non molto conosciuto (autore di un romanzo breve, Extension du domaine de la lutte, del 1994, e di alcuni saggi e raccolte di poesie), è diventato immediatamente un caso letterario, e la critica si è spaccata tra detrattori accaniti e sostenitori entusiasti.
Il protagonista di questo romanzo è uno scienziato, Michel Djerzinski: un fisico di formazione che ha vissuto in modo profondo e radicale la rivoluzione concettuale della meccanica quantistica e che si è poi impegnato a ripensare la biologia, e in particolare lo studio del genoma, utilizzando appunto i concetti e gli strumenti della meccanica quantistica in vista di una definitiva rivoluzione antropologica.
Egli fantastica che tutto cambierà dopo questa rivoluzione post-umana. Un tale tema utopico sarà anche al centro del romanzo successivo di Houellebecq, pubblicato nel 2005, La possibilità di un’isola (di un’isola d’amore), ma avrà connotazioni problematiche. Infatti, i post-umani di quel romanzo (che non saranno ancora immortali, ma si rigenereranno attraverso la clonazione e la comunicazione delle precedenti storie di vita) non vivranno in una condizione di beatitudine, ma piuttosto in una situazione di indifferenza reciproca, chiusi nel loro isolamento rotto soltanto da comunicazioni ipertecnologiche. Ma avranno anch’essi un profondo e insaziabile desiderio di amore, parzialmente appagato, a volte, soltanto dalla compagnia di un cane più volte clonato. Sarà questo desiderio a spingere uno di essi a una pericolosa ricerca di contatto con i selvaggi, i pochi e ghettizzati umani rimasti, ridotti ormai a una condizione sub-umana.
Chi è dunque, per Houellebecq, l’uomo di oggi? Chi è l’uomo all’interno di una società «plasmata dall’antropologia materialista», nell’ambito di una visione del mondo favorita a sua volta dai progressi della biologia? Chi è l’uomo, la cui psiche - secondo la «gradevole ricostruzione mitica dei darwiniani» - è stata semplicemente selezionata in base a un ipotetico vantaggio evolutivo?
Nella società edonista e materialista, descritta da Houellebecq con dolente nettezza, permane una nostalgia di amore e una aspirazione all’immortalità che - in termini tecnico-scientifici - ripropone temi caratteristici della prospettiva religiosa. Il materialismo ha superato, ha negato la prospettiva religiosa; gli esseri umani, avviliti dal materialismo, sono ormai incapaci di amore, di solidarietà, di vicinanza. Ma le crepe nel materialismo introdotte dalla meccanica quantistica sembrano aprire una nuova prospettiva: non la scienza materialista, che fin qui ha contribuito ad abbassare l’umanità, ma la nuova scienza delle funzioni d’onda potrà ripensarla, addirittura riprogettarla. La rivoluzione metafisica iniziata dalla meccanica quantistica, riporterà al centro i temi, rimossi ma non cancellati, della vita eterna e dell’amore.
Secondo Michel, il protagonista di questo romanzo, è possibile fondare una nuova antropologia e una nuova visione del mondo sulla scienza: una scienza nuova, che permetterà una fondazione diversa dei legami tra i viventi, una fondazione non più religiosa, anche se della religione manterrà il legame con gli sconfinati desideri dell’umanità.





Franco Arminio (Bisaccia, 19 febbraio 1960) č un poeta, scrittore e regista italiano, autodefinitosi come «paesologo». Arminio č nato e vive a Bisaccia, centro dell'Irpinia orientale in provincia di Avellino. Collabora con diverse testate locali e nazionali come "il manifesto", "Il Mattino" di Napoli, "Ottopagine", "Corriere del Mezzogiorno", ed č animatore del blog "Comunitą Provvisoria"





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