Portafortuna


Hubert Selby Jr.

Se ne stava nel separé in fondo al ristorante cinese, tutto solo e preoccupato, con davanti la zuppa di pollo all'uovo e ogni tanto buttava giù una cucchiaiata. Il capo non l'aveva detto a chiare lettere ma lui sapeva che la sua ora stava per arrivare... presto. Non gli aveva dato nessun ultimatum, ma le occhiate e le osservazioni: di più, quello che lui avvertiva quando lo aveva dattorno o che cominciava a provare quando metteva piede in ufficio, e anche al telefono, lo spingevano a accettare il fatto che la sua ora era prossima. E non si trattava certo d'ansia, lui lo sapeva questa che sensazione dava. Almeno, ci aveva convissuto tutta la vita e ultimamente era anche andata peggiorando ogni giorno di più... Ogni giorno? Cristo, peggiorava d'ora in ora anzi addirittura di minuto in minuto. Era più che ansia, era intuito..
Un venditore vende. Semplice. Un venditore vende e quando non vende non è un venditore e chi ha bisogno d'un venditore che non vende. Le aziende non si tengono a lungo i venditori che non vendono. Per la verità era già una fortuna che l'avessero tenuto tanto a lungo, gli avessero offerto la sua possibilità. Ma la sua ultima possibilità l'aveva avuta la settimana scorsa oggi invece poteva essere l'ultima occasione. Se non vendi oggi... fissò la zuppa per un intero minuto poi la spinse via e il cameriere si precipitò a portarla via e a sostituirla col piatto ordinato. Lui subito accennò un sorriso poi trasse un profondo sospiro dopodiché prese a mescolare la salsa di soia nel chow mein.
Oggi doveva proprio farla quella vendita. Non aveva scelta. O la vendita o la fine... il nodo allo stomaco prese immediatamente a risalirgli verso la gola e lui tirò un altro profondo sospiro e cercò di distendersi, almeno quel tanto per mangiare. Mangiò un po' quindi provò a pensare in maniera un po' più ottimista. Dopotutto ci sa fare. Può farla quella vendita. Non deve fare altro che entrare, sorridere, tutto gioviale, e lasciare che la vendita la facessero il prodotto e il cliente stesso. Esatto! Tutto qui: ma sono mesi che ci provo e non ho ricevuto nessun ordine. Il chow mein aveva l'aria d'essere pesante e indigesto. Proprio stamattina ho acceso un'altra candela e ho pregato e mi sono fatto le stazioni della via crucis e perciò non posso fallire: ma anche questo sono mesi che lo faccio. Trasse un altro profondo sospiro e provò a distendersi... poi prese un boccone di chow mein. Non posso lasciarmi invischiare dalla superstizione... non che la preghiera sia superstizione, voglio dire però tutta quella faccenda della cravatta e del vestito portafortuna... tutto questo devo lasciarlo perdere... Già, ammesso che abbia una cravatta o un vestito portafortuna. Anzi presto non avrò neppure una cravatta o un vestito... Ma è ridicolo. Questo vestito e questa cravatta portano la stessa fortuna di tutti gli altri che ho. Scrollò le spalle. Ho perso tante vendite portandoli quante ne ho perso con gli altri vestiti e cravatte... dentro di sé quasi gongolò e persino sorrise e rivolse la propria attenzione per un po' al chow mein; i tagliolini sembravano persino un tantino più croccanti. Il nodo d'ansia riprese a ingrandirsi e a risalire alla gola e allora a un tratto pensò alle scarpe, magari queste sono quelle che mi portano fortuna; tornò a ridere sotto i baffi e tenne l'ansia sotto controllo abbastanza da finire un bel po' di chow mein.
