Islam e occidente

- Ripensare l'idea di una convivenza -


Intervista a Khaled Fouad Allam a cura di Leonardo Butelli


 

 

 

SM: Cosa ne pensa Prof. Allam del Decreto recentemente emanato dal Ministero dell'Interno sulla istituzione della consulta Islamica?

Tutti i paesi europei, da oltre quindici anni, tentano di istituzionalizzare l'islam: il compito non è dei più facili, per due motivi. Il primo è che nell'islam non c'è una chiesa, dunque si potrebbe dire che "il musulmano è sacerdote di se stesso". Il secondo motivo è che lo sviluppo di un islam in Italia e in Europa è il risultato degli odierni processi di immigrazione su scala mondiale. Ma nei paesi d'origine la costruzione del volto istituzionale dell'islam risultava dallo stato che se ne assumeva la responsabilità, attraverso il Ministero degli Affari Religiosi, presente in tutti i paesi islamici, e attraverso tutta la simbolica religiosa che traspare nelle forme ed espressioni dello stato: ad esempio l'uso del colore verde, le diciture coraniche che annunciano i discorsi ufficiali, etc.
Nell'immigrazione tutto ciò scompare, e il musulmano si trova da solo ad affrontare la sua islamità. E questo pone un problema difficile per i paesi europei, tra essi l'Italia: inventare una "chiesa" per l'islam è o non è compito di uno stato estraneo allo sviluppo dell'islam? Da uno stato europeo all'altro le risposte divergono, ma ancora nessuno ha trovato una soluzione adeguata. La consulta è un passo necessario, perché dovrebbe servire ad aggregare fra loro i musulmani, al di là delle differenti provenienze nazionali e linguistiche. Ma credo che inizialmente questa consulta dovrebbe avere la funzione di una missione esploratrice: vale a dire capire l'attuale situazione complessiva dell'islam nel nostro territorio, per fornire in seguito un insieme di risposte adatte al carattere dell'Italia. Perciò le persone che ne faranno parte debbono essere scelte in base a due elementi essenziali: la loro autorevolezza ed esperienza. La questione è infatti troppo delicata e complessa per poter essere affidata a chiunque.

SM: Noi abbiamo la sensazione che nella società italiana, ovviamente con le dovute eccezioni, il livello di integrazione tra etnie diverse sia molto alto e che i conflitti siano invece spesso frutto di conseguenze di prese di posizioni politiche e culturali amplificate dai mass media. Cosa ne pensa?

La questione dell'integrazione non dipende oggi soltanto dalle situazioni locali, nazionali, ma anche dalla situazione internazionale. Ad esempio il terrorismo kamikaze di matrice islamica, che come sappiamo può innescarsi da un punto all'altro del pianeta, ha un effetto devastante su tutte le popolazioni musulmane e, che lo vogliamo o no, rende più difficile il processo di integrazione. Quel terrorismo tende a far formulare agli occidentali due terribili equazioni: islam = handicap, immigrazione = handicap.

SM: Ci stiamo preparando ad una lunga fase di campagna elettorale (anzi ci siamo già dentro), cosa dobbiamo dire alle forze politiche che si misurano con i programmi di governo dove si ritrovano spesso richiami alla integrazione di soggetti immigrati?

Sappiamo benissimo che ci sono forze politiche che utilizzano e utilizzeranno lo spauracchio dell'islam e dell'immigrazione come fabbrica del consenso: un consenso che si ottiene facilmente, senza alcuna riflessione, senza il minimo sforzo progettuale, quasi come il riflesso condizionato di un'opinione pubblica che si trova di fronte a una realtà che non riesce a dominare. Mentre un autentico discorso politico dovrebbe proporsi di governare tale situazione, mostrare che la nostra società globale implica dei cambiamenti, delle scelte, e che il mondo oggi sta divenendo luogo di aggregazione di nuovi soggetti storici; e che l'Italia, come gli altri paesi, deve prendere parte a questo nuovo capitolo della storia, che lo voglia o no. Ma ora viviamo in un'Europa che, se integra gli immigrati, li integra male; le responsabilità sono di tutti, ma i primi che dovrebbero dare l'esempio, nel promuovere una possibilità di integrazione, sono i partiti politici, che ancora faticano a proporre e a far eleggere dei cittadini di origine extracomunitaria, quelli che oggi sono i nuovi cittadini italiani ed europei. Finora nel nostro paese l'immigrazione è qualcosa di subìto, mentre al contrario essa dovrebbe essere qualcosa di progettuale per il futuro.

SM: Se Lei dovesse indicare ai nostri lettori quattro punti che facciano da capisaldo ad una nuova Legge che superi l'attuale "Bossi-Fini", quali sarebbero? Quale sarebbe cioè la filosofia che dovrebbe ispirare una nuova Legge che faccia del nostro Paese un Paese solidale e multiculturale?

La legge Bossi-Fini non la considero affatto una legge sull'immigrazione: perché essa considera il fenomeno soltanto attraverso il prisma dell'utilitarismo, della forza-lavoro; il perno della sua filosofia è il contratto di lavoro, che ha come ogni contratto un inizio e una fine nel tempo. Mentre tutti gli esperti sanno che l'immigrazione attuale scardina completamente tutto ciò che fino a vent'anni fa si pensava di essa, semplicemente perché si inscrive in una prospettiva di definitività: l'immigrato è e resterà per sempre in Europa. Ciò ha enormi conseguenze. Il nuovo governo che verrà eletto dovrà incaricarsi di una politica dell'immigrazione: penso che si dovrebbe innanzitutto istituire un segretariato interministeriale all'integrazione, e riprogettare la legge sull'immigrazione focalizzandosi su cinque capitoli fondamentali: l'immigrazione come risorsa, avviando un nuovo rapporto con il tessuto economico del paese; gli aspetti urbanistici e abitativi, dal momento che l'habitat è la prima questione che si pone nei processi di integrazione; gli aspetti socioculturali, accostando ad esempio al giudice di pace un mediatore istituzionale con il compito di fare da tramite fra il governo e le istituzioni locali preposte alla gestione del fenomeno migratorio; l'istituzione di un tavolo di concertazione fra il governo e i paesi da cui l'immigrazione proviene; infine, a livello europeo, il nostro paese dovrebbe spingere per la creazione di una nuova figura, quella di un Commissario europeo all'immigrazione e all'integrazione. Gli attentati di Londra dimostrano infatti come le politiche di integrazione siano a tutt'oggi deboli in quasi tutta Europa.



(Tratto dalla rivista Senzamargine, ottobre 2005)

Khaled Fouad Allam è editorialista de " La Repubblica", Docente di sociologia del mondo musulmano e di Storia e istituzioni dei Paesi Islamici all'Università di Trieste e di islamistica all'Università di Urbino. Ha scritto per Rizzoli - per ricordare gli ultimi - L'islam Globale, 2002, Lettera ad un Kamikaze, 2004; Arabia, 2005.

 

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