La Lavagna Del Sabato 03 Gennaio 2009


IL MANICOMIO DI PINEL


Luciano Del Pistoia







la follia delira la condizione umana
e non quella sociale
delira il destino mortale
e non la collocazione di classe…


L’Istituzione: il manicomio e la città

(…)Alcune considerazioni storiche sul manicomio ci aiuteranno a capire che l’istituzione nella quale la psichiatria si è realizzata come pratica specialistica è più complessa di quanto il titolo di “ospedale” possa far pensare; e che il suo significato cambia nel tempo in relazione alla rappresentazione della follia che di volta in volta prevale nella cultura (…)


Il manicomio di Pinel

Pinel dice dunque che il manicomio è uno spazio in cui il malato trova quella stimolazione equilibrata in sensazioni, emozioni e idee atta a fargli ritrovare l’equilibrio psichico che egli ha perso nel “tumulto” della società di fuori.

Ricordiamo che la società di cui egli parla è quella in preda alla Rivoluzione e per l’esattezza al periodo del Terrore (1793); e non c’è certo dubbio che essa esponesse i suoi cittadini a stimolazioni non solo eccessive ma anche spaesanti dato che i suoi valori di riferimento non eran più quelli dell’ancien regime aristocratico, ma quelli repubblicano-borghesi di liberté, egalité, fraternitè. I quali enunciati come principi, nella pratica eran tutti da conoscere.

Questa idea del manicomio di Pinel si connota anche per dei precisi riferimenti filosofici che aiutano a meglio chiarirla.

Il primo è quello, abbastanza evidente del sensismo di Locke e di Condillac. L’uomo è una “tabula rasa” in cui cominciano ad imprimersi delle sensazioni che permetteranno poi di formulare delle idee che si assoceranno a delle emozioni. In questa filosofia il primato della sensazione è noto e si capisce la sottolineatura che Pinel ne fa anche nella sua pratica terapeutica. Questa pratica infatti – il noto “traitement moral” – non rifugge anche dalle emozioni forti per imprimere sensazioni che aiutino il pensiero del paziente a ritrovare i punti di riferimento nella realtà. La fonte principale di codeste emozioni è il Direttore del Manicomio che impressiona per la sua autorità oltre che per il suo prestigio di “philosophe”.

Il secondo riferimento filosofico è quello del pensiero dei “libertini”. Questi autori già nel ‘600 ma soprattutto nel ‘700 producono degli scritti (racconti, teatro) che in apparenza sono solo un intreccio di oscenità sessuali e proposizioni blasfeme. In effetti essi pongono dei problemi che sono tuttora sul tappeto come quello della libertà sessuale, quello della libertà di pensiero e quello del senso della vita.

Per quanto riguarda la libertà sessuale essi asseriscono che il fine della sessualità è il piacere e non la procreazione. Per cui è naturale tutto quanto il desiderio appetisce e la fantasia immagina per appagarlo; mentre, contro natura, è la mortificazione o la regolamentazione ideologica di esso e della fantasia che lo serve. Per i personaggi dei racconti libertini il “rapporto naturale” diventa così una possibilità fra altre insieme a fellazioni, cunnilinguo, sodomizzazione… e così via discorrendo; e dove anche la coppia diventa una delle molte possibilità di incontro che, da duale, può farsi plurale. Il limite di queste pratiche, anzi di questa ricerca, è il rispetto dell’ordine costituito e dei diritti imperscittibili della persona. Sade, com’è noto, supererà largamente questi limiti pubblicizzando le sue trasgressioni criminali e inserendo largamente l’omicidio non accidentale ma deliberato nelle pratiche sessuali dei suoi racconti. Sade infatti accentua l’aspetto “blasfemo” del pensiero libertino negando l’esistenza del Dio Padre misericordioso dei cristiani e vedendo al suo posto piuttosto un determinismo naturale spietato se non la volontà di un dio sostanzialmente malvagio. Non tutti i libertini saranno però su queste posizioni, altri approdando piuttosto ad un più sereno “deus sive natura” di sapore spinoziano.

Ma l’aspetto dei libertini che si rivela più interessante nella psichiatria di Pinel è quello della libertà di pensiero. Non si tratta tanto della libertà di espressione quanto del rifiuto dell’idea tomistica di un limite della ragione che, a partire da un certo livello di problemi, dovrebbe sottomettersi e rimettersi alla fede. Il rifiuto di questo limite riviene a dire che il pensiero umano non ha né un ambito né procedure stabilite una volta per tutte ma è una specie di esplorazione avventurosa senza limiti che si tratta semmai di seguire con attenta e aperta curiosità.

Per questo l’atteggiamento terapeutico di Pinel punta meno – a ben considerare – a portare il paziente alla “critica” del delirio – il che sarà invece l’assioma della psichiatria a lui successiva fino ad oggi – ma a cercare di far “ingranare” le idee “deliranti” con la realtà al fine di realizzare oggetti e invenzioni di pubblica utilità, con l’idea che il delirio è tale in certo qual modo solo per il pregiudizio che lo giudica.