Subito il cameriere portò via il piatto e tornò col conto e un biscotto della fortuna. Lui per un po' giocherellò col biscotto, battendolo sul tavolo, poi alla fine, quasi distrattamente, lo ruppe e tirò fuori il bigliettino e vi lanciò un'occhiata, e le parole sulle prime non riuscirono a passare attraverso la sua preoccupazione ma un certoché lo colpì e lesse con più attenzione: Coraggio, oggi è il vostro giorno di successo. Scosse il capo. Sì-sì, certo... Poi smise di accigliarsi, rilesse e si distese. Perché no? Perché non dovrebbe essere la mia giornata? Deve pur essere la giornata di qualcuno e io ne ho avute abbastanza di nere. Già... proprio così, ne ho avute abbastanza di nere. Questa può essere la giornata mia quanto di chiunque altro... Proprio così... decisamente così. Hanno bisogno del nostro materiale e tanto vale comprarlo da noi quanto da chiunque altro. Siamo buoni quanto gli altri e migliori anche. E consegniamo in tempo. E questo il segreto del nostro mestiere: consegna garantita quanto la qualità. E noi abbiamo l'una... e l'altra! Fa un piacere a se stesso e alla sua ditta se l'ordinazione la fa a noi. Hai ragionissima! Scosse con enfasi il capo e si mise la mano in tasca per prendere i soldi, poi ci ripensò e tirò fuori le carte di credito, quelle che per molti mesi aveva avuto paura di usare, ne mise una sul piattino del conto e s'appoggiò allo schienale, disteso, divertito. Fece un gran sorriso quando aggiunse una generosa mancia, poi firmò la scheda con uno svolazzino. Mise in tasca la carta e uscì a passo svelto dal ristorante.
Il suo appuntamento con Mr. Dasher andò benissimo e fu un successo che superò ogni aspettativa. Sembrò proprio che lui Harry parlasse al momento giusto e dicesse le cose giuste e tacesse al momento giusto e nel modo giusto, stando a ascoltare con attenzione e con in faccia tutt'un'aria di distensione e fiducia. Aveva insomma l'aria di chi ha già fatto la vendita e d'essere lì soltanto per aiutare Mr. Dasher come meglio gli riusciva. Alla fine dell'incontro Mr. Dasher era contento quanto lui Harry e sia la stretta di mano finale sia le loro parole furono estremamente cordiali. Capì d'essersi fatto un cliente per tutta la vita.
Naturalmente era tutto risollevato quando se ne tornò in ufficio con l'ordinazione firmata, tanto contento per la vendita effettuata da non soffermarsi neppure a calcolare quale sarebbe stata la sua provvigione. Quando poi il pensiero gli passò pel capo l'allontanò subito con una scrollata di spalle sapendo che sarebbe stato comunque sempre indietro con gli anticipi ricevuti. E poi non voleva rovinarsi il piacere col pensiero delle sue condizioni economiche. Aveva fatto una vendita, una grossa vendita. Era questo che contava. Aveva rotto l'incantesimo nero. Era un vincitore e ringraziava il cielo.
Appena ebbe passato l'ordinazione lì a quelli dell'ufficio chiamò il suo capo e gli disse della vendita. Sulle prime il tono di Mr. Wells parve sorpreso ma subito cambiò e parve soddisfatto. Magnifico Harry. Congratulazioni. Lo sapevo che ce la facevi. Lui Harry gongolava stravaccato nella poltrona e scosse il capo e ringraziò Mr. Wells per i suoi complimenti. Riattaccò e restò lì immobile per qualche minuto lasciandosi invadere dalla bella sensazione... poi chiamò la moglie e le diede la bella notizia.
Dopodiché se ne stette quieto e tranquillo per qualche minuto, poi guardò l'ora e attaccò a fare telefonate e a prendere appuntamenti e a ottenerli non incontrò difficoltà e prima che finisse aveva già l'agenda piena per un paio di settimane.
La mattina dopo accese un'altra candela per non rompere in nessun punto la routine che aveva portato al successo del giorno prima, solo che ora aveva un atteggiamento diverso. Non s'inginocchiò a pregare come un condannato che segue tutto il rituale per non venir meno alla regola sapendo però che non serve a niente e che sulla forca ci finisce in tutti i casi comunque ma piuttosto come un amico già invaso da un senso di gratitudine per il regalo che sa che sta per ricevere.
