ATTACCO AL CASTELLO
( – Tratto da “Crônicas da guerra [com a FEB na Itália]” – )  

Rubem Braga

Novembre 1944

Mattina fredda, con pioggia insistente e strada della montagna avvolta dal nebbione – e questo per i corrispondenti significa tempo bello per passare. Non è che amiamo il fango e la nebbia fitta. Io personalmente detesto questo insopportabile grigiore che obbliga le automobili a viaggiare tutto il tempo con i fari accesi, rende il procedere più lento e pericoloso e priva la vista di uno dei più bei paesaggi del mondo. Ma se fosse stato un giorno di sole, confesso che avrei avuto molto meno voglia di andare al P.C. dove ci stiamo recando oggi.
A una certa altezza lasciamo la strada buona e incominciamo a inerpicarci sulla montagna per una strada che è stata costruita – mi spiegano – da 60 uomini in 24 ore. Ci sono solo le curve essenziali e la jeep geme e sospira per vincere queste pendenze allucinanti. L’autista mi avvisa che a un certo punto della strada, che stiamo percorrendo, sono piovute tutti i giorni granate tedesche.
“Anche ieri l’abbiamo vista brutta. Sono passato su questa jeep con un rimorchio carico di munizioni e delle granate sono cadute vicino a me.”
Ma io confido nel nebbione, e lui non delude. Attraversiamo il tratto pericoloso senza problemi. Abbiamo solo udito dei colpi intermittenti di cannoni – quasi tutti brasiliani – e quello che vediamo a destra, a sinistra e di fronte è solo nebbia lattiginosa. Ai lati della strada buchi piccoli e grandi attestano che l’autista non stava esagerando.
“Sembra che i tedeschi indovinino quando trasportiamo delle munzioni. Un mio compagno, che portava un rimorchio con delle munizioni, prese tante bombe qui che decise di scappare, finì in un buco e si ferì. È una stupidaggine voler correre in una strada come questa. Si deve tenere con fermezza l’auto e andare come se invece di cannoni tedeschi fossero scoppi di fuochi artificiali. L’altro giorno sono sceso per la china dietro la “prima”, molto adagio, mangiando fuoco…”
Troviamo il P.C. del Battaglione in fermento. Ufficiali che vanno e vengono e discutono davanti a cartine geografiche. Questa mattina una compagnia ha tentato un attacco, ma ha incontrato troppa resistenza. Altre compagnie sono riuscite a ottenere qualche successo, ma non potranno mantenere a lungo le posizioni conquistate se rimarranno con quel fianco sguarnito. Un ufficiale, amico mio, mi porta in un luogo dove può spiegarmi il combattimento sul campo con tutta chiarezza – infatti il nemico si trova a poche centinaia di metri appena. Torniamo alla carta geografica, ma due ufficiali la stanno consultando. Ci stiamo ormai abituando a questo clima, alle discussioni e consultazioni di ufficiali dalla barba lunga e gli stivali infangati che indicano, con le dita dalle unghie sporche, dei punti sulla cartina. Incontro un capitano che conosco: tempo addietro sono stato al P.C. della sua Compagnia e gli domando dei suoi uomini.
“Stanno riposando. Hanno passato quaranta giorni sotto il fuoco. E per di più con questo freddo. Ho reclamato. Vuoi saperne una? Quando i miei ragazzi torneranno al fronte gli dirò di non combattere troppo bene. I bravi qui vengono penalizzati: i capi ci pensano prima di toglierli dal fronte.”
La nostra conversazione è scandita, ora con maggiore insistenza, dal fuoco dei cannoni. Udiamo, ma molto lontano, da qualche parte a nord, dietro quel nebbione, il mitragliare secco di una mitragliatrice nazista.
“ La “lurdinha”* sta cantando…”
“Lurdinha” è un nome che i nostri bricconi hanno appioppato – il diavolo sa perché – a questo tipo di mitragliatrice tedesca.
“Oggi è inutile che Lei si fermi – mi dice il maggiore del Battaglione. Non ci sarà più niente di interessante. Forse domani…
Decido di dormire al P.C. per aspettare proprio lì il giorno seguente ma mi avvisano che, se non porto un’imbottita, dovrò dormire per terra e senza coperte e, se non porto da mangiare, dovrò digiunare perché la razione “C” basta appena. La sola espressione “razione C” è sufficiente per togliere l’appetito a qualsiasi uomo onorato in questa guerra. Ha molte proteine, vitamine, alto valore nutrizionale, molte virtù morali e spirituali – è, infine, una di quelle cose che rallegrano il cuore di qualsiasi Dr. Josué de Castro – ma è demoralizzante.
È demoralizzante – e basta.
Mentre sto uscendo arriva un ufficiale della legazione americana con l’aria di chi ha fretta, affare urgente da trattare con il maggiore. Mi metto il casco di acciaio – e mi fermo a osservare ciò che succede sulla porta di una stanza dove appaiono un ragazzo italiano e due ragazze, tutte e due con i capelli castano chiaro, tutte e due con le guance rosee e gli occhi azzurri, certamente sorelle.
Anche questo succede in un qualsiasi P.C.: la famiglia delle contadine ha deciso di continuare a vivere proprio lì, dividendo la casa con i soldati, senza tener conto del pericolo, e per di più, negli intervalli fra un bombardamento e l’altro, vogliono pascolare le rare pecore rimaste o curare l’orticello a volte arrischiandosi, nella loro ostinazione di contadine, di raccogliere le ultime olive ** di questo autunno.
Usciamo. Facciamo un giro, per strada un italiano ci saluta:
Buona sera! **
E Buckley, della Reuter, che è di cattivo umore, commenta, osservando con una smorfia che continua a piovere e c’è solo fango e nebbia fitta:
– Questa non è per niente una buona sera.
Passiamo dall’infermeria del Battaglione.
Un tale, con una leggera ferita al polpaccio sinistro, è appena arrivato con l’ambulanza. Il medico cerca di estrarre un frammento di granata e un infermiere cerca di rincuorarlo. “Non è niente…”. Ma anche il ferito è di cattivo umore:
“Non è niente perché la gamba non è tua”
Alla fine arriviamo al Q.G.. È ora di cena e il responsabile del rancio mi informa:
– Oggi va male: razione “C” esaurita…
Decido anch’io di essere di cattivo umore.
Ma qualcuno ci chiama: è per vedere un camion proveniente da un altro P.C. con un gruppo di civili italiani. È gente che fugge dalla guerra – e ha un’aria profondamente avvilita. L’ufficiale della 2.a sezione non ha un’aria gran che migliore:
– È una gatta da pelare. Dobbiamo rimediare un posto per accoglierli a dargli da mangiare. E a volte fra la povera gente i tedeschi ci mettono delle spie italiane. Danno un daffare!
Un altro ufficiale scherza:
– Proprio così, capitano. Questa guerra dà un gran daffare.
Ma nessuno lo trova divertente. E lui insiste:
– Inoltre questa guerra è molto mal organizzata. Volete sapere? Dovevano farla finita con questa storia del nemico. È questo che impedisce tutto. Se non ci fosse il nemico avremmo potuto avanzare finché volevamo, nessuno si sarebbe fatto del male, né avrebbe avuto daffare.

E Fiscer guida un’altra volta il “comando” nell’oscurità bianca della strada.




*lurdinha: diminuitivo di Lurdes. Nome attribuito alla mitragliatrice portatile.

**
nell’originale è scritto in italiano.


(Tradotto dal Portoghese da Mirella Abriani)


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