Questo modo di ragionare era del resto quello della generazione di Pinel che aveva in effetti pensate e fatte cose che il pregiudizio conservatore non aveva esitato a considerare “da matti”: che erano state non tanto tagliare la testa al re, perché questo si fa anche in tempi di perdurante monarchia, quanto il proclamare tutti gli uomini uguali e liberi per nascita e il situare l’origine della sovranità non più in Dio ma nel popolo.

Il terzo riferimento filosofico ha connotazioni politiche e attiene al programma illuminista di liquidare la “superstizione” e gli apparati chiesastici che su di essa si impiantano tenendo il popolo nell’ignoranza per meglio dominarlo e sfruttarlo.

Si sa come gli Illuministi avessero preso di mira il soprannaturale e la loro polemica ha punte di una penetranza insuperata anche in umorismo in certi articoli della Enciclopedie di Diderot e d’Alembert e nel Dizionario filosofico di Voltaire.

Il loro bersaglio erano i dogmi delle religioni, di cui ridicolizzavano l’irrazionalità, e il sovrannaturale con le sue presunte manifestazioni – come apparizioni, chiamate, miracoli – tutte cose che essi trattavano alla stregua di imbroglio o di racconti fantastici buoni sì e no per l’infanzia.

Non si erano però occupati, se non di passaggio della follia, che restava una potenziale sacca residua e tenace di apofania del sovrannaturale. Infatti “sentire le voci” non tanto degli angeli quanto dei morti, o voci da distanze tali che sfidano qualunque legge fisica sulla trasmissione dei suoni, avere “intuizioni” perentorie su di sé o sul prossimo, poteva esser preso per una conferma concreta, nei fatti, di quel soprannaturale che essi negavano in via di principio. E’ di questa sacca residua di sacrale che va ad occuparsi Pinel e la sua intenzione di liquidarla appare lungo tutta la lettura del suo Traité. Nel libro infatti egli presenta la credenza nel soprannaturale come l’effetto di una immaginazione sovreccitata dalla passione e non più temperata dalla ragione. Da cui la sua proibizione a certi deliranti di sprofondarsi nella lettura dei libri di devozione per evitare di alimentare il loro delirio.

La sua “medicalizzazione” della sezione degli alienati della galera di Bicetre (Bru 1890) ha quindi fra gli altri obiettivi, quello di ricondurre nell’ambito della razionalità scientifica della medicina le presunte apofanie del sacro che si esprimerebbero attraverso i folli.

D’altra parte il suo manicomio è un ambiente retto da i principi “filantropici” del rispetto della persona umana e ben dosato come s’è detto in sensazioni, emozioni e idee in modo che ognuno possa sentirsi al meglio e nel modo più libero e creativo nella relazione sociale.

Come si vede, esso è una “utopia” che cerca di applicare i nuovi principi giuridico umanitari e volente o nolente si propone come un modello di riferimento per la società che si va delineando fra scosse, tumulti, guerra e violenza.

Naturalmente, come tutte le utopie durerà pochissimo, se non ci sia addirittura da chiedersi se sia mai esistita. Essa ha però lasciato delle eredità fondamentali come la laicizzazione medica della follia e il rispetto del cittadino malato. Da notare poi, come ricordò Etienne Trillat, che anche come “utopia psichiatrica” resterà una tematica viva, che riapparirà periodicamente in concomitanza con i grandi movimenti di liberazione. A questa utopia appartengono infatti, secondo Trillat, il “settore” francese, concepito alla “liberazione” del 1945 in opposizione al “lager manicomiale” che richiamava il lager nazista e anche le utopie dell’antipsichiatria specie di quella inglese, di fine ‘900, concomitanti col “movimento di liberazione” del “68” e che si opponevano a ragione al manicomio “medicale” ormai da tempo degradato a reclusorio farmacologizzato. Ma il lascito del manicomio di Pinel di cui qui specialmente ci occupiamo è l’idea della diversità del suo spazio rispetto allo spazio della città: diversità che egli precisa come s’è visto in termini di “utopia”, di anticipo della città del futuro. L’idea dell’utopia tramonterà, la “diversità” dello spazio rimarrà accompagnando il manicomio fino alla sua fine, seppure cambiando di significato. (…)



(Brano tratto dalla raccolta Saggi Fenomenologi – psicopatologia, clinica, epistemologia Giovanni Fioriti Editore, Roma, 2008.)

Luciano Del Pistoia è un versiliese del 1937, rientrato in Versilia dopo un lungo percorso formativo classico e medico nella Firenze degli anni 50-60 e psichiatrico, prima a Parma con Fabio Visentini e poi con Geoges Lanteri-Laura a Strasburgo e Parigi. E' stato primario all'Ospedale Psichiatrico di Lucca (1974) e ha fondato e diretto il Servizio psichiatrico territoriale della Versilia. Autore di più di un centinaio di articoli a prevalente indirizzo fenomenologico di Clinica, Psicopatologia, Storia e Metodologia della psichiatria e di un'opera narrativa - Il Giardino delle statue di sale (Pacini-Fazzi, Lucca - 1997) - che, attraverso le storie dei malati del manicomio di Lucca e il loro intreccio con le resistenze che questo manicomio oppone alla fine che gli ha decretata la Legge 180, propone una riflessione sul significato umano ed esistenziale della follia.


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