Naturalmente fece colazione nello stesso ristorante. Stava addirittura per ordinare zuppa di pollo all'uovo e chow mein ma ritenne più sicuro fare una piccola deroga e prese una zuppa di won ton e un chow mein di manzo. Ma la vera differenza oggi stava nel suo atteggiamento. Aveva preso posto a un tavolo piccolo al centro della sala e sorrideva e mangiava con gusto e soddisfazione profonda.
Quando i piatti furono portati via e il cameriere tornò col solito biscotto della fortuna lui s'allungò nella sedia, passò un braccio sopra la spalliera e, disinvolto, prese a giocherellare col biscotto avvertendo intanto un piacevole fremito. Prese il biscotto e sorridendo se lo rigirò tra le dita, lo rimise sul piatto e prese a farlo roteare su se stesso, poi alla fine si chinò, lo spaccò e ne estrasse il bigliettino: Oggi è il giorno per imporvi. S'allungò all'indietro, già, vabbene. Camminava tutto irrigidito quando uscì dal ristorante e trasudava fiducia e baldanza.
Aveva in programma due appuntamenti per quel pomeriggio e tutto andò liscio e si concluse con due grosse ordinazioni, come lui del resto s'aspettava. Ormai aveva in mano la combinazione giusta e teneva il mondo per la coda. Non poteva perdere. Lo sapeva. Non poteva perdere. Era un vincitore.
Il giorno dopo ci fu un lieve preavviso, un tremito, quando si rese conto che avrebbe dovuto cambiare routine, ma si rifiutò fermamente di lasciarsi scuotere in quella sua acquistata fiducia. Per la colazione aveva appuntamento con un probabile cliente dall'altra parte della città quindi non sarebbe stato possibile mangiare nel ristorante cinese vicino all'ufficio. Cercò allora nelle pagine gialle un ristorante cinese nelle vicinanze dell'ufficio del cliente e ne trovò uno a appena un isolato e mezzo di distanza. Quando propose d'andar lì a colazione il cliente si disse subito d'accordo.
Il suo atteggiamento disteso aiutò a distendere a sua volta il cliente e di conseguenza la colazione fu davvero piacevole. Lui Harry non giocherellò col biscotto della fortuna lo ignorò invece il più a lungo possibile mentre continuavano la loro discussione poi, come per caso, lo spaccò e sorrise nel leggere il bigliettino che prediceva la fortuna: Il successo arride all'uomo di successo. Annuì dentro di sé, sissignore, il successo s'accoppia al successo e io sono l'accoppiatore. Il cliente invece non degnò d'uno sguardo il suo biscotto della fortuna e cosa quando s'alzarono per andar via lui Harry lo afferrò di nascosto e se lo cacciò in tasca. Poteva sempre tornare utile.
Quando 45 minuti più tardi lasciò l'ufficio del cliente aveva in tasca un'altra grossa ordinazione. L'annunciò per telefono al suo ufficio dopodiché fece una breve passeggiata finché non fu l'ora del suo successivo appuntamento. Anche questo andò come lui sapeva che sarebbe andato - come l'altro biscotto diceva che sarebbe andato - e così in tasca ora aveva due ordinazioni. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto lasciare un cliente senza un'ordinazione firmata, era inevitabile, ma per il momento si sentiva sulla cresta dell'onda e era deciso a cavalcarla sino alla fine.
Sapeva anche che quei biscotti cinesi non avevano niente a che fare con le vendite concluse, e tuttavia non era disposto a correre nessun pericolo e così continuò a accendere le candele la mattina e andare al ristorante cinese a mezzogiorno. E gli affari andavano bene. Una meraviglia! Le vendite aumentavano con tale rapidità che tutto lasciava supporre che il premio al venditore dell'anno sarebbe andato a lui. E con l'aumentare delle vendite aumentavano anche le provvigioni tanto che era ormai chiaro che nella dichiarazione dei redditi avrebbe dovuto trovare un espediente per ridurre l'imponibile. Il solo pensiero lo faceva sorridere e fremere, una prospettiva non proprio malvagia dopotutto.
