RISCHIAMO LA DÈBACLE. COME NEL ‘600
- Intervista a Marcello de Cecco: "Che fare? Tanti soldi a scienza, ricerca, educazione

Paolo Andruccioli

 

"Siamo le vittime predestinate della Cina. Loro stanno cominciando a occupare lo spazio che era degli italiani in molti settori, a cominciare dal tessile. E' una situazione che potremmo paragonare a quella del 1600, quando gli italiani pensavano di essere imbattibili nei settori dei tessuti e delle stoffe e invece sono stati sconfitti dagli inglesi e dagli olandesi. Così gli imprenditori italiani del 1600 hanno abbandonato il campo e si sono ritirati in campagna". Marcello de Cecco, professore di economia monetaria e commentatore, non nasconde il suo pessimismo. "Non è mica colpa mia se siamo a questo punto. Gli imprenditori italiani hanno sfruttato trent'anni della svalutazione della lira per fare affari, poi hanno continuato sulla scia dell'euro basso. Ora però quel periodo è finito. E ormai tutti se ne rendono conto, ma non è facile trovare una soluzione".

Professore, proprio ieri sono stati diffusi i dati sull'export italiano. Sembra che vada molto male con i paesi extra Ue
Veramente va molto male anche con i paesi della Ue. Anche con la Germania gli scambi italiani sono peggiorati, mentre i tedeschi e gli altri paesi europei sono riusciti ad aprire un mercato fiorente anche con la Cina. Tutto ciò è il risultato delle scelte sbagliate. Da tempo gli altri paesi europei hanno cominciato a investire nel settore delle tecnologie, mentre noi abbiamo preferito occupare gli spazi che loro lasciavano nei settori più arretrati (il tessile per esempio). Ora però in quei settori c'è la concorrenza dei cinesi. Rischiamo di rimanere schiacciati. Avere scelto di competere nei settori più arretrati ha comportato effetti negativi su tutto il sistema: la ricerca non si è fatta più e tutto il settore educativo è peggiorato. Gli studenti italiani piano piano si sono accorti che non serviva più faticare sui libri perché tanto un ingegnere veniva pagato poco più di un operaio. Tutta la cultura è stata vista come un sistema di parassiti. Per questo c'è stato l'imbarbarimento che viviamo. Ora i nostri studenti che vanno all'estero con i progetti Erasmus, spesso non vedono l'ora di tornare perché qui hanno gli amici e il motorino. A molti vedere Londra o Berlino non frega niente. Ci sono invece studenti albanesi che vengono a studiare da noi e sono molto bravi perché ci credono. La svalutazione dello studio si vede anche dal maggior numero di abbandoni che si registra al nord. Lì i ragazzi lasciano lo studio perché trovano lavoro, ma sono posti senza futuro.

La crisi attuale deriva quindi dalla definitiva perdita della leva delle svalutazioni monetarie e dalla scelta sbagliata dei settori su cui investire, o ci sono anche altre ragioni?
Il modello produttivo scelto dall'Italia era antistorico. Noi ci siamo entrati perché era più facile. Sarebbe stato molto più difficile combattere nei settori delle tecnologie avanzate. Ora però gli imprenditori se ne sono accorti e molti hanno tirato i remi in barca. Ingenti risorse sono andate così ai rentiers, alla rendita. Ci sarebbe voluto più tempo per diversificare le produzioni, ma la Cina ci ha pressato e ha accorciato i tempi della crisi. Resistono solo i punti alti in certi settori, come Armani o Versace, ma non sono mercati di quantità. Sono mercati di alta qualità, ma ristretti. Ormai, sulle produzioni di quantità, comincia a esserci poca differenza tra una camicia italiana o un frigorifero italiano e quelli cinesi. E' vero che ogni tanto qualche frigo made in Cina prende fuoco, ma ormai sono competitivi. Ci sono poche differenze con i nostri e i loro prodotti costano molto meno. Perché gli europei dovrebbero allora comprare cose italiane e non cinesi? Stiamo attenti poi a non vantarci troppo e a vivere sugli allori del passato.
Noi abbiamo avuto il Rinascimento, ma loro, i cinesi, ne hanno avuti quattro o cinque e poi sono degli artigiani bravissimi. Per l'Italia è anche difficile trovare una solidarietà in Europa, perché appunto i paesi forti hanno già stabilito un sodalizio con la Cina.

Come pensa che reagiranno gli imprenditori italiani e quali ricette lei vede possibili per l'economia nel suo complesso?
Mi sembra che gli imprenditori italiani immaginano di fare affari con la Cina, ma come intermediari. Forse smetteranno di competere e si metteranno a importare i prodotti cinesi.
Ma da un punto di vista più generale, più politico, quale via d'uscita intravvede?
Bisogna cambiare aria. E non è questione solo del governo in carica. Mi pare che anche l'opposizione sia molto debole, non riesce proprio a differenziarsi e a cogliere l'onda. Basta guardare quello che sta succedendo per il calcio. Solo il ministro Maroni ha avuto la furbizia di cogliere la giusta indignazione dei cittadini che non riescono ad arrivare alla fine del mese e che vedono il governo preoccuparsi di aiutare un settore dove si guadagnano miliardi con i piedi. Maroni è pressato dai suoi elettori del nord e ha capito che paga la sua battaglia. Finché c'erano soldi per tutti era un discorso, ora il clima popolare è cambiato. I partiti dell'opposizione non ne approfittano perché pensano di fare qualcosa di sconveniente contro il calcio che è popolare. Per quanto riguarda le cose da fare per rilanciare il paese, io vedo solo una strada: dare tanti soldi alla scienza alla ricerca, all'educazione. E badi bene che io parlo di educazione come cultura, non di "formazione" come è stata intesa negli ultimi anni. Io che insegno all'università vengo spesso considerato come improduttivo e come un parassita. E' questa la concezione di cultura che abbiamo acquisito in Italia: Contano più i motorini dei libri.

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