Le cose continuarono a andare più o meno magnificamente per parecchi mesi. Anche quelli che non gli facevano ordinazioni riportavano un'impressione molto favorevole di lui e gli promettevano che se la situazione cambiava si sarebbero senz'altro ricordati di lui. Alla fine però successe che l'inevitabile mosca si posò sul miele e lui Harry dovette trovare' il modo di liberarsi di lei senza buttar via il miele. Fu colpito dalla sindrome del ristorante cinese.
La prima volta che lo colpì finì col far tardi a un appuntamento ma per fortuna le conseguenze non furono gravi: sopravvisse all'attacco e ottenne un'ordinazione. All'inizio, seduto sul vaso, piegato in due dai crampi e col sudore che gli usciva da ogni poro, capi che avrebbe dovuto smettere d'andare al ristorante cinese ogni mezzogiorno. Poi quando ritornò con l'ordinazione in tasca, bello disteso, in ufficio capi che era stato troppo precipitoso. Non che, capite, fosse superstizioso, solo che non c'era senso a cambiare una routine che funzionava così bene.
Si convinse il giorno dopo. Pur sapendo che le sue vendite non dipendevano certo dal fatto che mangiava ogni giorno al ristorante cinese, cercò tuttavia di trovare il modo di continuare a farlo senza star male. O meglio, di procurarsi il biscotto della fortuna di cui aveva bisogno... no, no, non ne aveva veramente bisogno, ma... be', diamine, tutti hanno più o meno un portafortuna. Certamente non diverso da una zampa di lepre, per esempio, o da un corno. Allontanò l'idea, che diamine.
Il giorno dopo andò a un chioschetto che vendeva piatti cinesi da asporto, tirò fuori il biscotto della fortuna dal sacchetto e buttò tutto il resto nel cestino dei rifiuti, dopodiché se ne andò a colazione. Era tutto fiero e raggiante per la propria furbizia e per la semplicità con cui aveva risolto il problema. Ogni giorno andava al chioschetto, ordinava dei piatti e poi li buttava tenendosi il biscotto della fortuna.
Un giorno notò due ragazze dell'ufficio davanti al chioschetto e allora tirò dritto per la sua strada, dieci minuti dopo tornò indietro guardandosi attentamente intorno per assicurarsi che non ci fosse qualcun altro dell'ufficio. Ormai quando lasciava l'ufficio per andare a colazione lanciava sempre occhiate in giro per accertarsi che nelle vicinanze non ci fosse nessuno che lo conosceva e anche prima di gettare il sacchetto con la roba cinese nel cestino dei rifiuti si guardava attentamente intorno con la maggiore disinvoltura possibile, scrutando il cielo poi e fischiettando nel tirare oltre.
Ben presto però la pressione causata da questa routine prese a creare certe ansie e così finì che prima faceva colazione nel quartiere e poi andava a un chioschetto distante dall'ufficio a comprare il biscotto della fortuna.
Dopo molte prove, e molta trepidazione, scoprì che poteva tranquillamente mangiare in un ristorante cinese una volta ogni quattro giorni senza paura di una crisi. E così provò tutte le cucine cinesi da un capo all'altro della città. Un giorno si trovava nel quartiere cinese quando fece una piacevole e sorprendente scoperta: un negozietto che vendeva biscotti della fortuna a peso. Ora proprio non aveva più niente di cui preoccuparsi.
Teneva un sacchetto di biscotti cinesi nel cassetto della scrivania e se li razionava, uno per volta. Ma ecco che capire alcune delle fortune predette cominciò a diventare alquanto difficile. Be', non che fossero esattamente molto difficili da capire, solo che erano ambigue e proprio non erano riferibili alla situazione del momento. Così era costretto a aprirne un altro... e poi un altro finché trovava quello pertinente al giorno e questo prima d'andare ai suoi appuntamenti. Presto dovette comprarli a dozzine quei sacchetti per essere sicuro di non trovarsene sprovvisto, cosicché quando lasciava l'ufficio era coperto di briciole di biscotto, con la vecchia ansia che ogni tanto gli procurava qualche fitta leggera.
Una mattina stava studiando un fascicolo e mettendo insieme dati e informazioni da presentare a un probabile cliente. Si trattava in quel caso d'una società internazionale e se avesse chiuso quell'affare sarebbe stato certamente il più grosso di tutta la storia della sua ditta e avrebbe aperto prospettive mai sognate prima alla ditta e a lui stesso. Tra l'altro avrebbe comportato una nomina a dirigente effettivo.
Ci stava lavorando su da sei mesi, dedicandoci ore infinite e tremenda energia e fantasia, e l'ultimo appuntamento, quello del sì o del no, era per l'indomani pomeriggio. Aveva raccolto tutto il materiale e stava per passarlo di nuovo in rassegna quando arrivò una telefonata con la quale l'appuntamento dell'indomani venne annullato. Mr. Ralston sarebbe dovuto partire per un viaggio imprevisto, era possibile anticipare l'appuntamento a quel pomeriggio stesso alle due? Mr. Ralston non aveva idea di quando sarebbe stato altrimenti disponibile.
Lui si dichiarò subito d'accordo e automaticamente allungò una mano verso il cassetto dove teneva i biscotti della fortuna. Lesse il bigliettino, s'accigliò e lo buttò via. Che roba era quella? Chi esita è perduto, ma certo è meglio essere perduti che morti. Che sciocchezza è questa? Ne aprì un altro... e un altro e un altro ancora, con l'ansia e la stizza che aumentavano sempre più. Già l'ambiguità di alcuni bigliettini precedenti lo aveva seccato, ora però erano addirittura negativi. Prese l'ultimo e risultò identico agli altri. Se avesse accettato il consiglio dei biscotti aperti quel giorno sarebbe dovuto correre a casa a chiudersi in un armadio. Sul momento fu tentato di fare esattamente questo. Non gli andava certo di presentarsi a chiudere il suo affare con quel nervosismo addosso e quel pessimismo. Guardò accigliato il mucchietto di biscotti e bigliettini nel cestino della carta straccia. Che diamine stava succedendo? Perché all'improvviso tutto gli si rivoltava contro? Cristo, gli sarebbe piaciuto annullare quell'appuntamento! Ma se l'avesse fatto sarebbe stata la fine. La fine di tutto. Addio nomina. Non gli si sarebbe mai più presentata un'altra occasione. Non come quella. Nossignore, doveva vedere Mr. Ralston quel giorno. Ma perché doveva andargli tutto a puttane? Le sue candele le aveva accese quella mattina. Perché doveva capitargli questo? Per la terza o quarta volta frugò in tutti i cassetti nella speranza di trovare uno sperduto biscotto della fortuna, uno che in qualche modo gli fosse sfuggito prima, ma inutilmente. Non ne era rimasto neppure uno. Già, niente da fare. E non c'era modo di procurarsene altri prima d'andare all'appuntamento. A meno che non facesse un'anticipata colazione al ristorante cinese lì vicino. S'illuminò tutto: già, ecco cosa farò. Tanto, è cominciato tutto lì. Proprio lì. Farò una rapida colazione e arriverò in tempo all'appuntamento. Si spazzolò via dal vestito le briciole di biscotto e lasciò l'ufficio.
Qualcosa gli diceva che forse non era un'idea brillante far colazione lì quel giorno, avendo fatto colazione in un ristorante cinese anche il giorno prima, ma allontanò in fretta quel pensiero. Non voleva correre il pericolo di diventare vittima della sindrome da ristorante cinese. Non proprio quel giorno. E dentro di lui una voce vaga e lontana disse: Le ultime parole famose.
Mangiò la zuppa e un po' di chow mein, afferrò in fretta il biscotto quando il cameriere lo portò, lo spaccò e lesse il bigliettino, che rimase poi a fissare a lungo: A volte la cosa più saggia da fare è non fare niente. Non riusciva a crederci. Era una follia. Chiamò il cameriere con un cenno e gli chiese di portargli un altro biscotto della fortuna. Quello annuì e glielo portò e lui Harry l'aprì immediatamente e quasi gemeva allorché lesse. Un altro. Starò sognando. Deve trattarsi certamente d'uno scherzo.
Chiamò di nuovo il cameriere e gli disse di portargli una dozzina di biscotti della fortuna. Quello lo guardò per qualche attimo perplesso tanto che lui s'affrettò a aggiungere che li avrebbe pagati, sforzandosi intanto di sorridere e subito dopo spiegando che in fondo la sua voleva essere una battuta. Alla fine il cameriere si strinse nelle spalle e gli portò dodici biscotti. Lui li studiò per qualche attimo mentre intanto, allontanatosi, il cameriere andava a confabulare coi suoi colleghi, scuotendo le spalle e la testa e lanciandogli continue occhiate. Alla fine lui trasse un profondo sospiro, cercò di rilassarsi e s'accinse a aprire il primo dei dodici biscotti, tutto teso invece, come se si tuffasse da una torre d'una trentina di metri in una vasca attraverso dell'olio in fiamme. Schiacciò il primo, lesse rapidamente e buttò via il bigliettino per passare subito al secondo e, ripetendo gli stessi gesti, ai successivi, col nodo d'ansietà che gli s'ingigantiva dentro sempre più a ogni bigliettino e sentendosi sempre peggio finché non li ebbe aperti tutti (e a questo punto i camerieri lo guardavano grattandosi la testa). Rimase lì seduto a contemplare il mucchio di biscotti frantumati e bigliettini appallottolati. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Non riusciva a credere che tutto quello gli stava succedendo veramente. Proprio quando era sul punto di concludere un'impresa senza precedenti all'improvviso il mondo intero gli si rivoltava contro. Eppure non aveva fatto niente a nessuno. Aveva acceso le sue candele ogni mattina. Perché doveva capitargli questo? Non era giusto. Nossignore, non era niente giusto. Non mi ci rassegnerò mai! Che mi dannino se mi ci rassegno! NO!!! Questo no lo disse forte menando un pugno violento sul tavolo, proprio sul mucchio di biscotti frantumati, facendo saltellare piatti e boccettine mentre la gente intorno taceva di colpo e si voltava a guardare dalla sua parte e i camerieri si bloccavano di colpo e lo guardavano battendo le palpebre e lui affondava la mano tra i biscotti e gridava: Non mi ci rassegnerò mai. Nossignore! Quando pagò il conto continuò a borbottare tra sé e sé, ignaro che tutti lo guardavano e certamente concludevano che doveva essere matto come un cavallo.
Era pieno di energia quando entrò nell'ufficio di Mr. Ralston. La prima cosa che intanto questi fece fu di informarlo che era occupatissimo e non aveva molto tempo a disposizione. E questo a lui Harry andava benissimo visto che era più che disposto a sbrigarsi in fretta anche lui. Rapidamente espose tutte le cifre consegnando a Mr. Ralston una copia di tutto, sottolineando i punti salienti, rispondendo a tutte le domande in maniera disinvolta e succinta, e quando l'incontro volse al termine lasciò l'ufficio di Mr. Ralston con l'ordinazione in tasca.
Se ne tornò direttamente in ufficio dove si lasciò cadere nella poltroncina della sua scrivania. Era in un bagno di sudore e, dentro, in un vortice di confusione e incredulità. Aveva lì sotto gli occhi l'ordinazione firmata eppure gli sembrava che non lo riguardasse. Sapeva che era vera verissima ma non sembrava avere nessuna attinenza con lui, e la realtà dell'intera situazione diventava sempre più vaga man mano che lui ci rifletteva sopra perché proprio non riusciva a credere a quello che era successo. Come era potuto succedere? Ricordava a stento d'essere stato nell'ufficio di Mr. Ralston. Pensava e ripensava e questo finiva semplicemente con l'aumentare la sua confusione.
Ma ancora più sconcertante era il fatto di sapere che tutto quello avrebbe cambiato la sua vita. In ogni aspetto. Una casa nel Connecticut con alberi e giardino. Una casetta estiva a Martha's Vineyard. Automobili. Una barca. Già... magari uno sloop di dodici metri col quale filare controvento con tutti gli spruzzi e il vento in faccia...
Ma a quel punto sarebbe stato già un dirigente... La sola idea gli dava i brividi. Come se la sarebbe cavata a quel livello? Come avrebbe potuto eventualmente prendere la parola davanti al consiglio d'amministrazione (la sola idea lo faceva tremare anima e corpo) presentando la sua relazione sui progressi... dando il suo parere sulle previsioni di vendita... Cristiddio, proprio così, dovrei continuare a concludere affari come questo. Avrei una posizione da mantenere! Come potrei cavarmela? Già questo è stato un colpo di fortuna. Non è possibile che si ripeta... Cielo santissimo, il consiglio d'amministrazione non si contenterà solo di questo ne vorrà altri e altri ancora e poi altri...
Oddio, non ce la farei.
Non reggerei mai alla pressione, al fardello - lanciò un'occhiata al mucchietto di biscotti frantumati nel cestino della carta straccia - non saprei cosa fare. Essere venditore è una cosa, dirigente membro del consiglio d'amministrazione un'altra... la responsabilità...
e si ritroverebbe con la casa nel Connecticut e quella estiva a Martha's Vineyard e la barca e le macchine... Oddio, no... no...
Si sentì gelare e prese a tremare mentre il panico s'impossessava di tutto il suo interno schiacciando e stringendo e strizzando, rendendogli quasi impossibile respirare... S'agitò sforzandosi di riempire d'aria i polmoni, poi si piegò in avanti, piantò i gomiti sulla scrivania e si tenne la testa, sprofondando sempre più nella disperazione...
Alla fine l'occhio gli cadde sul giornale che aveva sulla scrivania. Sulle prime la cosa era una vaga macchia ma qualcosa lo costringeva a rivolgere l'attenzione su quel punto del foglio finché scoprì che non riusciva a distoglierne lo sguardo. Sbatté le palpebre finché la vista gli si schiarì e si rese conto che stava fissando l'oroscopo del giorno, il suo oroscopo per quel giorno: Oggi è il giorno per imporvi. Grandi opportunità vi si presenteranno se afferrate il toro per le corna. Non accettate rifiuti. Lo rilesse... poi ancora un'altra volta... sulle prime afferrò solo le parole, poi anche il loro significato, e intanto andava rizzandosi sempre più nella persona man mano che leggeva, col viso che gli si apriva in un sorriso... poi menò un pugno, forte, sul giornale e saltò in piedi. Ma naturale! Proprio così! Lo sapevo! Lo sapevo eccome! Lo sapevo che oggi era la mia giornata!!!! Grazie al cielo non sono superstizioso altrimenti quei maledetti biscotti m'avrebbero rovinato la vita. Ora so come fare - battendo la mano sul giornale - qui, qui sin dal primo momento. Ahah, ora non mi ferma più nessuno! Afferrò il contratto firmato e si diresse verso l'ala della Direzione Generale per avvertire il Presidente in persona che aveva concluso l'affare. Dopotutto, doveva anche abituarsi a quei nuovi ambienti!!!!



(Tratto da Canto della neve silenziosa, Feltrinelli, Milano, 2002, traduzione di Attilio Veraldi)



Hubert Selby Jr.
(New York, 1928) raggiunse una notorietà internazionale nel 1964 con la pubblicazione di Ultima uscita per Brooklin. Dopo quel romanzo, Selby ha pubblicato dei racconti e alcuni romanzi, tra i quali ricordiamo La stanza.

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